15 Febbraio 2024

Elena Loewenthal affronta il tema della “ferita mai sanata” tra Chiesa ed ebrei

Fonte:

La Stampa

Autore:

Elena Loewenthal

Quella ferita mai sanata

L’ambasciatore Raphael Schutz spiega che non si può giudicare l’andamento di una guerra senza tenere conto di tutte le circostanze, prima fra tutte l’impegno ribadito da Israele a un cessate il fuoco immediato appena tutti gli ostaggi nelle mani di Hamas saranno liberati. Ma non c’è solo l’attualità del conflitto in corso, in questo scambio di vedute fra lo Stato ebraico e la Santa Sede. C’è anche, indubbiamente, un opprimente sottofondo di relazioni tanto cruciali quanto delicate. Il popolo ebraico è stato per duemila anni l’oggetto di un equivoco teologico gravido di conseguenze: l’antigiudaismo costituiva infatti un meccanismo irrinunciabile di riconoscimento del sé da parte del cristianesimo. I “perfidi” ebrei erano a un tempo il popolo colpevole del più incredibile dei delitti, quello di aver ucciso Dio, e i testimoni viventi della passione di Gesù, una sorta di irrinunciabile reperto archeologico vivente: per questo e tanto altro la Chiesa- e con essa tutto l’Occidente cristianizzato – li ha tenuti in bilico fra l’estinzione e la sopravvivenza, sempre disprezzati. Le cose sono gradualmente cambiate solo a partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento, con papa Giovanni XXIII. All’ombra di questa storia, il Vaticano ha apertole relazioni diplomatiche con Israele solo nel 1993, quasi cinquant’anni dopo la nascita di quello Stato ebraico che capovolge irreversibilmente l’immagine dell’ebreo errante, tanto radicata quanto determinante nell’economia della fede comune. Il tardivo riconoscimento dello Stato d’Israele da parte della Santa Sede ha dunque ancora il suo peso specifico in queste relazioni tutt’altro che semplici. E se sul piano del dialogo interreligioso si fanno quotidianamente passi avanti per una reciproca comprensione sempre più nel profondo, sempre più rispettosa, l’attualità politica è un’agenda per la quale mancano ancora gli strumenti adeguati. Certo è che dal Vaticano Israele si aspetta una visione che vada al di là di comodi schieramenti, e guarda con particolare insofferenza a prese di posizione che non sono il frutto di un pensiero “alto”, cioè lungimirante e attento. E se in questi ultimi mesi lo Stato ebraico ha dovuto far fronte non solo a una guerracheil7ottobreglihaimposto ma anche a critiche pesanti da più direzioni, quando il giudizio proviene da una realtà come il Vaticano l’orecchio a Gerusalemme è più attento e delicato che mai, perché entrambi portano il peso di un passato millenario e tanto ingombrante.