3 Dicembre 2020

La mappa dell’intolleranza 5 anno

La nuova Mappa dell’Intolleranza 5

Nell’anno della pandemia l’odio online si concentra contro le donne, soprattutto se lavorano. E contro ebrei e musulmani.

Esce la quinta edizione della Mappa voluta da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, che fotografa l’odio via social. I risultati? L’odio diminuisce ma si radicalizza. Le donne restano la categoria più colpita, seguite dagli ebrei.

Esce la quinta edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza – Università di Roma e IT’STIME dell’Università Cattolica di Milano.

Al suo quinto anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa – secondo 6 gruppi: donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani – cercando di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono (e quindi per la maggiore “libertà di espressione” ) e per l’interattività che garantiscono.

Strumento essenziale per la mappatura del cosiddetto hate speech, la Mappa dell’Intolleranza si è rivelata anche un utilissimo vettore per individuare e combattere i fenomeni di cyberbullismo, perché dimostra ancora una volta come i social media diventino un veicolo privilegiato di incitamento all’intolleranza e all’odio verso gruppi minoritari, data la correlazione sempre più significativa tra il ricorso a un certo tipo di linguaggio e la presenza di episodi di violenza.

Fattore determinante nell’analisi di quest’anno, che ha riguardato il periodo marzo – settembre 2020, è stato lo scatenarsi della pandemia da Covid-19: ansie, paure, difficoltà si sono affastellate nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti.

È indubbio che il contesto di crisi sanitaria e criticità globale, determinato dalla pandemia, abbia determinato scenari differenti rispetto agli anni passati.

Isolati e impauriti come siamo stati, i social sono diventati per molti di noi terreno privilegiato di incontro e a volte di scontro: ambienti pervasivi e totalizzanti, dove prendono vita le principali dinamiche relazionali di molte persone, sia per quanto riguarda il lavoro che la vita privata. Colpisce, quindi, il dato principale. Lo hate speech è diminuito in modo notevole rispetto al 2019. E anche se il periodo preso in esame nella rilevazione di quest’anno è più lungo, il dato è comunque importante.

Nel corso delle due rilevazioni del 2019 (periodo marzo – maggio e novembre – dicembre), erano stati raccolti un totale di 215.377 tweet nel primo caso, dei quali 151.783 negativi, mentre nel secondo caso 268.433 tweet, dei quali 179.168 negativi (il 70% circa vs. 30% positivi nella prima rilevazione; il 67% circa vs. 33% positivi nella seconda rilevazione). Nella rilevazione del 2020 invece (periodo marzo – settembre), sono stati raccolti un totale di 1.304.537 tweet dei quali 565.526 negativi (il 43% circa vs. 57% positivi). Quello che emerge è una decrescita significativa dei tweet negativi rispetto al totale dei tweet raccolti.

La diminuzione indica uno scenario diverso e una mutazione in corso, rispetto agli anni passati: la rilevazione per esempio dei picchi di odio indica una recrudescenza importante e un accanimento (rilevato anche dal numero di tweet) che parrebbero evidenziare un uso diverso dei social. Un uso, quasi più “professionale”, dove circoli e gruppi di hater concentrano la produzione e la diffusione di hate speech.

Si odia in sintesi in modo diverso, più radicato e radicale, anche se quantitativamente il fenomeno è diminuito: preoccupa questa incisività di intolleranza nel mondo online, ma anche la speculare diffusività di questo fenomeno a livello geografico.

Si odiano le categorie sociali più esposte ai cambiamenti e agli adattamenti necessari per superare l’attuale crisi pandemica: le donne e i migranti.

Si odiano ancora in modo stabile gli ebrei, perché storicamente in ogni periodo di crisi, oggetto di intolleranza.

Un panorama che preoccupa, perché odiare in modo più radicato è il fattore di attivazione di forme diverse e più organizzate di estremismo.

I RISULTATI

Sono stati estratti e analizzati 1.304.537 tweet, rilevati tra marzo e settembre 2020. Tra questi, 565.526 sono stati i tweet negativi.

I tweet sono stati geolocalizzati, dando come risultato le ormai note cartine termografiche dell’Italia. Quanto più “caldo”, cioè vicino al rosso, è il colore della mappa termografica rilevata, tanto più alto è il livello di intolleranza rispetto a una particolare dimensione in quella zona. Aree prive di intensità termografiche non indicano assenza di tweet discriminatori, ma luoghi che mostrano una percentuale più bassa di tweet negativi rispetto alla media nazionale.

Perché Twitter? Sebbene tra i social network non sia quello maggiormente utilizzato, il fatto che Twitter permetta di re-twittare dà l’idea di una comunità virtuale continuamente in relazione e l’hashtag offre una buona sintesi del sentimento provato dall’utente.

Entrando più nel dettaglio, si evidenzia una ridistribuzione dei tweet negativi totali; nel 2019 infatti i cluster più colpiti erano migranti (32,74%), seguiti da donne (26,27%), islamici (14,84%), disabili (10,99%), ebrei (10,01%) e omosessuali (5,14%). Nel 2020, occupano i primi due posti donne (49,91%) ed ebrei (18,45%), seguiti da migranti (14,40%), islamici (12,01%), omosessuali (3,28%) e disabili (1,95%).

Si rileva inoltre una percentuale maggiore di tweet negativi rispetto a quelli positivi nelle seguenti categorie: disabili, donne e islamici. È interessante però notare come all’interno di ogni cluster siano calate le percentuali di tweet negativi rispetto alla rilevazione del 2019, segno, come già sottolineato, di un hate speech meno aggressivo nel corso degli ultimi mesi.

Cinque, le principali considerazioni che emergono dalla ricerca:

Rispetto agli anni passati i linguaggi d’odio sono più diffusi su tutto il territorio nazionale, superando la concentrazione, tipica delle passate edizioni, nelle grandi città.

A fronte della conferma delle categorie più colpite (donne, musulmani, ebrei, migranti), emerge tuttavia una certa stabilizzazione per quanto riguarda soprattutto le persone omosessuali e le persone con disabilità. Segno, probabilmente, della diffusione di una cultura più inclusiva, frutto di campagne comunicative di inclusione sociale e dell’assetto normativo a tutela, che si sta via via costituendo (soprattutto per quanto riguarda le persone omosessuali).

Un focus particolare merita la misoginia, che risulta ancora preponderante. Forti, continuati, concentrati, gli attacchi contro le donne. Ma con una particolarità. Oltre agli onnipresenti atteggiamenti di body shaming, molti attacchi hanno avuto come contenuto la competenza e la professionalità delle donne stesse. È il lavoro delle donne, dunque, a emergere quest’anno quale co-fattore scatenante lo hate speech misogino: un elemento, mai apparso con questa evidenza nelle precedenti rilevazioni, che pare ricondurre alla riflessione più ampia circa le possibilità lavorative delle donne legate al nuovo modo di lavorare durante la pandemia, con un focus di attenzione alla modalità smart working.

Altro focus importante riguarda l’antisemitismo, in crescita come valore assoluto rispetto al 2019 (oggi siamo al 18,45% sul totale dei tweet negativi rilevati, nel 2019 eravamo a 10,01%). Preoccupa, in questo caso, la tendenza ascensionale registrata negli anni, passando dal 2,2% del 2016, in una progressione costante, ai dati attuali. E se è purtroppo storia sin troppo nota lo scoppio di focolai pesanti di antisemitismo nel corso delle epoche storiche attraversate da crisi e paure, c’è da aggiungere che, disaggregando il dato, si coglie invece una curva più positiva. Tra tutti coloro che hanno twittato sugli ebrei, infatti, i tweet positivi quest’anno superano per la prima volta i negativi: 74,6% di tweet positivi, vs 25,4% di negativi. Per tornare al raffronto con il periodo novembre – dicembre 2019, la percentuale era nettamente invertita (69,75% negativi vs. 30,25% positivi).

Altro bersaglio degli hater sono i musulmani. I tweet di odio e discriminazione riferiti ai musulmani si accostano alla più generale categoria della xenofobia (12,01% di tweet negativi sul totale di tweet negativi rilevati nel primo caso, 14,40% di tweet negativi sul totale di tweet negativi rilevati nel secondo). L’odio via Twitter contro i musulmani viene corroborato e attivato sia da eventi nazionali (come il caso della liberazione e rientro in Italia di Silvia Romano), che da eventi internazionali (come l’attacco terroristico a Reading il 20 Giugno). Infine, da sottolineare come la distribuzione geografica dei tweet d’odio o discriminatori contro i musulmani sia più diffusa su tutto il territorio nazionale, pur presentando delle concentrazioni in alcune città del Nord Italia.

I PICCHI

In generale, i picchi più alti di parole e linguaggi d’odio si sono avuti:

Nei confronti dei musulmani in seguito al rilascio e al ritorno in Italia della cooperante Silvia Romano, così come in seguito all’attacco a Reading il 20 Giugno 2020.

Contro gli stranieri, durante il periodo estivo, nel quale si sono concentrati gli sbarchi di nuovi migranti.

Contro gli ebrei, in occasione del 25 aprile e soprattutto del compleanno di Liliana Segre in settembre.

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TWEET DI ODIO

Le maggiori concentrazioni di discorsi d’odio e discriminatori si sono registrate:

Antisemitismo: Piemonte, Lombardia, Roma e Napoli.

Islamofobia: Veneto, Piemonte, Lombardia. Meno diffusi in Lazio e Campania.

Misoginia: quasi tutto il nord Italia. Lazio, Campania e Puglia.

Omofobia: diffusione a livello nazionale, ma con concentrazioni in Puglia e Sicilia.

Xenofobia: Nord Italia in modo diffuso. Campania, Lazio e Puglia.

Disabilità: Nord Italia. Lazio e Campania.

COME È STATA COSTRUITA LA MAPPA

La prima fase del lavoro ha riguardato l’identificazione dei diritti, il mancato rispetto dei quali incide sul tessuto connettivo sociale: questa fase è stata seguita dal dipartimento di Diritto Pubblico italiano e sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano; la seconda fase si è concentrata sull’elaborazione di una serie di parole “sensibili”, correlate con l’emozione che si vuole analizzare e la loro contestualizzazione: questo lavoro è stato svolto dai ricercatori del dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma, specializzati nello studio dell’identità di genere e nell’indagare i sentimenti collettivi che si esprimono in rete.

Nella terza fase si è svolta la mappatura vera e propria dei tweet, grazie a un software progettato dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Bari, una piattaforma di Social Network Analytics & Sentiment Analysis, che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per comprendere la semantica del testo e individuare ed estrarre i contenuti richiesti.

I dati raccolti sono stati poi analizzati ed elaborati da un punto di vista sociologico, dai ricercatori del team di ItsTime, Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies, centro di ricerca che fa capo al Dipartimento di Sociologia dell’università Cattolica di Milano.

Ulteriore fattore di analisi è stato poi il livello di aggressività. Il software è stato “istruito” per estrarre i tweet più aggressivi, evidenziandone il livello di virulenza: la valutazione è stata orientata dalle categorie utilizzate dalla scala MOAS (Modified Overt Aggression Scale).

Il progetto Mappa dell’Intolleranza, è stato messo a punto con il contributo di 4 università (Dipartimento di Diritto pubblico, italiano e sovranazionale – Università’ degli Studi di Milano, Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica – Università Sapienza di Roma, Dipartimento di Informatica – Università Aldo Moro di Bari, Centro Itstime – Università Cattolica di Milano). E da anni entra nelle scuole con progetti specifici contro lo hate speech e il cyberbullismo.

La Mappa dell’Intolleranza è soprattutto un progetto di prevenzione, pensato per amministrazioni locali, scuole, associazioni che lavorano sul territorio. Per chiunque abbia bisogno di strumenti adeguati e mezzi di interpretazione di realtà sempre meno codificabili, per combattere l’odio e l’intolleranza. Per chiunque pensi che tutti noi abbiamo bisogno di nutrire la cultura del dialogo.

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