17 Gennaio 2014

Spettatori e fan del comico antisemita Dieudonné

Fonte:

Internazionale

Autore:

Soren Seelow

L’esercito di Dieudonné

Le autorità francesi hanno vietato gli spettacoli del comico noto per le sue battute antisemite. Ma chi sono i suoi spettatori? E che ne pensano delle sue provocazioni? Il reportage di Le Monde

In uno sketch il comico Dieudonné ha paragonato il suo pubblico a “una scatola di matite colorate”. In effetti basta assistere a uno dei suoi spettacoli al teatro della Main d’Or, a Parigi, per capire che ha ragione: in Francia sono poche le sale dove si ritrovano – fianco a fianco per ridere alle stesse battute -arabi, neri, bianchi, giovani delle periferie, elettori di estrema sinistra, di estrema destra, razzisti, antirazzisti, antisemiti e anti-sionisti. Tutti insieme per ridere alle spalle della comunità ebraica – l’unica assente – e per il gusto di rompere l’ultimo grande tabù: la Shoah.

In una Francia profondamente divisa, si attribuisce spesso a questa folla eterogenea un denominatore comune: l’odio per gli ebrei. Ma tra gli spettatori e i fan di Dieudonné (il cui spettacolo Le Mur è stato vietato dalle autorità francesi con un provvedimento confermato dal consiglio di stato) ci sono anche persone della classe media, politicamente moderate, spesso di sinistra e che dichiarano di non essere antisemite. E’ a loro che abbiamo dato la parola. Gli spettatori che abbiamo incontrato hanno una vera e propria venerazione per il comico, che considerano come “il più brillante della sua generazione”. Nico, 22 anni, impazzisce per Dieudonné da quando ne aveva 16. Studia legge alla Sorbona e alle ultime elezioni ha votato per il Nuovo partito anticapitalista (sinistra radicale) al primo turno e per i socialisti al secondo. La scoperta della comicità del “provocatore” Dieudonné è stata per lui uno shock “brutale e salutare al tempo stesso” in una società “conformista, compassata e benpensante”. Per Nico la battaglia di Dieudonné è riassunta in una frase: “Di fronte a una risata tutti sono uguali”. Una risata “liberatoria”, alla quale ha ceduto anche Guillaume, 22 anni, studente di lingue a Rennes. Secondo lui, l’umorista deve “impadronirsi degli argomenti seri”, ambizione in gran parte trascurata dai comici di oggi. Come racconta Guillaume, Dieudonné gli ha fornito diversi spunti di riflessione- sul conflitto israelopalestinese o sugli aborigeni in Australia – che lo hanno spinto a fare delle “ricerche su temi non trattati dai mezzi d’informazione”. “E’ vero, Dieudonné fa riflettere”, afferma Patrick, 29 anni, funzionario del comune di Marsiglia.

Due pesi e due misure

Ridere e riflettere. I due verbi sono strettamente collegati per il pubblico di Dieudonné. E nel mirino delle critiche c’è la Shoah. Nico è un ragazzo intelligente, e ammette di “voler pesare bene le parole” prima di avventurarsi su un terreno così difficile: “La Shoah deve davvero essere il tabù per eccellenza? II mezzo migliore per essere consapevoli della nostra storia è la risata: ridere della schiavitù, della colonizzazione e della Shoah. Se c’è una cosa di cui bisogna ridere, sono proprio le diverse comunità, tutte le comunità. E’ l’unico modo per arrivare all’ideale repubblicano originario”.

Secondo Guillaume, la Shoah rappresenta l’ultima sfida dell’umorista, perché la sua “strumentalizzazione da parte dei sionisti” – che sarebbe orchestrata da associazioni come la Licra (Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo) o il Consiglio delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif) – ne ha fatto il tabù per eccellenza del dibattito democratico. In quest’ottica, la censura di Dieudonné confermerebbe la dimensione politica delle sue “provocazioni”. I sostenitori di Dieudonné fanno risalire la “sacralizzazione” della Shoah alla scuola. “E’ dalle elementari che ce ne parlano”, sospira Nico. “Siamo colpevolizzati fin da piccoli”. Questo senso di colpa Nico vorrebbe lasciarlo alle generazioni precedenti, liberarsene attraverso la risata. Secondo i fan di Dieudonné, i suoi spettacoli sono una valvola di sfogo e un mezzo per correggere questo “squilibrio” nel ricordo dei crimini razzisti. “Mangiamo pane e Shoah da sempre. Rispetto questo momento della storia, ma non più degli altri. Per esempio non ho mai sentito parlare del genocidio ruandese”, dice Guillaume, cancellando così ogni dibattito sulla specificità della Shoah.

I giovani provenienti dall’immigrazione hanno vissuto questa trasmissione della memoria come una “gerarchizzazione dei razzismi”. Di padre tunisino e madre francese, Karim ha 35 anni, è laureato in scienze politiche e sociologia e si definisce “anticolonialista e filopalestinese”. “A scuola ci parlano dei crimini della Germania, e molto meno di quelli francesi, cioè colonialismo e schiavitù”, dice. “Hanno paura di creare un sentimento antifrancese tra i giovani figli dell’immigrazione. Ma così succede l’esatto contrario. La politica di due pesi e due misure presente nella nostra lettura etnocentrica della storia continuerà a creare problemi. Tutto questo va oltre Dieudonné. Sarkozy voleva che ogni alunno di quinta elementare si facesse carico della memoria di un bambino morto nei campi di sterminio. E’ troppo. Non si ragiona della Shoah con gli stessi strumenti intellettuali usati per i crimini coloniali. Dieudonné ha messo il dito nella piaga. E per i figli dell’immigrazione è stata una rivelazione: finalmente c’è qualcuno che parla di certe cose”.

L’eterna ossessione

I fan di Dieudonné di religione ebraica sono abbastanza rari. Tra loro c’è Jonathan Moadab, giornalista di 25 anni, ebreo praticante e antisionista. Anche lui ha sviluppato una lettura critica della Shoah dalle sue visite ai campi di concentramento in Polonia. Questo “indottrinamento vittimistico” negli ebrei ha prodotto – secondo lui – una “sindrome da stress pretraumatico”, che porta a temere “il ritorno delle camere a gas a ogni sketch di Dieudonné”.

Jonathan ha visto Dieudonné alla Main d’Or nel 2011. Tre anni prima il comico aveva fatto salire sul palco lo storico negazioni-sta Robert Faurisson per consegnargli il “premio all’impresentabilità”. Uno sketch che non l’ha traumatizzato. “Le battute di Dieudonné sulla Shoah non prendono di mira la Shoah in quanto tale, ma la sua strumentalizzazione, descritta dal politologo Norman Finkelstein. Purtroppo siamo arrivati a un tale livello di castrazione del dibattito che non si riesce più a discutere con le persone che non hanno le nostre idee”.

Ridere di tutto, parlare di tutto e con tutti. Questa “libertà di parola assoluta” che caratterizza la cultura della rete è stata trasportata sul palcoscenico da Dieudonné. E questo livellamento dei diversi punti di vista – che hanno tutti diritto di cittadinanza – si ritrova nel percorso politico dell’umorista, transitato dalla sinistra antirazzista all’estrema destra passando per Alain Soral, il discusso intellettuale ex comunista oggi su posizioni nazionaliste e antisemite. Una confusione libertaria che esercita un certo fascino sul pubblico di Dieudonné, convinto che in Francia “non ci sia rispetto per la libertà di espressione”, come dice Karim. Che però, come altri fan con idee politiche più salde, ha preso le distanze dal comico dopo il suo avvicinamento a Soral e a causa della “sua delirante ossessione per gli ebrei”. Karim, tuttavia, è pronto a tornare a vederlo a teatro, spinto anche dall’ostracismo generale. Questa fedeltà si spiega inoltre con la radicalizzazione progressiva del comico, giustificata dai suoi ammiratori: Dieudonné ha sempre criticato tutte le comunità, fino a quando, nel 2003, non ha messo in scena lo sketch sul saluto nazista del colono ebreo che gli è costato l’allontanamento dalla tv e ha segnato l’inizio dei suoi problemi legali. In quel momento il comico comincia a prendersela, con provocazioni ed eccessi, con il “sistema”, identificato con la “lobby sionista”, spiega Karim. “Da li sono nate le tensioni e le polemiche, che Dieudonné ha ampiamente contribuito ad alimentare”, ammette Henry, 31 anni, avvocato ed elettore socialista “deluso”. “Invece di scusarsi, il comico ha rincarato la dose. E la situazione si è complicata sempre di più”, conferma Karim.

Come molti difensori di Dieudonné, Guillaume cita il caso di un altro comico, Pierre Desproges, morto nel 1988, per denunciare “l’accanimento” contro il suo idolo: “Desproges scherzava sugli ebrei, dicendo che durante la seconda guerra mondiale prendevano il treno gratis. Oggi sarebbe impossibile”. Ma Desproges non ha mai avuto posizioni antisemite. Al contrario Dieudonné sfrutta l’ambiguità che circonda le sue idee politiche per unire il suo pubblico. Tra i suoi sostenitori storici, tuttavia, tutto questo provoca qualche imbarazzo. Dieudonné è davvero antisemita? I pareri sono discordanti. Per Karim, non è un “antisemita viscerale”, ma potrebbe aver sviluppato “tendenze antisemite”. Samy Ghernouti, 39 anni, di padre algerino, grande appassionato della quenelle (il gesto inventato da Dieudonné, una sorta di saluto nazista al contrario), è tassativo: “Quelli che vengono ai suoi spettacoli perché sono antisemiti non hanno capito nulla. Non li vogliamo”. Per Guillaume la risata ha la precedenza su tutto: “In fondo sono un po’ ipocrita, quando dice cose che non mi piacciono cerco di non ascoltarlo”. In certi momenti anche Nico avverte un certo imbarazzo: ” Dieudonné è antisionista o antisemita? Non lo so. Quel che è certo è che rifiutando di chiarire la sua posizione non serve più la causa che serviva all’inizio”.