3 Luglio 2020

Riflessione di Andrea Atzeni su recenti casi di antigiudaismo

Fonte:

Moked.it

Autore:

Andrea Atzeni

L’antigiudaismo e le radici dell’Europa

L’apertura degli archivi su Pio XII è stata immediatamente accompagnata da prevedibili reazioni di copertura propagandistica e censura preventiva, dall’inquieta manipolazione dei fatti, dall’ormai irriflesso ribaltamento del loro significato, dal consueto ossessivo rifiuto di scandagliare le questioni. Il quasi contemporaneo rinvenimento della lista di dodicimila nazisti riparati in Argentina col bottino rubato agli ebrei d’Europa poteva suonare come una risposta, se anche in questo caso non si fosse preferito dimenticare il ruolo del Vaticano nel sottrarre alla giustizia i criminali fuggiaschi. È sempre lo stesso antico nodo rimosso che viene a galla a fatica ma agisce comunque nel profondo.

È stato un paradossale merito del famigerato intervento di Dacia Maraini sul Gesù “sardina” natalizia (con un accostamento già bastevolmente ridicolo) l’aver riportato all’attenzione di tutti la sostanza prima del bimillenario odio antiebraico. Ed è significativo che a farlo in quel modo non sia stato qualche reazionario sanfedista ma un’intellettuale che si vorrebbe laica e progressista oppositrice del pregiudizio. Tale è infatti il carattere originario della presunta cesura manichea dell’era volgare che “una gran parte del mondo” può rappresentarsi fondata su di essa. A prescindere magari da opinabili rivelazioni, ma comunque con una ingenua fede nel destino taumaturgico, nel prodigioso sorgere di colui che avrebbe negato l’esecrato ebraismo, in cui pure e anzi proprio a questo scopo era nato, “introducendo per la prima volta nella cultura monoteista il concetto del perdono, del rispetto per le donne, il rifiuto della schiavitù e della guerra”. D’improvviso il Bene che si fa carne, fuori ci resta solo il Male che, se non fosse surreale, verrebbe da dire assoluto.

Nonostante che, come ha osservato rav Riccardo Di Segni, pure le Scritture ebraiche parlino “di pace, perdono e amore, esaltando ruoli femminili”. E anzi, pare doveroso aggiungerlo, nonostante nei Vangeli e nelle altre scritture cristiane si possano trovare per converso innumerevoli rivendicazioni di intolleranza, violenza e persecuzione: “Chi non è con me è contro di me”, “Non sono venuto a metter pace ma spada”, “Che c’è tra me e te, o donna”, “Costringili a entrare perché la mia casa si riempia”, e così via. Per non parlare poi appunto degli appigli neotestamentari dello stesso antigiudaismo. Persino l’ebraicità di Gesù, invocata da alcuni anche in questa occasione per sanare in modo spiccio il dissidio, è sempre stata un puro dettaglio cronachistico da impiegare con finalità opposte. Egli è stato a ben vedere il prototipo dell’odio ebraico di sé, dei propri padri e della loro “severa e vendicativa religione”, del proprio popolo che reclama che “il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”.

La trasfigurazione trinitaria completa il quadro, perché rende quasi blasfemo condannare la pretesa assolutista, relativizzare, attenersi ai documenti, reclamare la storicizzazione. Solo un mese prima ce l’aveva ricordato il politico boxeur Tuiach, dichiarandosi offeso “in quanto profondamente cattolico” al solo sentir parlare di un Gesù ebreo piuttosto che divino. È il dogma teologico che fa a pugni con la natura umana, e colpisce sotto la cintola. La mancanza di bon ton di Tuiach non può però essere ridotta a una sua personale dissociazione, in fondo è giusto un piccolo distratto ritardo sul più recente galateo dottrinario di dialogo interconfessionale, che sembra aver toccato solo in superficie le masse cattoliche e non solo lui. Per fortuna, come pure è stato detto, c’è sempre spazio per la benvenuta e benevola libertà ermeneutica in campo religioso. Prima ancora bisognerebbe perlomeno preservare la storia, coi suoi accidenti talvolta spiacevoli, da certe eteree e rassicuranti costruzioni intellettuali.

Sempre a novembre, a Milano, assisto alla presentazione di un saggio sull’antisemitismo che culmina nella deplorazione del mancato richiamo alle fantomatiche radici giudaico-cristiane nella Costituzione europea. Quasi che il mero proclamarle potesse per vie misteriose prevenire la trasmissione del tragico male in questione (almeno nella sua versione cristiana così esorcizzata). Se solo l’impiego della formula non facesse al contrario sospettare l’accorta potatura delle vecchie radici e la loro tacita sostituzione con un innesto sano, una talea geneticamente modificata di cui si auspicherebbe l’attecchimento. Il pericolo è quello della riscrittura del passato, o almeno dell’occultamento di una sua parte rilevante, che, sia pure intesa a fin di bene, alla lunga non può che avere esiti controproducenti.

Fra l’altro chi in tale occasione così si rammaricava ha spesso scritto su una cattolicissima testata cui collabora, di “radici cristiane”, sempre però senza prefissi “giudaici” di sorta, e talvolta in difesa di personaggi, come Orban, non proprio in regola col rispetto delle minoranze, a partire da quella ebraica. Tuttavia, durante quella stessa serata, gli interventi precedenti al suo non avevano potuto tacere su alcuni capisaldi cristiani dell’antisemitismo. Qualcuno aveva persino ricordato l’opinione di Agostino, per il quale era sì volontà divina che gli ebrei fossero tenuti in vita, ma in stato di soggezione e abiezione, dispersi tra tutte le nazioni, per testimoniare così la loro malvagità e il trionfo del cristianesimo, fino alla fine dei tempi, quando anch’essi, nonostante la loro ottusa sordità spirituale, avrebbero dovuto finalmente ascoltarne l’autentico messaggio e accoglierlo.

Non sarebbe allora il caso di parlare di radici antigiudaico-cristiane dell’Europa, piuttosto? A questa mia domanda il relatore ha opposto che lungo tutti i secoli in fondo le relazioni tra le due comunità non sono mai mancate, e soprattutto, come ormai d’obbligo in simili frangenti, che Gesù stesso era ebreo. Ha rievocato il percorso che dalla Nostra Aetate arriva agli attuali rapporti tra Chiesa cattolica e mondo ebraico con tanto di visite di cortesia papali in sinagoga. Mentre la Shoah avrebbe ormai definitivamente dimostrato ai cristiani che il nazionalismo e certi altri idoli del genere sono diabolici.

Si tratta pur sempre di neppure sessant’anni a fronte di secoli e secoli di prevalente segno contrario. Sembra quasi la tardiva comprensione dell’annuncio capitale di cui fantasticava la filosofia della storia di Agostino, soltanto riproposta a parti invertite. Tutto diverrebbe chiaro solo retrospettivamente, quando ci pare di aver toccato il fondo dell’abisso, liquidato peraltro coll’incongruo ricorso alla sfera diabolica. Meglio qualcosa che nulla e meglio tardi che mai, per carità. Al solito però certi traguardi attuali sono proiettati a posteriori sulla remota antichità. Ancora non è chiaro se evocando le radici si pretenda davvero di fare riferimento ai complessi primordi reali o solo a posticci miti dell’origine da ammannire ai fedeli di bocca buona. I due piani si mescolano, come se da un lato le scelte attuali dovessero e potessero giustificarsi solo tramite le vicende più arcaiche e, parallelamente, il più lontano nocciolo dell’identità si inverasse necessariamente negli esiti attuali. In quegli stessi giorni Bergoglio dichiarava pubblicamente che l’antisemitismo è inumano e anticristiano. Anche questa è apprezzabile come scelta valoriale e direzione da seguire, mentre è disarmante come riflessione sul proprio passato.

A fine novembre sul Corriere esce anche l’incisivo articolo di Ernesto Galli della Loggia sull’antisemitismo odierno. Visto come un fenomeno reattivo alla “valenza simbolica acquisita dall’ebraismo”, che si staglia ormai come “momento iniziale e al tempo stesso il punto d’arrivo dell’intera storia d’Europa”. Il traguardo sarebbe stata la Shoah, laddove il principio si ebbe “allorché l’emanazione religiosa neotestamentaria del giudaismo uscì dalla Palestina e si diffuse su questo continente dando forma e sostanza a quella civiltà europea che è ancora la nostra”. Dunque, si badi bene, anche se la congiunzione dei due estremi è lasciata in ombra, partenza e arrivo del tragitto sembrerebbero entrambi costituiti dalla spoliazione e dalla negazione dell’ebraismo in se stesso. Il quale tuttavia in realtà per conto suo dalle terre d’origine era intanto già uscito, confrontandosi con l’eredità ellenistica e raggiungendo il continente europeo e la stessa città di Roma ben prima della nascita di Gesù, per poi nonostante tutto durare in vita mirabilmente fino a oggi. Qui la suggestione è profonda e l’intenzione alta, ma i fatti appaiono ancora una volta più complessi per chi intenda vagliarli senza lasciar spazio a equivoci.