15 Giugno 2015

Movimento BDS, com’è e come è organizzato

Fonte:

www.mosaico-cem.it

Autore:

Davide Foa

Bds: natura e successo di un fenomeno sempre più insidioso

Che cos’è il movimento Bds (Boycott, Divestment and sactions)? Com’è organizzato? Ma soprattutto, quanto è in grado di danneggiare realmente Israele?

Delle prime risposte a queste domande sono state date da David Meghnagi, professore presso l’Università di Roma 3, e Giovanni Quer, ricercatore alla Hebrew University, in occasione della conferenza “Boicottaggio, disinvestimenti, sanzioni, verso l’isolamento di Israele?” organizzata dall’Associazione Italia-Israele e dalla Federazione Sionistica Italiana domenica 14 giugno presso il Conservatorio G. Verdi di Milano.

Per quanto il movimento Bds sia nato solo nel 2005, Meghnagi precisa fin da subito che “il boicottaggio coincide con la nascita di Israele”. Negli anni ’50, era cosa comune per i paesi arabi boicottare imprese e industrie che collaborassero con lo Stato ebraico.

Non si tratta quindi di un fenomeno moderno. Come accade per ogni processo, anche il boicottaggio “ha avuto alti e bassi”. Infatti, come ricorda il relatore, tra il ’93 il 2000 Israele è stata riaccettata grazie agli accordi di Oslo; quando questi però si mostrarono inadeguati, allora riemerse la vecchia tendenza, che è andata accelerando negli ultimi anni. Una tendenza, quella del boicottaggio, che, secondo Meghnagi, “è stata sottovalutata sul piano politico”.

Il problema del Bds (Boicottaggio, Disinvestimenti, Sanzioni), sembrerebbe quindi non essere compreso a pieno: “si fa fatica a comprendere che il BDS è un fenomeno non legato alla politica israeliana”. Infatti,  il Bds “utilizza i temi della politica ma procede autonomamente su più piani”. Meghnagi spiega che questa incapacità di comprendere le vere finalità del fenomeno ha fatto sì che molti siano caduti nella sua rete.

Se è vero che la storia insegna, uno sguardo al passato non dovrebbe far male; così Meghnagi ricorda per esempio il caso Dreyfus ma anche i primi segnali dell’antisemitismo in Europa negli anni ’30: anche allora la malattia del mal-comprendere era piuttosto diffusa.

Di cosa dunque abbiamo bisogno? Unità cognitiva. “Avere unità cognitiva significa comprendere quali forze sono in gioco”; purtroppo però “un singolo osservatore difficilmente riesce a cogliere l’unità cognitiva del processo ed è portato a pensare che il Bds non sia antisemitismo”.

Il fatto preoccupante, secondo Meghnagi, è la normalità con cui vengono trattati certi argomenti. Per esempio, oggi è normale che alcune università decidano di non invitare ospiti israeliani.

E domani, cosa sarà normale? Il Bds non è altro che un processo e “i processi avvengono per fasi: una fase ne prepara un’altra e rende normale il fatto compiuto”. Si passa da una degenerazione all’altra, senza accorgersene.

Ma perché proprio Israele? Come si spiega il fatto che “nessuno boicotta paesi come l’Iran o l’Arabia Saudita” ? Facile: “si spiega con la politica del doppio standard: lo standard utilizzato per giudicare Israele non è lo stesso utilizzato per gli altri paesi”.

Per combattere tutto ciò, Meghnagi sceglie il piano scientifico: “bisogna mettere in discussione certi luoghi comuni” che da tempo, sin dal ’67, sono presenti nell’ambiente universitario ma non solo.

Ecco allora la risposta concreta di Meghnagi che nella sua università dirige l’International Center for Modern Jewish Civilization and Israel Studies.

Per comprendere più a fondo il Bds, dalla sua struttura ai suoi reali obiettivi, l’Associazione Italia-Israele e la Federazione Sionistica Italiana hanno chiamato l’esperto Giovanni Quer.

Il relatore chiarisce fin da subito che si tratta di “un fenomeno molto stratificato che colpisce qualsiasi entità legata a Israele”.

Tutto ha inizio nel 2001, precisamente durante una conferenza organizzata in Sudafrica; lo scopo doveva essere la discussione di temi come xenofobia e razzismo, in realtà si è dato sfogo a sentimenti antisemiti. Proprio in quella conferenza, a Durban, è stata definita la strategia del Bds, che aveva come punto centrale la visione di Israele come uno stato razzista e di apartheid. Nel 2005 il Bds lancia un appello, prontamente firmato anche in Italia da Cgil, Fiom e Rifondazione comunista.

Secondo Quer, il movimento Bds non ce l’ha tanto con le scelte della politica israeliana, il suo “vero fine non è lo smantellamento delle colonie”. Per comprendere questo punto, basta considerare il linguaggio utilizzato nei documenti del movimento. Si capisce come “l’esistenza di Israele e soprattutto il sionismo sono nel mirino del Bds”.

Israele viene visto come un pericolo. “La presenza ebraica nel Medioriente è per loro (Bds) una presenza coloniale e di disturbo”, afferma Quer. Anche in questo caso la storia può aiutare: la parola “pericolo” accostata al popolo ebraico non è certo una novità.

Il Bds è stato in grado di intaccare gli ambienti politici, intellettuali e religiosi. E’ entrato nel mondo cristiano, facendo sì che si tornasse “a forme di antisemitismo che si pensavano abbandonate con il dialogo ebraico-cristiano iniziato negli anni 60”.

Tramite la religione si arriva ad affermare la violenza dei sionisti, ovvero di coloro che “agiscono secondo le volontà del Dio violento, non avendo accettato il Vangelo”. In questo modo Quer mostra la “visione teologica dell’illegittimità dell’esistenza dello Stato di Israele”.

Necessariamente, chi critica il sionismo loda la diaspora ebraica. Un esempio ricordato dal relatore, è quello della filosofa Judith Butler secondo cui il sionismo sarebbe una “snaturalizzazione dell’essenza ebraica.”

Dopo il successo ottenuto in Norvegia e Svezia, paesi che adottano il disinvestimento come politica statale, il Bds ha influenzato per la prima volta anche la politica italiana il mese scorso, quando, come ricorda Quer, “un gruppo di senatori di Sel ha avanzato una mozione parlamentare per impedire che l’Acea abbia rapporti con l’impresa israeliana Mekorot.”

I disinvestimenti “fanno leva sul diritto internazionale” e la cosa interessante, specialmente per i paesi nordici prima citati, è che quando si parla di Israele “non vengono utilizzati gli stessi standard etici validi per gli altri paesi”. Si torna alla politica degli standard sottolineata da Meghnagi.

Quer pone inoltre l’accento sulle contraddizioni interne al Bds, una su tutte la sua pretesa di essere a favore della pace e della giustizia. Il problema è quale giustizia, dato che “propongono una visione della giustizia massimalista, che non appoggia il dialogo ma che vuole imporre solo una visione, nutrendosi di antisionismo e antisemitismo.”

Gli effetti su Israele

Ma Israele come sta? Quali sono effettivamente i danni causati dal Bds? Secondo Quer “per ora Israele non ha subito grandi danni, ma siamo solo all’inizio. L’appello è stato lanciato solo nel 2005.”

Per Meghnagi gli anticorpi al Bds ci sono, ma non se ne parla. E’ necessario, in questo senso, mantenere uno spirito positivo e “non vivere di paranoia”. Il Bds va combattuto, ricordandoci però che “ ogni generazione deve vincere la sua battaglia: non si esce dall’Egitto una volta per sempre”.