1 Marzo 2016

Assemblea antisionista e pro BDS all’università di Torino

Fonte:

La Stampa edizione di Torino

Autore:

Fabrizio Assandri

Università verso il dietrofront sull’assemblea degli studenti

Spazi a rischio: “Non si fa nulla se non è invitata la controparte”

L’Università concede gli spazi ma ora valuta se revocarli all’«assemblea studentesca contro il Technion». Un incontro in programma giovedì, con Roberto Beneduce, docente che ha firmato l’appello al boicottaggio dell’istituto di ricerca di Haifa, e Ronnie Bartran, attivista israeliano anche lui sulla stessa linea. Ora tutto è in forse e anche uno dei relatori si smarca.

L’incidente torna a far discutere l’ateneo, a pochi giorni dalla petizione che chiede di boicottare proprio l’accordo che Università e Politecnico hanno sottoscritto con l’istituto di ricerca israeliano. Sotto accusa sono le collaborazioni del Technion con l’esercito israeliano e «l’oppressione dei palestinesi». Una petizione definita «assurda» dal sindaco Fassino e che sta raccogliendo sempre più consensi. Erano in 27, ora sono 55 i prof torinesi firmatari, quasi tutti dell’Università e qualcuno del Poli.

La difesa dei rispettivi rettori Gianmaria Ajani e Marco Gilli era stata che l’accordo non prevede applicazioni militari, ma riguarda gli ambiti di salute, acqua e agricoltura.

II volantino

L’assemblea di giovedì si presenta con una posizione chiara. Nel volantino, del Technion si dice che «è coinvolto nell’occupazione e nell’apartheid della Palestina». Si vede un carrarmato con in cima la bandiera di Israele e una chiave inglese che lo smonta. «Non sapevamo fosse a senso unico: se fosse stato chiaro che c’era un pregiudizio ideologico, non avremmo concesso gli spazi. Gli studenti ci avevano parlato di un seminario scientifico e della presenza di una controparte» dice Rosario Ferrara, direttore della scuola di scienze giuridiche, politiche ed economiche. Il quale avrebbe anche dovuto portare un saluto. Ma adesso aggiunge: «Con il rettore decideremo se revocare la sala».

Gli studenti cadono dalle nuvole. «Invitare chi è pro Technion? Non l’abbiamo mai detto». Dal collettivo “progetto Palestina” si smarcano dall’accusa di aver tenuto nascoste le intenzioni. «Abbiamo sempre detto che era un incontro sul boicottaggio e avevamo dato i nomi dei relatori. Se avevano dubbi, bastava cercare i nomi su Google».

Ma ora anche uno dei relatori, l’antropologo Roberto Beneduce, prende le distanze. Con una premessa: «Quest’iniziati-va è utile e io sono per il boicottaggio». Ma dal punto di vista organizzativo, «se è stata cercata una controparte, e nessuno si è reso disponibile, l’incontro va fatto lo stesso. Se invece non si è cercato il confronto, riconsidererò la mia partecipazione: in un ateneo che senso ha fare seminari o assemblee dove la si pensa tutti uguale?»

Le posizioni

Per il vicerettore alla ricerca Federico Bussolino, che pure è favorevole all’accordo con il Technion, l’Università«deve essere un luogo di discussione, dove si può anche esprimere il dissenso. È meglio un dibattito tra posizioni diverse, ma anche una voce sola deve avere il suo spazio». Non la pensa così Daniela Santus, docente di Geografia culturale: «II diritto d’opinione esiste solo per alcuni, basti pensare a Panebianco a Bologna. Se un gruppo di docenti chiedesse un’aula per proporre di boicottare le istituzioni palestinesi, verrebbe messa a ferro e fuoco». Ugo Volli, docente di semiotica e membro della comunità ebraica: «L’Ateneo deve proibire un incontro contrario allo spirito dell’università e alla Costituzione: è come se i nazisti chiedessero di fare un’iniziativa contro il 25 aprile. Questi studenti sono antisemiti. L’Emt, le università cinesi o lo stesso Politecnico non fanno ricerca militare? Perché se la prendono solo con Israele?». Anche il Poli si è trovato in passato di fronte a scelte difficili sugli spazi da concedere, ad esempio li aveva rifiutati a un incontro «contro il masterplan del Comune sulla Cavallerizza». «Di fronte a un attacco diretto al Technion non darei la sala – dice Sergio Roda, direttore della scuola di studi umanistici – ma non sempre il confine tra politica e scienza è netto».