29 Marzo 2015

Antisemitismo della cellula terroristica di Andria

Fonte:

Corriere del Mezzogiorno Bari e Puglia

Autore:

Alessandro Leogrande

I jihadisti di casa nostra

Ciò che sorprende, leggendo le parole degli estremisti islamici raccolte nelle motivazioni della sentenza contro la cellula di Andria, è il loro odio feroce. Un odio talmente assoluto contro gli apostati e gli infedeli (cioè tutto l’Occidente in blocco, compresi i regimi arabi corrotti e pronti a collaborare) da apparire a tratti irreale. Dalle circa 600 pagine firmate dal giudice Antonio Diella emerge uno spaccato umano inquietante: un piccolo gruppo dedito al fanatismo, sorto intorno a un call center e a un improvvisato centro di cultura islamica, entrambi gestiti da Hosni Hachemi Ben Hassen. Quando gli affiliati parlano di gruppo o di fratelli non si riferiscono mai a un’entità generica, ma ai gruppi pronti a partire per il jihad, lungo i fronti caldi di mezzo mondo. Il piccolo gruppo condannato si è formato ad Andria, ma era ben collegato con una rete che va dalla Lombardia ad altri paesi europei, fino all’Afghanistan, dove erano sorti numerosi campi di addestramento, prima che la Siria diventasse l’epicentro mondiale del totalitarismo islamista. Il gruppo era costantemente connesso alla rete, da cui scaricava materiali di propaganda, a volte molto dozzinali, ma altre volte abbastanza sofisticati. Come, ad esempio, i poderosi manuali di Abu Musab Al Suri, il primo teorico del jihad ad aver sostenuto la necessità di organizzare la lotta in piccole cellule parallele, senza molti contatti tra di loro. Quella di Andria era una di queste, ma molto simili erano in fondo anche quelle che hanno agito a Parigi o a Copenaghen. La rete si tiene insieme quasi unicamente su una ideologia veicolata in maniera fluida attraverso il web. In particolare, c’è un ossessione della morte, che appare come la totale perversione di ogni fondamento religioso. In uno dei messaggi che i componenti della cellula si scambiano si legge: «Possa Dio sparpagliare i nostri corpi per la sua causa. Voglio che le mie carni vadano in pezzi». I componenti della cellula vivono in Italia, ma sono completamente separati dal resto della società. Completamente separati anche dal resto degli immigrati magrebini. Chiusi in se stessi, non vogliono fare altro che dedicarsi al loro credo totale. Un credo che non ha nulla di propositivo, salvo cercare perversamente la «bella morte», e molto di distruttivo e autodistruttivo. Gli ebrei sono il principale bersaglio del loro odio feroce. Non c’è pagina in cui non si invochi il loro sterminio. In una delle intercettazioni, a ridosso dell’anniversario della Shoah, due di loro si chiedono perché Hitler non abbia uccisi tutti gli ebrei e gli omosessuali: «Ha fatto bene a bruciarli. Se lui li aveva distrutti tutti, il mondo sarebbe meglio». A conferma, ancora una volta, della strana identità di vedute tra l’estremismo islamista e i gruppuscoli neonazisti.