26 Giugno 2025

Rosignoli lascia gli incarichi nell’Anpi: “Assistiamo a una normalizzazione dello stigma, a un antisemitismo sempre più esplicito”

Parla di scelta «dolorosa, ma necessaria». Rocco Rosignoli lascia gli incarichi che ricopriva all’interno dell’Anpi – la vicepresidenza di sezione e la presenza nella segreteria cittadina di Parma – dopo mesi di «disagio crescente» per la linea dell’Associazione sulla guerra in Medio Oriente. Anche perché sottovalutare e addirittura ridimensionare l’allarme antisemitismo è «ancora più inaccettabile»: un atteggiamento «gravemente irresponsabile».

Feroce contro Israele e il riarmo, divisa sull’Ucraina e sugli ayatollah dell’Iran. Cosa sta succedendo nell’Anpi?
«Non conosco tutti i retroscena, ma da marzo ho notato un cambio di rotta. Alcune posizioni pubbliche mi sono apparse incoerenti con i valori che hanno sempre guidato l’Anpi. Una deriva che mi ha messo profondamente a disagio».

Una deriva anti-Occidente…
«Non parlerei di anti-Occidente, ma alcune scelte recenti, come la contraddittoria partecipazione alla manifestazione del 15 marzo, sono apparse in contrasto con la vocazione dell’Anpi. Poi l’uso dell’hashtag #FreePalestine subito dopo il 25 aprile ha spostato il discorso su un piano fortemente ideologico. Non è solo un invito alla pace o all’autodeterminazione, ma uno slogan politico connotato, che in certi contesti implica la cancellazione dello Stato di Israele».

Ed è per questo che lei ha deciso di dimettersi dagli incarichi che ricopriva…
«Il disagio è cresciuto nel tempo. Già a febbraio 2024, lo slogan “Impediamo il genocidio” aveva lasciato intravedere un’influenza sempre più ideologizzata. Comprendo la gravità della crisi a Gaza, ma usare il termine “genocidio” in senso improprio, senza rigore giuridico, polarizza il dibattito e ostacola il confronto. Dopo Marzabotto e le parole del presidente Pagliarulo, ho capito che non potevo più rappresentare quella linea».

Perché si chiudono gli occhi sul 7 ottobre?
«Per alcuni partire dal 7 ottobre sarebbe parziale, per altri è un evento da rileggere in chiave complottista. Ma resta un fatto: fu un attacco deliberato contro civili ebrei, con intento stragista. Minimizzarlo o giustificarlo in nome della contrapposizione oppressi/oppressori è un grave errore. E rivela, talvolta inconsapevolmente, una forma di pregiudizio antiebraico».

E ora la sola speranza di far cadere il regime iraniano viene vista come una bestemmia. Come mai?
«Condivido il rifiuto della guerra come strumento per risolvere i conflitti: è un principio che sento mio. Ma altra cosa è ignorare il ruolo dell’Iran nella destabilizzazione regionale. Le minacce di Teheran e il suo coinvolgimento nei fatti del 7 ottobre sono documentati. Dipingere Israele come unico nemico della pace è una visione distorta e pericolosa. Questo non significa chiudere gli occhi sul dramma umanitario in corso a Gaza, che è reale, gravissimo, e richiede risposte concrete sul piano politico, diplomatico e umanitario. Ma non possiamo difendere i diritti di un popolo negando l’esistenza dell’altro».

In tutto ciò l’antisemitismo dilaga nel mondo…
«È questo, più delle posizioni sul conflitto, che mi ha fatto sentire fuori posto. Gli ebrei italiani si sentono isolati, sotto accusa solo per ciò che sono. Assistiamo a una normalizzazione dello stigma, a un antisemitismo sempre più esplicito. Che l’Anpi lo minimizzi o lo liquidi come “accuse a capocchia” è inaccettabile. L’antisemitismo non è un retaggio del passato, ma una realtà viva, che si insinua nei linguaggi, nei simboli, nelle narrazioni. Non si può tollerare, né relativizzare. Su questo non transigo».

Allora perché in molti minimizzano e addirittura deridono chi denuncia il ritorno della caccia all’ebreo?
«Spesso si confonde la strumentalizzazione con la realtà. Sì, l’accusa di antisemitismo può essere usata in modo opportunistico da certa destra israeliana. Ma ciò non giustifica l’indifferenza verso l’antisemitismo autentico, che ha radici antiche e oggi rinasce in nuove forme: nelle aggressioni e intimidazioni quotidiane, nell’antisionismo che travalica la critica e arriva a negare la legittimità di Israele. Dire “sono contro la Shoah” non basta: serve una vigilanza attiva, lucida e coerente».

Il raduno a Marzabotto dedicato a Gaza ha evocato una sorta di parallelismo tra la Resistenza italiana e Hamas. Questa sì che è una bestemmia…
«La Resistenza era armata, ma lottava per giustizia e libertà. Hamas rappresenta l’opposto: fondamentalismo, terrore, annientamento dell’altro. Non so se sia stata goffaggine o strategia, ma equipararli è un grave errore. L’Anpi ha sviato dalla sua posizione storica (“due popoli, due Stati, rifiuto della violenza”). È lì che ho capito che la direzione era definitivamente cambiata».

I compagni della segreteria di Anpi Parma come hanno reagito alla sua decisione?
«Con rispetto e dispiacere, sono amici e compagni di valore, e mi duole interrompere il buon lavoro svolto insieme. Ma per me, ormai, tacere sarebbe stato complice. Ho sentito il dovere di affermare con chiarezza: “Così, è inaccettabile”».