16 Febbraio 2015

Antisemitismo in Europa dopo l’attentato di Copenhagen

Fonte:

La Stampa

Autore:

Maurizio Molinari

Le comunità ebraiche sotto tiro

Così l’Europa si sta svuotando

Via mezzo milione in un decennio. Netanyahu invita a emigrare in Israele

«I nostri fratelli d’Europa non si sentono più al sicuro, per questo arrivano». Joseph Sitruk, ex rabbino capo di Francia immigrato in Israele, parla ai fedeli della sinagoga Ramban, sulla Amatzia Street, per spiegare l’ondata di arrivi da Francia e Belgio, accompagnata da numeri più esigui ma crescenti di olandesi e britannici. Ramban è una sinagoga di «German Colony», quartiere di immigrati anglofoni ma sulla centrale Emek Refaim si ascolta sempre più spesso il francese e l’attesa dei residenti si concentra sull’imminente apertura di «Nes», pasticceria parigina.

L’eroe della sinagoga

«Fra poco arriveranno anche i danesi» commenta Yaakov, strillone di «Israel Ha-Yom» dalla tuta interamente rossa, commentando le notizie dell’attentato di Copenhagen che inondano i radiogiornali. La trasformazione di questo angolo di Gerusalemme da cittadella di americani in mosaico europeo descrive l’impatto di una «alyà» – immigrazione – dal Vecchio Continente che pochi avevano previsto. L’eroe del giorno, sulla bocca di tutti, è Dan Uzan, trentenne ebreo danese morto davanti alla sinagoga di Copenhagen per impedire ai terroristi di fare strage in una festa di «bat mitzwa» – maggiorità religiosa – affollata di bambini. Uzan era uno dei volontari ebrei che affiancano la polizia danese nel proteggere sinagoghe e scuole: è una realtà che esiste in ogni Comunità d’Europa evidenziando la situazione di assedio in cui vivono gli ultimi 1,4 milioni di ebrei del Vecchio Continente.

È a loro che il premier Benjamin Netanyahu si rivolge, aprendo la seduta del governo, invitandoli a «venire in Israele dove sono a casa» perché «Copenhagen segue l’attentato di Parigi ed è un’ondata che continuerà». Israele stanzia 46 milioni di dollari d’emergenza per sostenere gli arrivi da Francia, Belgio e Ucraina: si tratta di investimenti in scuole e posti di lavoro in loco ma anche di fondi per l’Agenzia Ebraica, tornata a svolgere un ruolo che evoca quanto fatto al termine degli anni Quaranta. Gli «inviati» dell’Agenzia sono in Ucraina per organizzare fughe spericolate di intere famiglie dalle zone dei combattimenti come nelle più isolate località francesi per andare incontro a chi ha scelto la fuga. A descrivere il trauma collettivo in corso vi sono le divergenze nelle Comunità più colpite. Il gran rabbino di Danimarca, Michael Melchior, contesta Netanyahu perché «il terrorismo non è un motivo per fare l’alyà» mentre Yitzchok Loewenthal, rabbino Chabad di Copenhagen, parla di «famiglie chiuse in casa nel timore di subire aggressioni».

«L’Ue fa lo struzzo»

Ronald Lauder, presidente del Congresso mondiale ebraico, chiede alla Danimarca di «proteggere gli ebrei» e ai governi dell’Unione Europa di «riconoscere che è un’ondata di violenza in crescita». «L’Europa tenta di nascondere la testa nella sabbia – commenta da Bruxelles Menachem Margolin, direttore della European Jewish Association – e non fa abbastanza né per la sicurezza né per l’educazione». Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri israeliano, descrive gli ebrei europei come «i più esposti al pericolo del terrorismo perché sono la trincea del mondo libero davanti alla barbarie». Sitruk rimprovera all’Europa di «non aver reagito agli attentati alla scuola di Tolosa nel 2012, al museo ebraico di Bruxelles nel 2014 e al brutale sequestro e omicidio del parigino Ilan Halimi nel 2006».

Ne sono rimasti 1,4 milioni

A spiegare tale «ritardo» è Dina Porat, direttrice del Centro Kantor dell’Università Ebraica di Gerusalemme, nonché considerata la più autorevole studiosa dell’antisemitismo contemporaneo: «Assistiamo a un fenomeno nuovo, come spesso avvenuto nella Storia l’odio contro gli ebrei si manifesta con caratteristiche diverse ed in questo caso il nuovo simbolo del Male è la fusione ebrei-Israele». Si tratta, aggiunge Porat, «di un antisemitismo violento e di matrice religiosa che vede convergere jihadismo, terrorismo e neonazismo» anche grazie «a quanto avviene fra gli immigrati musulmani dove la ricerca di identità porta i più estremisti a cercare il nemico negli ebrei».

C’è tale dinamica all’origine dell’esodo fotografato dalla ricerca del Pew Research Center, curata dal demografo Sergio Della Pergola, secondo cui nel 1945 circa il 35 per cento degli ebrei del mondo viveva in Europa ma ora si è ridotto al 10 per cento. In termini numerici la riduzione è ancora più evidente perché si passa dai 3,8 milioni del 1945 ai 2 milioni del 1991 fino ai 1,4 milioni odierni: negli ultimi 14 anni dunque, in coincidenza con il boom di immigrazione musulmana, se ne sono perduti 600 mila.