17 Novembre 2014

Articolo di Lisa Palmieri-Billig sulla conferenza OSCE di Berlino

Fonte:

Vatican Insider La Stampa - http://vaticaninsider.lastampa.it/

Autore:

Lisa Palmieri-Billig

Conferenza Osce di Berlino, «l’antisemitismo aumenta»

I delegati: c’è ancora molto da fare

Il decimo anniversario della Conferenza di Berlino sull’Antisemitismo dell’Osce è coinciso con altri anniversari significativi di novembre: i 104 anni dalla fine della prima guerra mondiale (che iniziò nel luglio di cento anni fa); i 76 anni passati dalla notte dei cristalli; i 25 anni dalla caduta del muro di Berlino. Sono anniversari segnati da contraddizioni che continuano a caratterizzare il mondo oggi.

A dieci anni dalle proteste e dalle risoluzioni internazionali contro l’antisemitismo lanciate da Berlino, quando 55 Paesi mandarono delegazioni di massimo livello, quest’anno il numero di diplomatici internazionali presenti è diminuito di un terzo, ed è anche sceso il numero dei rappresentanti di massimo livello.

Ciononostante, cinquecento rappresentanti dei governi e della società civile di tutta Europa hanno partecipato nella due giorni segnata da vari discorsi commoventi, tra cui quello del ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier e quello del rappresentante permanente degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, l’ambasciatrice Samantha Power, oltre a quelli degli alti rappresentanti della società civile e dei governi di Francia, Svizzera (presidente uscente dell’Osce), Canada, Finlandia, Ucraina, Slovacchia, Russia, Israele, ecc..

Una delegazione diplomatica facente capo al ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e il segretario della Commissione Vaticana per le Relazioni religiose con gli Ebrei, Padre Nobert Hofmann, erano presenti all’evento in qualità di osservatori.

Gli oratori si sono trovati d’accordo che l’antisemitismo è in aumento, e che aumenta spesso in relazione al crescere delle tensioni in Medio Oriente. Nel dichiarare che la protesta politica è legittima, hanno aggiunto che le proteste non devono mai servire come scusa per l’antisemitismo o la violenza.

Secondo un recente sondaggio commissionato in otto paesi europei dall’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti fondamentali, il 25% degli ebrei intervistati ha riferito di essere stato vittima di un episodio antisemita nel corso dell’anno passato. Molti cittadini ebrei della UE stanno pensando di emigrare a causa del peggioramento della situazione, mentre una serie crescente di violenze antisemite ha aumentato le loro preoccupazioni riguardo la propria incolumità.

Proprio di recente ad Anversa, il 16 novembre, un rabbino è stato accoltellato alla gola mentre era di ritorno a casa da una sinagoga; lo scorso maggio, quattro persone sono state uccise da un terrorista nel Museo ebraico di Bruxelles; due anni fa un insegnante e tre bambini – di 3, 6 e 8 anni – sono stati uccisi da un attacco terroristico in una scuola ebraica a Tolosa e nel 2006, un giovane parigino ebreo di origine marocchina, Ilan Halimi, è stato torturato e ucciso.

Il fatto che questi tragici episodi siano quasi sempre motivati dall’ideologia terrorista islamista (che non dobbiamo confondere però con la vera religione dell’Islam!), e alimentati dalla propaganda araba anti-israeliana, coincide in modo preoccupante con le manifestazioni di massa contro la guerra a Gaza che si sono svolte la scorsa estate in varie città europee, e che sono sfociate nella violenza antisemita. Durante le celebrazioni del «Giorno della Bastiglia» a Parigi, duecento fedeli ebrei furono costretti a barricarsi nella sinagoga Don Isaac Abravanel per mezz’ora in attesa di aiuto da parte delle forze di polizia che sono poi intervenute per disperdere una folla inferocita armata di coltelli, asce e spranghe di ferro che cantava «Morte agli ebrei», e che cercava di irrompere all’interno della sinagoga. Allo stesso tempo, sono state lanciate bottiglie molotov contro altre sinagoghe nelle città francesi e tedesche accompagnate da canti quali «Hamas, Hamas, gli ebrei al gas» (a Dortmund) o «Ebreo, Ebreo vile suino, esci e combatti da solo» (a Berlino).

Ha creato grande indignazione la recente richiesta, a Dortmund il 16 novembre da parte di Dennis Giemsch, consigliere comunale del gruppo di estrema destra Die Rechte, di stilare “per ragioni politiche” un elenco di numeri, nomi e indirizzi degli ebrei della città!

Memore di tali eventi, l’ambasciatore Samantha Power, ha ricordato la recente affermazione di Elie Wiesel che “i venti di follia stanno soffiando di nuovo” e che “l’Olocausto ha avuto inizio con le parole”.

In un potente e commovente discorso, ha detto alla platea di Berlino che “l’aumento allarmante degli atteggiamenti e degli attacchi antisemiti in molte parti d’Europa … non è solo pericoloso in sé e per sé, ma rappresenta una minaccia più profonda e più insidiosa per l’ideale liberale europeo che crebbe quando crollò il Muro di Berlino… l’aumento dell’antisemitismo minaccia il progetto di integrazione europea e la promozione della democrazia liberale e delle libertà fondamentali. (L’antisemitismo) è spesso il proverbiale canarino nella miniera di carbone riguardo il degrado dei diritti umani in generale”.

Due giovani leader ebrei hanno preso la parola al pannello conclusivo della società civile dell’assemblea di Berlino, portando alcuni preziosi consigli pratici per prevenire l’antisemitismo e l’indottrinamento dell’islamismo estremista. Ilja Sichrovsky, fondatore e segretario generale della Conferenza islamo-ebraica con sede a Vienna – presente assieme a un collega musulmano – ha raccontato di come è stato in grado di trovare finanziamenti pubblici per portare alle riunioni di Vienna musulmani ed ebrei dei cinque continenti, e ha esortato i delegati dell’Osce a coltivare attività e amicizie interreligiose. “È più rischioso essere bombardati stando seduti in sinagoga che attraversando la strada per dialogare”, ha detto. Jane Braden-Golay, presidente della Confederazione dell’Unione Europea degli studenti ebrei, ha riferito della disponibilità di fondi per programmi di prevenzione della radicalizzazione, come per esempio per un progetto dell’Università di Cambridge che ha dimostrato di poter cambiare gli atteggiamenti. Ha sottolineato che l’educazione dell’Olocausto deve essere integrata con l’insegnamento sulla vita e sul contributo degli ebrei quale aspetto integrante della storia europea.

Wade Henderson, primo rappresentante di una delegazione interreligiosa della Leadership Conference sui Diritti civili e umani proveniente dagli Stati Uniti, ha sottolineato l’importanza di lavorare in un contesto multi-religioso, in quanto l’antisemitismo “non è un problema degli ebrei: si tratta di una minaccia per la società intera”.

La negazione dell’Olocausto, i pericoli del nazionalismo, il rafforzamento della leadership politica, il networking nella società civile, e l’antisemitismo in rete sono stati tra gli argomenti trattati nel workshop.

Il problema della quantità enorme di discorsi di odio in continua espansione su internet è stato al centro delle gravi preoccupazioni di molti dei relatori e in particolare di Stefano Gatti, ricercatore presso il Centro di Documentazione ebraica contemporanea di Milano. Gatti ha svolto una presentazione dettagliata sulla distorsione e la negazione dell’Olocausto in Italia. Non è stato ancora trovato il modo efficace per contrastare il lavaggio del cervello in rete. Tuttavia, dal momento che il potere di questi messaggi di corrompere le menti si nutre dell’ignoranza, gli sforzi per arricchire i programmi educativi nelle scuole sono stati proposti quale antidoto più importante.

L’ambasciatore Felix Klein, inviato speciale della Germania per le relazioni con le organizzazioni ebraiche, ha osservato che la Repubblica Federale aveva portato avanti e continua ancora oggi un processo di esame di coscienza rispetto al passato. Ha affermato di sentire che il medesimo processo riguardo l’antisemitismo è necessario anche in altri paesi, “tra cui il Vaticano, che auspichiamo renda finalmente accessibili gli archivi del tempo di guerra”.

Deidre Berger, direttore dell’Istituto Ramer dell’Ajc (American Jewish Committee) di Berlino ha ospitato un incontro speciale supplementare tra leader e specialisti della sicurezza della comunità ebraiche provenienti da 21 paesi europei oltre agli Stati Uniti, per consentire uno scambio più dettagliato delle informazioni riguardanti problemi specifici delle diverse comunità ebraiche. Thomas Kraus, presidente della Federazione della Repubblica Ceca delle comunità ebraiche ha notato che mentre l’atmosfera che si respira a Praga è buona rispetto al resto dell’Europa, il quadro generale somiglia in maniera inquietante a quello dell’Europa degli anni Venti.

Rav. Andrew Baker, rappresentante permanente del presidente per la lotta all’antisemitismo dell’Osce e direttore dell’Ajc per gli affari internazionali ebraici, che ha giocato un ruolo organizzativo importante in questa conferenza, ha presentato un elenco delle principali raccomandazioni finali, auspicando che vengano approvate in tutti i paesi. Ha chiuso i lavori dell’assemblea dichiarando: “Dopo la guerra, nessuno pensava che gli ebrei sarebbero tornati – ma lo hanno fatto. Gli ebrei oggi si chiedono se ci sia un futuro per i loro figli in Europa. Pertanto, se se lo chiedono gli ebrei, non dovrebbe interrogarsi sul proprio futuro anche l’Europa?”

Lisa Palmieri-Billig è rappresentante dell’AJC in Italia e di collegamento presso la Santa Sede