25 Marzo 2014

Alessandro Cifariello, L’ombra del Kahal. Immaginario antisemita nella Russia dell’Ottocento, Viella

Fonte:

L'Osservatore Romano

Autore:

Anna Foa

Alle origini del mito del complotto

Dopo l’assassinio dello zar Alessandro II nel 1881 tornò l’antica accusa di omicidio rituale di cui restano tracce anche nei romanzi dell’epoca

Il problema delle origini del moderno antisemitismo è stato sovente affrontato dalla storiografia, e non solo per coglierne le sue caratteristiche e modalità ma anche per individuarne il fondamentale luogo d’origine: la Germania, la Russia o invece, come sostenuto da Zeev Sternhell, la Francia dell’Affaire Dreyfus? Il libro L’ombra del Kahal. Immaginario antisemita nella Russia dell’Ottocento (Roma, Viella, 2014, pagine 288, euro 28), opera di un giovane studioso di slavistica, Alessandro Cifariello, sottolinea il ruolo primario avuto in questo campo dalla Russia dell’Ottocento e ne analizza con finezza e dovizia di riferimenti la giudeofobia. Termine, questo, anch’esso nato in Russia nella seconda metà dell’Ottocento e prediletto dal proto sionista (nonché medico) Leo Pinsker che la definiva, nel suo Autoemancipazione del 1882, una psicosi, «un tipo di malattia che ha come oggetto gli spettri».

E’ appunto sui modi assunti da questa psicosi che Cifariello indaga in questo libro, appoggiandosi ampiamente e prevalentemente a fonti in lingua russa, il che consente al lettore italiano l’accesso a testi normalmente di difficile comprensione. La letteratura privilegiata su cui si fonda la sua lettura, dobbiamo subito aggiungere, è quella letteraria, cioè i romanzi. Romanzi famosi, come quelli di alcuni fra i grandi scritturi russi come Dostoevskij, Turgenev, Gogol, ma anche una vastissima letteratura minore sconosciuta al grande pubblico italiano. Una scelta, questa, che l’autore non si sofferma a spiegare e che viene sottolineata, senza però essere del tutto chiarita, dalla prefazione di Cesare De Michelis.

Divergenze tra le domande dello storico e quelle del letterato?

Perché, insomma, in Russia è la letteratura e non invece la pamphlettistica politica a fornire le basi per la costruzione di quello che Cifariello chiama «l’immaginario antisemita» e che nel suo stesso lavoro appare poi spesso come il frutto convergente di opzioni politiche e religiose, oltre che letterarie? E’ il sistema autocratico della Russia zarista a spingere in questa direzione, limitando le possibilità della politica e offrendo maggiori possibilità alle formulazioni degli scrittori rispetto a quello dei teorici? O si tratta invece dell’intreccio tra motivazioni religiose, storia politica e miti della Russia ottocentesca a creare le condizioni per una diffusione tanto ampia e pervasiva della mitologia antisemita nella cultura russa?

Pur lasciando aperte queste domande, il volume rappresenta un apporto ricchissimo al tema dell’antisemitismo del primo Novecento, analizzandone i retroscena culturali russi e cogliendo gli elementi di costruzione di quello che possiamo considerare il testo base dell’antisemitismo novecentesco (anch’esso di matrice russa), I protocolli dei savi di Sion, sulle orme dell’importante studio di Cesare De Michelis Il manoscritto inesistente (Venezia, Marsilio, 2001).

Dal punto di vista storico, il punto di partenza di questa vicenda è la spartizione settecentesca della Polonia, con l’ingresso di centinaia di migliaia di ebrei polacchi nel territorio imperiale. Ebrei muniti di una loro autonomia organizzativa e politica che risaliva al Cinquecento, il Kahal, derivazione dal termine ebraico Kehillah, comunità. Dopo un primo tentativo di integrazione tentato dalla zarina Caterina II, già dopo la terza spartizione della Polonia, alla fine del Settecento, si pongono le basi di quella che sarà la Zona di Residenza, creata da Alessandro I nel 1802 e destinata a restare in vita fino alla rivoluzione del 1917: una vasta zona sul confine occidentale dove gli ebrei possono risiedere, al di fuori della quale la loro presenza non è consentita, che comprendeva una parte delle attuali Lituania, Bielorussia, Polonia, Ucraina, Bessarabia e Russia occidentale. E’ in questo contesto che si sviluppa da parte del governo zarista, nel corso del XIX secolo, una politica limitativa e repressiva dove confluiscono motivazioni religiose, politiche e sociali: l’attacco al Talmud e all’uso dello yiddish, la pressione alla conversione, la lunghissima coscrizione militare caratterizzano la prima metà dell’Ottocento, mentre la pubblica e aperta discussione della “questione ebraica”, accompagnata dai pogrom e dal netto rifiuto di qualsiasi sbocco in chiave emancipativa ne segnano la seconda metà, in particolare dopo l’assassinio terroristico dello zar Alessandro II nel 1881 di cui furono ritenuti responsabili gli ebrei.

E’ questo il periodo della grande ripresa dell’accusa di omicidio rituale, che si esprime anche nei romanzi di scrittori noti come Kostomarov e Ljutonstanskij e nella tesi che l’omicidio rituale appartenesse, se non a tutto il mondo ebraico, almeno ad alcune sette estreme di esso, una tesi incendiaria che conciliava il mito del sangue con quello del complotto. Il “sottotesto narrativo” si concretizzava così in violenza.

Il libro si muove sul terreno della costruzione immaginaria, scavando ad esempio con finezza sulla terminologia filosemita e antisemita nel capitolo sull’uso del termine zid, sulla costruzione del mito del complotto, vera e propria preparazione alla creazione dei Protocolli, sull’anti-nichilismo che assume tutte le caratteristiche del rifiuto della modernità e non ultimo sul complesso intreccio con il razzismo. Intreccio assai inferiore come importanza a quello che caratterizza l’Occidente e che ci consente di analizzare differenze e somiglianze tra la giudeofobia russa e un antisemitismo europeo di tipo nuovo, frutto della cultura razzista di fine Ottocento.

Una giudeofobia, conclude l’autore al termine di questa inquietante cavalcata nella letteratura dell’odio antiebraico, che non è stata mai debellata e che, con il valido supporto del web, sta oggi risorgendo in Russia più vitale che mai, contro la quale è necessario affinare gli strumenti di conoscenza e di critica.