27 Marzo 2023

Dibattito su alcune dichiarazioni del teologo Vito Mancuso

Fonte:

riflessimenorah.com, Il Domani, La Stampa

Autore:

Gianfranco Di Segni, Davide Assael, Vito Mancuso

riflessimenorah.com, 21 marzo

Avraham avinu- Abramo nostro padre Rav Gianfranco Di Segni risponde a un commento intriso di pregiudizi antigiudaici del teologo Vito Mancuso

Vito Mancuso è un teologo giovane, che da anni trova spazio in fiere, festival, saloni letterari. Di sé cura l’immagine di uomo di fede aperto alla modernità, critico della Chiesa curiale, in dialogo continuo e progressista con la società. Chissà allora gli altri, verrebbe da dire, leggendo il suo pensiero, intriso di ignoranza e pregiudizio. Ancora una volta, parlando di ebraismo, emergono stereotipi e cliché antigiudaici.

Riflessi pubblica al riguardo il commento di rav Gianfranco Di Segni, scienziato, direttore della Rassegna mensile di Israel e docente al Collegio rabbinico italiano.

Sul Venerdì di Repubblica del 3 marzo 2023 (n. 1824), in un’intervista su Lucio Dalla, Vito Mancuso racconta di essere stato chiamato ai suoi funerali a leggere in chiesa un passo della Genesi: «Un doppio strazio. Un brano della Bibbia che non sopporto: Genesi 22, il sacrificio di Isacco, uno dei passi più terribili. Un modello di fede, quella di Abramo, che io non tollero». E ancora: «Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio. La fede come obbedienza senza criterio, anche quando l’etica viene calpestata».

Mi chiedo: ma se fosse vera questa lettura del passo come qui presentata, se fosse vero che quello di Abramo è un modello di fede che non si può tollerare, come è possibile che si riconosca in Abramo il padre delle tre religioni monoteistiche, dette appunto abramitiche? Metà circa dell’umanità è figlia di un padre omicida e scriteriato?

Capisco che un’intervista in un magazine non è il luogo per riflessioni teologiche e bibliche approfondite, ma i lettori leggono le parole riportate dal Venerdì e si fanno un’idea del tutto sbagliata del passo biblico. A iniziare dal concetto di “sacrificio di Isacco”, espressione estranea alla tradizione ebraica, dove si parla di “legatura di Isacco”. Isacco fu legato sull’altare, ma non fu sacrificato. Dove sta scritto: «Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio»? Da nessuna parte. È esattamente il contrario. Quando Abramo sta per alzare la mano sul figlio, Dio lo ferma e gli dice: «Non alzare la mano sul ragazzo e non fargli nulla». Dove sta scritto che Dio dice ad Abramo di scannare suo figlio? C’è invece scritto «fallo salire sul monte» (come bene spiega il commentatore per eccellenza, Rashì), con un’espressione volutamente ambigua per appurare se Abramo avesse capito il reale significato delle parole divine. Tutto il brano viene a insegnare ad Abramo e a tutti i suoi discendenti che è vietato sacrificare essere umani (come verrà più volte ribadito in seguito nella Torà, per esempio in Deuteronomio 18:10), pratica comune fra i popoli pagani dell’epoca. È questa cultura pagana e omicida che la Torà viene a negare, esattamente il contrario del messaggio che esce fuori dal Venerdì.

Abramo «senza criterio»?! Eppure l’abbiamo visto discutere con Dio per la salvezza degli abitanti di Sodoma e Gomorra ed esclamare: «Il Giudice di tutta la terra non farà giustizia?» (Genesi 18:25). Possibile che qui stia zitto e obbedisca supinamente? Dio gli ha promesso che la sua discendenza continuerà con Isacco: possibile che non si chieda come ciò sarà possibile se sacrificherà il figlio? Abramo cammina per tre giorni e non proferisce parola. Possiamo immaginare che si stia facendo queste domande e stia cercando di darsi una risposta (e infatti il Midrash riempie il silenzio con queste domande). Quando finalmente Isacco gli chiede: «Padre mio, ma dov’è l’agnello?», Abramo risponde: «Figlio mio, Dio provvederà l’agnello». Come in effetti avvenne.

Abramo aveva fiducia nel fatto che il Giudice di tutta la terra avrebbe fatto giustizia. Aspettava con ansia che arrivasse il comando di Dio di fermare la mano. La prova a cui Abramo fu sottoposto era arrivare a capire che non si sacrificano i figli (o chiunque altro), anche quando si crede di aver sentito una voce, dentro di sé o fuori di sé, che lo ordini. La prova era capire che dei due ordini apparentemente contraddittori, il secondo – quello di non fare nulla al ragazzo – era l’ordine corretto e definitivo.

Se si fraintende il messaggio biblico nel caso di Isacco, dove vediamo che al padre viene impedito da Dio di alzare la mano sul figlio, a maggior ragione c’è il rischio che lo si fraintenda quando è Dio stesso che sacrifica il figlio, come nella fede cristiana.

Sono stati usati fiumi di inchiostro da parte di decine di commentatori, teologi, filosofi, ebrei e non ebrei, per spiegare questo passo della Genesi, che avrebbe meritato di più della lettura superficiale apparsa sul Venerdì.

Rav Gianfranco Di Segni

Il Domani, 25 marzo

L’antigiudaismo nascosto nella gaffe di Vito Mancuso

Uno degli aspetti più spiacevoli dell’essere ebreo in Europa è dover prendere le distanze da amiche e amici spesso portatrici e portatori di pregiudizi inconsapevolmente ereditati dalla cultura in cui sono cresciute e cresciuti. Ma, si sa, amicus Plato, sed magis amica veritas («Platone mi è amico, ma più amica mi è la verità»). Mi tocca, dunque, tornare su un passo di un’intervista rilasciata dall’amico Vito Mancuso il 3 marzo scorso al Venerdì di Repubblica e di cui, via social, ho avuto contezza solo ora. Poco male, il tema non è certo passato di moda. Mancuso racconta dello «strazio» infertogli dall’aver dovuto leggere ai funerali del suo amico Lucio Dalla, il famoso capitolo 22 della Genesi, che vede protagonisti Isacco e suo padre Abramo. Passo notissimo anche ai non specialisti, come poche altre immagini bibliche. Dice l’amico Vito: «Un doppio strazio. Un brano della Bibbia che non sopporto: Genesi 22, il sacrificio di Isacco, uno dei passi più terribili. Un modello di fede, quella di Abramo, che io non tollero. E nemmeno credo sarebbe piaciuto a Lucio. Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio. La fede come obbedienza senza criterio, anche quando l’etica viene calpestata». Sull’abnorme fraintendimento di questi versi è già intervenuto, con ben più autorevolezza di me, Rav Gianfranco Di Segni con un intervento sul sito riflessimenorah.com. Anzitutto non esiste nessun sacrificio, si ha, semmai, la legatura di Isacco. Secondo: quello stesso Dio malefico che ricorre nelle parole di Mancuso è lo stesso che frena la mano di Abramo quando si appresta a «scannare» il figlio in ossequio a un mal inteso ordine mai ricevuto. Terzo, continua ancora Rav Di Segni, è sempre il Dio che vieterà i sacrifici umani ancora in uso nel mondo pagano. Come scritto apertamente in Deuteronomio 18, 10. Si potrebbero, poi, citare infiniti brani in cui il Dio biblico arresta la sua violenza, oltrepassando, e di molto, persino il dovere verso la giustizia. Per chi ha gli strumenti per leggere, a cominciare dalla conoscenza della lingua in cui è stato scritto il Pentateuco, il primo di questi momenti è la creazione del mondo, poi la trasgressione degli alberi, che avrebbero dovuto produrre anche le cortecce commestibili, il «peccato» di Adamo ed Eva, l’omicidio (anche questa un’espressione assai approssimativa) di Caino, e ancora con la generazione del diluvio verso cui il Signore ha peccato di comprensione.

Schematismi

Una rappresentazione così schematica e semplificata da far pensare che la misericordia sia nata col cristianesimo e che questi ebrei sono dediti al culto di un Dio sadico che prova piacere a vedere i padri che uccidono i figli. Insomma, i perfidi judaei. Come invece sanno tutti coloro, anzitutto cristiani e cattolici, che si occupano di queste cose in modo minimamente informato, la predicazione di Gesù si inserisce non solo nella tradizione della Torah, ma persino in quella orale confluita nel Talmud, di cui nei Vangeli ricorrono numerose immagini. E qui si apre un’altra questione: ma possibile che intellettuali notissimi, che godono della ribalta mediatica, non conoscano cose rinomate nel proprio ambiente? In proporzione, sarebbe come se un idraulico non sapesse cosa sia un tubo. Lasciamo stare che Repubblica ha un direttore ebreo che le cose sottolineate da Rav Di Segni le conosce benissimo, ma una riflessione sui criteri di selezione del settore informazione e cultura qualcuno dovrebbe pur farla. Analoghi strafalcioni, purtroppo, si sentono in questi giorni sulla situazione israeliana, dove si sentono intellettuali descrivere l’infame e fondamentalista governo Netanyahu come compimento del sionismo. Forse andrebbe loro ricordato che tre dei quattro partiti suoi alleati sono da sempre antisionisti! E l’altro non c’entra proprio nulla col sionismo herzliano che abbiamo conosciuto. Ma, questa è l’impressione, chi scrive così non conosce minimamente il soggetto di cui parla. A ben vedere, un fil rouge che lega le considerazioni su Genesi 22 e queste analisi antisioniste c’è: l’antico odio antiebraico che l’intellettualità europea succhia dalla nascita insieme al latte materno.

Davide Assael

La Stampa, 27 marzo

La sottomissione di Abramo è schiavitù, non fede ma non per questo io sono un antisemita

II teologo: credo in Dio ma penso che dobbiamo liberarci di un’immagine a cui dire sempre “sì comandante”

Da sempre ritengo l’antisemitismo una delle manifestazioni più pericolose della malignità umana e credo che la lotta contro di esso sia dovere fondamentale di ogni essere umano e credo che la lotta contro di esso sia dovere fondamentale di ogni essere umano degno di questo nome. Anche per questo da quando ho iniziato a guidare gruppi in Israele lo Yad Vashem è tappa obbligata. Aggiungo che mi sono nutrito del pensiero e della spiritualità ebraica da quand’ero ragazzo, a partire dalla Bibbia naturalmente e poi di autori il cui elenco sarebbe troppo lungo e che accompagnano ancora oggi il mio cammino. Per questo sono rimasto stupito, ma sarebbe meglio dire addolorato, nel vedere il mio pensiero etichettato come «intriso di pregiudizi antisemiti». È quanto si legge nel sito riflessimenorah. com, rivista online che si dichiara «rappresentata presso l’Unione delle comunità ebraiche italiane e presso la Comunità ebraica di Roma», a commento redazionale di un articolo critico di rav Gianfranco Di Segni su una mia intervista. Ma attenzione: Di Segni critica il mio pensiero nel modo che analizzerò, ma è ben lungi dall’accusarmi di antisemitismo odi anti-giudaismo, come invece fa la redazione della rivista che mi attribuisce «pregiudizi antisemiti», «ignoranza e pregiudizio», «stereotipi e cliché antigiudaici». Il punto che mi sta più a cuore è esattamente questo: l’uso improprio del concetto di antisemitismo. È così importante la lotta contro questo mostro che bisognerebbe essere molto rigorosi con le parole, perché attenzione: se tutti sono antisemiti, nessuno alla fine lo è, e chi ci guadagna sono i veri antisemiti. Non è inoltre ammissibile la confusione (per di più da parte ebraica) tra antisemitismo e antigiudaismo praticata dalla rivista che mi accusa ora dell’uno ora dell’altro, perché l’antigiudaismo riguarda le idee religiose, l’antisemitismo il sangue delle persone. E’ vero che i due concetti sono tra loro collegati e dal professare l’uno è facile transitare nell’altro, ma proprio per questo la loro distinzione contribuisce a impedire l’indebito passaggio. Vengo alla critica di rav Di Segni il cui casus belli è una mia intervista al Venerdì di Repubblica del 3 marzo scorso sull’amicizia con Lucio Dalla in cui tra le altre cose ricordavo di aver dovuto leggere al suo funerale in San Petronio a Bologna la prima lettura della messa, quel giorno dedicata al sacrificio di Isacco su cui sviluppavo una più ampia considerazione che la giornalista riassunse così: «Mi fu chiesto di leggere la prima lettura e fu un doppio strazio. Un brano della Bibbia che non sopporto: Genesi 22, il sacrificio di Isacco, uno dei passi più terribili. Un modello di fede, quella di Abramo, che io non tollero. Un Dio che ti dà un coltello per scannare un figlio. La fede come obbedienza senza criterio, anche quando l’etica viene calpestata». A partire da queste parole, che stento a riconoscere nella forma ma che sottoscrivo nella sostanza, Di Segni mi ha scritto una mail di critica poi pubblicata nel sito suddetto nella quale mi chiede dove sia scritto di Dio che dà un coltello ad Abramo e dove che l’ordine divino sia quello di sacrificare il bambino, sostenendo che è vero esattamente il contrario: nessun coltello, nessun ordine di olocausto, ma racconto esemplare per vietare i sacrifici umani. Di Segni ha ragione sul primo punto (nessun coltello da parte di Dio, ma si tratta di un’espressione non mia), non però sul secondo perché Genesi 22,2 recita così: «Prendi il tuo amato unico figlio, Isacco, va’ nella terra di Morijà e là offrilo in olocausto» (traduzione della Bibbia ebraica a cura di rav Dario Disegni), cosa che Abramo aveva compreso benissimo visto che nel versetto 11 si legge: «Stese poi la mano e prese il coltello per scannare il figlio» (dalla medesima traduzione citata) . Di Segni prosegue negando che Abramo possa essere accusato di mancanza di etica, visto che poco prima aveva discusso con Dio per salvare gli abitanti di Sodoma. Il che è vero e crea una contraddizione molto interessante per trattare la quale mi rifaccio ad Amos Oz. Scrittore ebreo tra i più grandi, egli afferma ricordando la trattativa di Abramo con Dio per Sodoma che il patriarca arriva a pronunciare «le parole forse più ardite di tutta la Bibbia, se non di tutte le religioni mai venute al mondo: “Com’è che il giudice della Terra non giudica secondo giustizia?” (Genesi 18,25)». Ovvero: «Sarai pure il giudice di tutta la Terra, ma non stai sopra la legge. Sei colui che legifera, ma non stai sopra la legge. Sei il sovrano di tutto il mondo, ma non stai sopra la legge». E commenta: «Un discorso del genere non lo sentiamo nel cristianesimo, non nell’islam, né in nessun’altra religione che mi sia nota. Ed è il nostro vanto». Passa poi alla scena di Abramo pronto a sacrificare il figlio Isacco, oggetto della controversia tra Di Segni e me, e si chiede: «Come si fa a scendere a patti con l’abisso che separa l’Abramo in contesa con Dio per la vita degli estranei abitanti di Sodoma e l’Abramo che non esita neanche un istante quando Dio gli ordina di sgozzare il figlio?». E a questo punto Amos Oz gioca l’asso presentando l’interpretazione del legamento di Isacco di Shulamith Hareven, scrittrice ebrea a lungo impegnata nella difesa dello stato di Israele: «Come tutti i commentatori, anche lei pensa che Abramo sia stato messo alla prova. Ma diversamente dagli esegeti della tradizione, Hareven è dell’avviso che Abramo la fallisca del tutto. Che, in sostanza, lui avrebbe dovuto “rifiutare l’ordine”, opporsi al comando e replicare a Dio: “Tu ci hai proibito i sacrifici umani, perciò mi rifiuto di immolare mio figlio”. Dio mette Abramo alla prova e Abramo, il famoso “paladino della fede”, fallisce con il solo fatto di dire: “Si, comandante”, mentre avrebbe dovuto dire: “È un ordine assolutamente illegale, sul quale sventola bandiera nera”». Sottoscrivo il brano di Oz che ricorda Hareven parola per parola. Il punto decisivo quindi è il modello di fede e il rapporto fede-etica perché il senso dell’inaudita richiesta divina era di ottenere la più assoluta sottomissione di Abramo, volendo appunto appurare se avrebbe anteposto qualcosa, fosse pure suo figlio, al suo volere. Questa è fede? No, è schiavitù. Una schiavitù della mente che, se può portare a uccidere il proprio figlio, figuriamoci quale violenza può generare verso gli altri. Se la religione ha versato e versa tanto sangue è a causa di questo modello schiavistico di fede. Di Segni sostiene inoltre che l’episodio della “legatura di Isacco” venne scritto in realtà per condannare i sacrifici umani praticati dalle religioni pagane. La cosa a mio avviso non risulta convincente per tre motivi. Primo: il testo non contiene il minimo cenno di condanna del sacrificio umano che si stava per compiere. Secondo: i sacrifici umani sono condannati dalla Bibbia soprattutto in quanto sacrifici ad altri dèi, prova ne sia che sono inseriti dal Levitico non tra i delitti contro la vita ma tra le colpe cultuali (cfr. Levitico 20). Terzo: nella Bibbia si registra un caso di sacrificio umano eseguito senza che Dio lo impedisca, cioè l’immolazione della figlia da parte di Iefte Costui era un capo militare che aveva fatto voto che in caso di vittoria avrebbe offerto in olocausto la prima persona che gli sarebbe venuta incontro dalla porta di casa, senonché a venire da lui per prima tutta festante dopo la vittoria fu la sua unica figlia. Per quanto sconcertato, Iefte «eseguì su di lei il voto che aveva fatto» (Giudici 11,39). Dio, questa volta, non mosse un dito per salvare la ragazza, né la Bibbia presenta una sola parola di biasimo per il sacrificio umano avvenuto. Riassumo il senso del discorso. Io credo in Dio, spero di farlo fino al mio ultimo giorno. Sono convinto però che abbiamo bisogno di liberarci di un’immagine divina a cui dire sempre «sì comandante» per alzare al suo posto la bandiera della libera coscienza, che tanto sta a cuore alla più autentica spiritualità ebraica. Io lo faccio nella mia religione a proposito di Gesù, che mi rifiuto di pensare quale «agnello di Dio» e quale «vittima immolata della nostra redenzione», come professa il cristianesimo ufficiale, perché ritengo che sia solo la pratica del bene e della giustizia a poterci salvare, non il sangue versato. Lo insegna il profeta Michea: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (6,8). Vorrei dedicare però le ultime parole al punto che mi sta più a cuore sottolineato all’inizio: l’uso attento e rigoroso del concetto di antisemitismo, al fine di evitarne una pericolosissima inflazione.

Vito Mancuso