13 Novembre 2016

Pierre-André Taguieff,L’antisemitismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Cortina

Fonte:

Moked.it

Autore:

Claudio Vercelli

La macchina del fango

Pierre-André Taguieff, direttore di ricerca al Centro nazionale francese per la ricerca scientifica e docente all’Istituto di studi politici di Parigi, è da molti anni impegnato sul versante dell’analisi scientifica del razzismo. La sua personale biografia culturale e politica è vivace e, a tratti, quasi contraddittoria. Quanto meno per coloro che gli hanno contestato l’eclettismo di certe scelte intellettuali. Indiscutibile, tuttavia, è lo sforzo di mantenere ed alimentare un approccio scientifico ai temi che lo vedono in prima linea. La sua opera più importante, in sé voluminosissima, in una produzione bibliografica oramai impressionante per la sua enciclopedica estensione, rimane «La forza del pregiudizio. Saggio sul razzismo e sull’antirazzismo», pubblicato in Italia nel 1994 ma uscito in Francia già sei anni prima. Come autore di numerose opere in materia, torna quindi frequentemente ad interrogarsi sull’attualità dell’antisemitismo. Questa volta lo fa, per il pubblico italiano, in un volumetto in traduzione, denso, articolato e, al medesimo tempo, di utile lettura anche per il modo in cui il materiale è organizzato e quindi proposto al lettore. Si tratta di un libro che offre una scansione tematica e storica, logica e cronologica, permettendo così di definire i termini del problema e i suoi numerosi riflessi sul presente. Una sorta di handbook, in buona sostanza, che dopo un percorso di riferimenti e ragionamenti fa quindi il punto della situazione odierna, sia sul piano dell’evoluzione fattuale, materiale del pregiudizio antiebraico, sia sullo stato della riflessione e della pubblicistica di merito. Ne «L’antisemitismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti»(Cortina editore, Milano 2016) l’autore si interroga quindi sulla sua complessità, concependolo nel medesimo tempo come un fattore di evidente esclusione per coloro che ne sono destinatari in quanto vittime ma anche di integrazione per i soggetti che ne beneficiano degli effetti a carico altrui. Esclusione di una minoranza “densa”, gli ebrei, tale per gli elementi di reciprocità e di soggettività culturale e identitaria, come anche per il grado di integrazione dentro la società, di contro alla difficile coesione di maggioranze altrimenti a rischio di tenuta. In altre parole, la prassi razzista o comunque stigmatizzante ha una funzione specifica, richiedendo di essere analizzata e interpretata quand’essa si rivolge essenzialmente non tanto a coloro che ne fanno le spese ma a quanti ritengono di poterne ottenere un ricavo rispetto ai propri interessi. Il punto di vista di Taguieff, per intenderci, più che “etico”, ossia esterno al fenomeno osservato, intende semmai essere “emico”, calandosi dentro il percorso razzista in quanto tale per meglio coglierne la reale fisionomia e l’effettivo spessore. Da questo punto di vista, il razzismo, comunque, ovunque e contro chiunque si esprima, non è mai un fatto occasionale, fortuito, momentaneo bensì il prodotto di una evoluzione politica che, in età contemporanea, si intreccia ai processi di produzione della cittadinanza. Ciò riflettendo Taguieff riprende le suggestioni di Jean-Paul Sartre quand’egli diceva che l’antisemitismo: «è al tempo stesso passione e una concezione del mondo». Eravamo nel 1954 ma sessant’anni dopo la questione sembra riproporsi in tali termini. Ai due capi del problema identificati dal filosofo francese si potrebbe aggiungere un terzo elemento, quello della tradizione nera, una pedagogia diffusa, a forte impatto sociale, che uno studioso del radicalismo di destra e delle subculture fasciste come Francesco Germinario definisce nella sua qualità di «ideologia» contemporanea (si veda al riguardo il suo volume «Antisemitismo. Un’ideologia del Novecento», uscito per i tipi della Jaca Book nel 2013). L’aspetto più intrigante, ed anche quello maggiormente aperto a considerazioni non ancora conclusive, è quello che l’autore affronta quando stabilisce un nesso robusto tra antisemitismi (qui il plurale non è per nulla casuale) e antisionismo. Ovvero, la lotta al «sionismo mondiale», dove la strumentalizzazione dell’antirazzismo (“siamo tutti eguali ma gli ebrei restano diversi”) si incontra con la demonizzazione del sionismo in quanto espressione di una potenza occulta internazionale nel nome, molto spesso, dello smascheramento del disegno “imperialista”. Sul verosimile tracciato che dall’avversione contro gli ebrei, come individui e in quanto comunità diasporica, transita verso il rifiuto dello Stato di Israele nella sua natura di «ebreo collettivo», altro plausibilmente si aggiungerà negli studi e nelle analisi a venire. Non solo per parte di Taguieff. Rimane l’humus di fondo, già presente nelle diverse manifestazioni di antisemitismo storico, dove la “diabolizzazione” del “giudeo”, la visione manichea e dicotomica dei processi storici, l’appello ad una lotta totale contro il “male satanico”, il catastrofismo, l’apocalitticismo si traslano nell’enfasi della denuncia della intollerabile abusività storica dell’«entità sionista». L’autore ci sollecita quindi a riflettere sul carattere pluridimensionale dell’antisemitismo, sulla circolarità dei suoi costrutti pseudo razionalisti, sulla sua perduranza nel corso del tempo, sull’intensità ma anche e soprattutto, come già rilevava Furio Jesi, sulla sua natura di macchina mitopoietica, che genera e rinnova il mito (rassicurante) dell’ebraismo e degli ebrei come causa del male nel mondo. Il volume editato da Cortina si presenta al lettore italiano come un utile ausilio per fare il punto della situazione rispetto alla discussione in materia, soprattutto a partire dalla Francia, dove maggiori sono i confronti sul merito del problema, ma anche per riordinare una serie di idee e di ipotesi, per poi proseguire nelle indagini di merito.