11 Marzo 2014

Calcio e violenza

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Sandro Veronesi

Quel vuoto di civiltà scempio degli stadi

Ero indeciso se andare o no allo stadio di Firenze, la settimana prossima, a vedere insieme a mio figlio la gara di ritorno di Europa League tra Fiorentina e Juventus. Ci sono andato tante volte, da ragazzo, anche da solo, in curva Ferrovia, sfidando il clima ostile che a Firenze accompagna ogni partita con la Juve: un paio di volte ho anche passato un brutto momento, fuori dallo stadio, quando qualche banda di esagitati si faceva vanto di intimidire i tifosi avversari con cariche e minacce, ma non mi è mai successo nulla di male, né ho mai visto succedere nulla di male; ragion per cui quelle domeniche consacrate a dei colori così poco popolari nella mia terra le ricordo con orgoglio, come un’esperienza di formazione, che sarebbe stato bello replicare in compagnia di un figlio adolescente. Tanto, mi dicevo, dal punto di vista sportivo quella partita sarà importante qualsiasi sia il risultato della gara d’andata, che verrà giocata sette giorni prima a Torino; se comportasse la qualificazione della Juventus al turno successivo avrebbe un sapore particolarmente dolce, e se invece ne sancisse l’eliminazione sarebbe una cocente delusione, certo, ma pur sempre uno di quei dolori che vale la pena provare per radicarsi ancor più nella propria passione. Ero indeciso se andare o no allo stadio di Firenze, la settimana prossima, a vedere insieme a mio figlio la gara di ritorno di Europa League tra Fiorentina e Juventus: ma dopo aver visto i giornali non lo sono più. Io mio figlio lo devo educare. E però provo una grande frustrazione nel vedermi costretto a una scelta del genere: com’è possibile, mi chiedo, che esistano persone tanto stronze da scrivere striscioni che inneggiano alle tragedie di Superga e dell’Heysel, o da sfruttare le partite di calcio per professare razzismo e antisemitismo? Come può essere così? Viene per l’ennesima volta da chiedersi cosa si possa fare per interrompere questa deriva, che dalla violenza verbale dei decenni passati, quella che attraversavo spavaldamente quando ero ragazzo, ha incistato nel tifo calcistico il bubbone purulento dell’odio razziale e dello sfregio del lutto. La Lega Calcio, come abbiamo visto con la pagliacciata della «discriminazione territoriale», è totalmente inadeguata ad affrontare un simile problema — non sa neanche da dove cominciare; la magistratura ha cose più importanti di cui occuparsi, come anche le forze dell’ordine: e così, in questo vuoto di civiltà, anche tollerando una certa quota di cattivo gusto e di volgarità campanilistica (inevitabile e perfino normale, per chi frequenta gli stadi), diventa di colpo impossibile pensarsi parte di uno scempio del genere — e si sta a casa. Il che alla fine aggrava il problema, poiché in questo modo, partita dopo partita, gli stadi diventano sempre più irreversibilmente la cloaca massima della nostra civiltà decadente, il water closet del nostro inconscio collettivo fuori controllo. Non resta che sperare nei giocatori, che tra loro ancora si rispettano e si scambiano la maglia: provate a dirlo anche voi, vi prego, sui vostri account di Twitter e di Facebook, che vi fa schifo esser presi a pretesto per affermare le più spregevoli delle identità, e che a sentirvi incoraggiati in questo modo vi viene voglia di fare gol nella vostra porta. Dal divano dove io, mio figlio e milioni d’altri tifosi siamo confinati, si leverà un coro di gioia come se aveste segnato in rovesciata.