4 Febbraio 2016

Motivazioni della condanna in primo grado di un gruppo di presunti jihadisti

Fonte:

La Repubblica edizione di Bari

Autore:

Gabriella De Matteis

Jihadisti reclutati in una moschea per i falsi documenti

Le motivazioni della sentenza di condanna contro cinque terroristi ad Andria: dovevano entrare nell’Ue

La moschea di Andria e il call center, gestito dall’ex imam Hosni Hachemi Ben Hassem, erano «strutture logistiche e di indottrinamento» dove «si perseguiva un preciso programma criminoso, consistente nell’avviare delle persone sulla via della radicalizzazione per farne degli aspiranti combattenti e cioè dei soggetti disponibili a compiere atti di violenza con finalità di terrorismo». Con queste parole i giudici della Corte di Assise di Appello spiegano perchè, nell’ottobre scorso, hanno confermato la condanna di primo grado per cinque cittadini tunisini, accusati di terrorismo. Una sentenza che costituisce un precedente: è una delle prime in Italia a sancire l’esistenza di una cellulla terroristica che aveva nel nostro paese la sua base logistica. Le indagini, coordinate dai pm Eugenia Pontassuglia e Renato Nitti e condotte dai carabinieri del Ros, accertarono come l’ex imam di Andria avesse trasformato la moschea e il call center in una scuola per aspiranti jihadisti, con l’obiettivo anche di «procurare falsi documenti di identità validi per tutta l’area Shengen». «E’ risultata provata – scrivono i giudici – un’organizzazione di persone e di mezzi che, per quanto rudimentale, perseguiva un programma consistente nell’avviare delle persone sulla via della radicalizzazione al fine di farne dei combattenti per la jihad». Nelle motivazioni della sentenza, la Corte d’Assise d’Appello ricostruisce la centralità nell’organizzazione della moschea e del call center di Andria. La prima «fungeva in realtà da rifugio per gli appartenenti al gruppo che versavano in condizioni di clandestinità». Agli atti dell’indagine ci sono intercettazioni, i risultati di servizi di appostamento, ma anche l’esito dell’esame dei filmati visionati su internet dai cinque imputati nel call center di Hosni dove «venivano ascoltati e scaricati sermoni radicali pronunciati da riconosciute autorità dell’estremismo islamico, si registrava la partecipazione a forum aventi ad oggetto attività di propaganda legata alla jihad». Ed era proprio Hosni, condannato alla pena più alta di 5 anni e due mesi, il capo dell’organizzazione della quale facevano «parte diversi militanti jihadisti che da contesti di emarginazione sociale erano stati progressivamente condotti, attraverso un processo di radica-lizzazione, sino alla prassi terroristica». Ed è sempre l’ex imam, commentando il terremoto a L’Aquila nel 2009, a dire: «Dio è grande, la maggior parte delle chiese sono crollate». «Le conversazioni intercettate – dicono i giudici – pullulano di manifestazione di odio verso gli ebrei e gli occidentali». La sentenza conferma l’allarme lanciato anche sabato, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. L’indagine, infatti, secondo la corte, dimostra che «l’area barese e foggiana ( notoriamente popolata da folte comunità di immigrati, sita a ridosso dei Balcani e, perciò, in posizione di apertura verso l’Oriente ed il Nord Africa) era risultata essere tra le zone più sensibili e, cioè, a rischio di diffusione del fenomeno terroristico». Dei cinque terroristi quattro sono in carcere. Oltre al capo dell’organizzazione sono stati condannati a 3 anni e 4 mesi Hammami Mohsen, Ifauoi Nour, Khairredine Romdhane Ben Chedli. Chamari Hamdi al quale era stata inflitta una pena di 2 anni e otto mesi è stato scarcerato ad ottobre perchè aveva scontato la condanna.