16 Febbraio 2021

Dario Calimani e David Sorani commentano recenti casi di antisemitismo

Fonte:

Moked.it

Autore:

Dario Calimani, David Sorani

Antisemitismo

Il senatore Elio Lannutti (M5S), un assessore all’istruzione della Regione Veneto, Elena Donazzan (Fratelli d’Italia), una consigliera comunale piemontese Monica Amore (M5S) parlano di ebrei e banche, rispolverano i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, cantano Faccetta nera ed esaltano il fascismo, difendono l’antisemitismo di Ezra Pound, pubblicano vignette antisemite degne della miglior propaganda nazi-fascista. Poi però, bisogna onestamente ammetterlo e riconoscerlo, chiedono scusa a chi potessero aver offeso. Non intendevano farlo. Magari qualcuno di loro precisa con sottile cattiveria che chiede scusa a chi ‘in buona fede’ si fosse sentito offeso, perché evidentemente pensa che ci sia anche chi possa offendersi ‘in malafede’, come a dire che gli ebrei fingono di offendersi, ma non è vero, amano recitare.

Insomma, la politica di oggi gioca gratuitamente con l’antisemitismo e nessuno paga per l’odio che diffonde, basta chiedere scusa e ogni offesa viene cancellata. L’antisemitismo, però, rimane, ben radicato nell’animo di una parte della classe politica che appare indegna di rappresentare un paese sano, un paese che, purtroppo, non ha mai elaborato le vergogne della propria storia.

Dario Calimani

Antisemitismo, rischio sottovalutazione

Tutti siamo al corrente dei due recenti (e purtroppo ormai comuni) fatti di antisemitismo locale. Il disgustoso post con vignette stile 1938 pubblicato su Facebook dalla Consigliera comunale grillina di Torino Monica Amore; la violenta esplosione di collera antisionista e antisemita di una farmacista milanese di fronte alla richiesta di informazioni su un prodotto israeliano. Anche le analisi di questi episodi sintomatici e ricorrenti le abbiamo già fatte: sotto la pressione di una crisi multiforme (economica, sociale, culturale), l’animosità antiebraica riemerge in modo virulento e sottotraccia circola in maniera crescente. Le scuse e le prese di distanza di chi era direttamente o indirettamente coinvolto nelle due vicende sono arrivate, certo. Mi riferisco essenzialmente alla garbata lettera del proprietario della farmacia milanese e ai comunicati ufficiali della Sindaca di Torino Appendino e del M5S subalpino, perché le dichiarazioni di Amore a giustificazione di se stessa (non aveva notato le caricature a margine dell’elenco delle testate del Gruppo GEDI da lei postato!) sono a dir poco risibili, come giustamente osservava su queste colonne Anna Segre. Anche le notizie sulla carta stampata non sono mancate, soprattutto riguardo alle inquietanti vignette che chiamano in causa un personaggio pubblico.

Tutto a posto, dunque? Visto che qualcuno si scusa e che l’informazione circola, possiamo dire che la società sia consapevole del pericolo antisemita e cosciente del suo significato?

Neanche per idea. In realtà, tanto i giudizi di chi formula distinguo con termini generici quanto le cronache più o meno minuziose dei quotidiani si occupano dell’argomento come se fosse una nostra questione privata, come se si trattasse “solo” di un’offesa qualsiasi recata a un gruppo o a una persona (per i giornali, si veda l’articolo pubblicato da “La Stampa” l’11 febbraio: L’ira della comunità ebraica: “La consigliera si dimetta”). Di fronte al carattere sminuente e alla totale inadeguatezza di questo tipo di risposta si è colti innanzitutto da stupore: possibile che a livello di massa e di mass media circolino tanta ingenuità e tanta stupidità? A parte la nostra obiettiva difficoltà individuale e collettiva nel sopportare nonché assorbire accuse semplicemente “cosmiche”, come si fa a non rendersi conto che il riemergere strisciante e sempre più minaccioso dell’antisemitismo rappresenta – ora come per il futuro prossimo – un danno e un pericolo esiziali per l’intera società? La nostra sensibilità fa certo da punching ball e da termometro a questo crescendo; eppure è evidente che il bersaglio non siamo solo noi, la nostra identità, la nostra cultura, bensì l’intero sistema sociale democratico, il suo ripudio dell’odio, la sua pratica dell’apertura, dell’uguaglianza, del dialogo tra diversi. E allora come si spiegano l’insensibilità diffusa che traspare dietro le parole di circostanza, l’incapacità o la non volontà di guardare all’interno per cogliere la portata del fenomeno, la cecità di fondo con cui oggi il mondo reagisce al riaffacciarsi di questi fantasmi?

Inettitudine nell’intervenire? Smarrimento? Paralisi? Incoscienza?

Ma storici, sociologi, politologi, filosofi, psicologi, psicoanalisti sempre hanno affermato che l’antisemitismo è un sintomo evidente di crisi, segnale di corrosione sociale che contribuisce in modo consistente al prevalere di tendenze autoritarie. E comunque è cartina di tornasole di un malessere diffuso che prepara situazioni disastrose.

Lo scarso rilievo dato ai singoli fatti e al diffondersi del veleno antisemita appare così strano che verrebbe quasi da pensare che sia voluto, motivato dalla scelta di non drammatizzare e di non creare pericolosi allarmismi; oppure dal timore di lasciare troppo spazio alla sua crescita dilatando la sua visibilità. Difficile dire se a prevalere siano queste considerazioni o non piuttosto la superficiale incuria della nostra società, e quindi paradossalmente una ulteriore marginalizzazione degli ebrei, della loro condizione, delle minacce nei loro confronti. Di fatto, bendarsi gli occhi e minimizzare è solo dannoso, visto che il vero pericolo non è l’allarmismo ma l’antisemitismo e che esso comunque, più o meno nascosto in varie fasce sociali, continua a crescere come un fastidioso tumore pronto a esplodere, a prescindere da ogni tentativo di mimetizzarlo tra le piccole violenze quotidiane.

Intervenire in maniera utile non è certo facile. Diffondere un’informazione storica corretta è basilare, però non pare sufficiente. Reprimere con decisione ogni manifestazione del pregiudizio è doveroso, ma non aiuta a distruggere le calunnie gratuite e a ricostruire una visione oggettiva del passato e del presente. Forse l’azione deve essere più capillare, più mirata a penetrare negli ambienti marci dove l’antisemitismo nasce e come ogni odio cresce su se stesso. E pronta a smentire/smontare dall’interno le sue argomentazioni facili, faziose, impastate col veleno della crisi. È essenziale provarci.

Alla fine però prevale un pessimismo fatalista. Siamo forse destinati a rimanere sempre un po’ isolati e sconsolati, circondati da rispetto ma anche da una cortina di incomprensione e talvolta di ingiustificato sospetto?

David Sorani