17 Febbraio 2015

Episodio di antisemitismo in Austria

Fonte:

Israele.net

Autore:

Aharon Lapidot

La legittimazione dell’antisemitismo

I recenti attentati in Europa dimostrano che le parole possono uccidere

“L’appello ad uccidere tutti gli ebrei è una legittima critica di Israele”. Questo terrificante concetto non è stato proferito dai capi iraniani né dai loro alleati di Hezbollah, e nemmeno dal portavoce di Hamas, nel qual caso non costituirebbe una grande notizia. Questo concetto è stato espresso nientemeno che dall’ufficio del procuratore generale della città di Linz, in Austria: il funzionario legale di un moderno paese occidentale.

Sì, proprio nel paese che ha dato i natali ad Adolf Hitler si è toccato un nuovo culmine di ingiustizia e cinismo. Nella mente dei questi austriaci, lo stato di Israele è così orrendo che invocare la distruzione sua e di tutti gli ebrei viene considerata una “critica legittima”.

La vicenda è passata del tutto inosservata dai mass-media (ad eccezione del Jerusalem Post, a quanto mi risulta, che l’ha ripresa da quotidiano locale Oberösterreichische Nachrichten). Il contesto della vergognosa affermazione era un post messo su Facebook da un parrucchiere locale di origine turca, Ibrahim B., di 29 anni, corredato di una foto di Hitler e una falsa citazione che gli viene spesso attribuita e che suona così: “Avrei potuto uccidere tutti gli ebrei, ma ne ho tenuti alcuni in vita affinché si capisse il motivo per cui volevo sterminarli”. Ibrahim B. aveva aggiunto un’invocazione ad Allah perché eliminasse lo stato ebraico dalla faccia della terra.

Qualcuno ha visto il post e ha avvertito la polizia, che ha aperto un’indagine per verificare se il parrucchiere avesse violato la legge austriaca che vieta l’apologia del nazismo. Quando il caso è arrivato sul tavolo del pubblico ministero di Linz, questi ha deciso che si trattava soltanto di “un’espressione di insofferenza verso i comportamenti di Israele durante l’operazione Margine Protettivo nella striscia di Gaza” e di una legittima la critica di Israele. E ha chiuso il caso.

La domanda che si pone è se l’appello alla distruzione degli ebrei, per quanto penoso e ingiurioso possa essere, rientri nei limiti del concetto di libertà di espressione. Lo scorso fine settimana, un terrorista ha aperto il fuoco contro una sinagoga a Copenhagen uccidendo il guardiano ebreo Dan Uzan. Il mese scorso quattro ebrei sono stati uccisi in un supermercato kasher di Parigi. Questi due avvenimenti sono correlati. L’attacco al supermercato kasher è avvenuto due giorni dopo l’attacco terroristico contro gli uffici di Parigi della rivista satirica Charlie Hebdo. L’attacco alla sinagoga di Copenaghen è avvenuto poche ore dopo il tentativo, nella stessa città, di assassinare un artista svedese che ha pubblicato vignette critiche verso l’islam (e le altre religioni). Già c’erano stati l’attacco terroristico al Museo Ebraico del Belgio a Bruxelles, lo scorso maggio, in cui è stata assassinata una coppia di turisti israeliani, e la raffica di attentati a Tolosa del marzo 2012 culminata nell’uccisione di tre bambini alla locale scuola ebraica. E l’elenco potrebbe continuare.

Questi eventi recenti dimostrano che le parole possono uccidere. Ci sarà sempre qualcuno – un individuo, un gruppo o anche uno stato – che decide di tradurre le parole velenose in azioni sanguinarie. Sarà magari gente meno istruita, meno riflessiva, incapace di cogliere la sottile distinzione fra critica legittima e istigazione alla violenza, ma è gente che sa bene come si preme un grilletto e come si fa detonare un ordigno.

L’affermazione del procuratore austriaco è persino peggio del post su Facebook del miserabile parrucchiere di Linz. Parafrasando Hannah Arendt, questa è legittimazione dell’antisemitismo e la libertà di parola non equivale a una licenza di uccidere gli ebrei. Abbiamo già visto questo scenario innumerevoli volte, nel corso della storia, e in particolare nel XX secolo.

(Da: Israel HaYom, 16.2.15)