27 Gennaio 2021

Quirinale – L’intervento della Presidente UCEI

“Coltiviamo insieme i frutti della Memoria”

Di seguito l’intervento tenuto dalla Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni in occasione della solenne cerimonia per il Giorno della Memoria al Quirinale.

Signor Presidente Mattarella, Signora Ministra Azzolina, Autorità, carissimi sopravvissuti e ragazzi tutti qui con noi idealmente,

Questa sera e domani si celebra la festa ebraica dedicata agli alberi e alla natura. Tu Bishvat (15 del mese di Shevat del calendario ebraico). Data definita dai nostri maestri come “capodanno degli alberi” per il conteggio di quattro anni per il tributo – all’epoca di frutti agricoli – alle esigenze collettive sociali (una sorta di tax day), poi nei secoli sempre più affermata come festa del legame con la terra anelata di Israele, di piantumazione e affermazione di una rinnovata presenza nel rinato Stato ebraico, declinandosi come celebrazione della sostenibilità e responsabilità ambientale e oggi, sempre più, come simbolo dell’esistenza umana, assimilata ad un albero.

Perché racconto questo?

Perché all’indomani della liberazione di Auschwitz nel 1945, Tu Bishvat è stata la prima festa ebraica vissuta in libertà. Cadeva il 28 di gennaio. Certo libertà che non consentiva – per le condizioni in cui si trovavano i prigionieri liberati – di festeggiare con gioia né con alberi che sbocciavano in fiore, ma era la fine della notte più buia dei tempi. Il buio che ha divorato ogni primordiale concetto della stessa creazione del mondo e di funzione assegnata all’uomo rispetto a sé e alla natura. Ma era un giorno comunque speciale perché quel giorno anche gli alberi respiravano un’aria diversa. Non più quella intrisa di cenere umana.

Con questo pensiero desidero soffermarmi sul dovere sociale della ricorrenza odierna stabilita nel 2000 con legge del Parlamento italiano. Per radicare la memoria dello sterminio della Shoah.

Ha una funzione “esattrice” di un contributo morale, annuale, di maturazione di un frutto che si chiama responsabilità collettiva. Perché è solo attraverso la conoscenza della verità, l’ascolto con cuore e mente di quanto accaduto allora che si può maturare un atteggiamento responsabile per l’oggi. Ed è attraverso un momento dedicato alla memoria e alla storia, anno dopo anno, che si rinnova questo impegno per ciascuno di noi. E ben capiamo che l’appuntamento annuale presuppone un fattivo impegno lungo l’intero anno. Altrimenti nessun frutto verrebbe a maturare.

Sei milioni di ebrei furono sterminati. Un milione e mezzo di loro, alberelli appena piantati le cui radici si nutrivano di amore per la vita, di canti e preghiere millenarie, sradicati e arsi nel silenzio dell’indifferenza.

In loro ricordo e affinché non vi sia mai più un albero sradicato e senza frutti è fissato questo giorno di memoria collettiva italiana, non solo di ascolto della storia tormentata altrui. Una elaborazione che chiama ciascuno, specialmente voi ragazzi e giovanissimi ad attivarvi, ad ascoltare quegli alberi sopravvissuti che hanno resistito incredibilmente al peggiore uragano, ad alimentare le radici di quanto avete voi piantato con studi ed iniziative, con convivenza e capacità di ragionare con le vostre menti. Con la capacità di non restare indifferenti alle morti di chi ancora oggi è perseguitato ma anche rispetto alle morti per il nulla di ragazzini trascinati in fenomeni imitatori sui social. Anche quelle sono vite rubate da uno spietato potere che ancora non abbiamo categorizzato. Scegliete e amate la vita.

Vent’anni – l’età di una generazione. Chiediamoci se i semi piantati in questa generazione della memoria siano germogliati.

La domanda ci riporta indietro nel tempo, ancora prima della deportazione e dello sterminio. Indietro agli anni del fascismo. Una piantagione di veleno per la società italiana intera di cui ancora non si è compresa l’amarezza e la latenza. Della quale ancora non si ha contezza di verità e pervasività. Della quale ancora non c’è stata sufficiente elaborazione. Della quale ancora non si è udita sufficiente condanna.

Conoscere le radici di questo male italiano è necessario per comprendere di cosa si nutrono coloro che oggi ne ripetono motti e ne rivestono i simboli, tatuati come la corteccia di un albero. Delitti e offese all’Italia, non solo ai suoi ebrei di allora e oggi, minacce spesso sottovalutate e archiviate. I frutti avvelenati di oggi si nutrono delle acque più torbide che ancora scorrono nei sotterranei.

Signor Presidente, la vita che scorre ogni giorno di cui siamo noi testimoni ci offre anche l’evidenza di una semina ben riuscita grazie agli sforzi di istituzioni e di volenterosi insegnanti, grazie al presidio costituzionale che preserva quanto radicato con la scelta di una repubblica democratica. Giovani e giovanissimi che con le loro opere ci donano speranza ai quali assicurare un futuro. E questo non può che basarsi sul nostro impegno di educazione e rafforzamento di norme tese ad arginare odio e violenza.

Non può che passare attraverso il varo governativo di un piano strategico per combattere l’antisemitismo che rischia di estendersi ancora, ammalando i nostri giovani alberi. Antisemitismo che oggi tinge nuovamente di nero nostalgico le verdi foglie. Un vento che soffia a cento nodi nei boschi della rete. Anche lì il grido “aiechà” – dove sei? Dove ti nascondi, ha un significato ben preciso.

Era il giorno di Tu Bishvat quando nel 1898 Emile Zolà veniva processato per il suo “J’accuse”, a difesa di Dreyfuss per l’invenzione del nemico ad opera dei vertici militari e governativi, per il caso che ha incendiato di antisemitismo la Francia e l’Europa di allora. Era l’ora di dare il suo contributo di responsabilità sociale ben consapevole delle conseguenze che lo attendevano. Sapendo che gli anni che sarebbero passati – se avesse scelto il silenzio – avrebbero maturato per lui il frutto avvelenato della colpa di concorre.

E siccome la memoria della Shoah – con la sua unicità – è paradigma per relazionarsi a ogni forma di odio e razzismo, ad ogni altro genocidio, ad ogni altro straziante grido, di ieri ma anche di oggi, noi non posiamo restare indifferenti. Se abbiamo maturato questo senso di responsabilità, affermata a data di calendario, non possiamo restare inerti dinanzi alle immagini che ci arrivano di chi sosta ai confini dell’Italia nei boschi colmi di neve, di chi spera di raggiungere le nostre coste cercando rifugio e salvezza in imbarcazioni stracolme, ai piccoli alberelli sradicati e trasportati sulle braccia speranzose per essere ripiantati in salvezza altrove.

Anna Frank ci racconta nel suo diario dell’albero di castagno che vede dall’abbaino, dove si reca per guardare il fazzoletto di cielo. Si consola vedendo come si riempiva di foglie dicendosi che, finché questa era la natura cui assisteva, non poteva essere triste.

Con simili parole Edith Bruck racconta l’albero di Olmo che vede dalla finestra del suo salotto, ricco di fogliame, che personalizza quella presenza nel vicolo sottostante.

Di quell’albero di castagno furono presi alcuni arbusti e sviluppate un centinaio di piantine messe a terra in altri luoghi. Uno di questi alberi è stato piantato a Yad Vashem, a Gerusalemme, luogo di eterna memoria. Un arbusto che arde per sempre ma non si consuma.

Un altro arbusto si trova alla sede delle Nazioni unite, una memoria di pace e capacità di convivenza tra i popoli, seppur difficile, possibile. Finché ci saranno questi alberi che donano frutti di memoria e di pace potremo trovare forza per sostenere quel terribile dolore vissuto e tramandato e radicare quel concetto di riparazione umana, di sostenibilità e responsabilità verso il prossimo. Daremo il giusto significato e associazione di perché alla conclusione esistenziale che ci pone l’Ecclesiaste: “c’è…un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato”. Sapremo celebrare quel Tu Bishvat in modo condiviso e consapevole.

La mia prima figlia si chiama Niva, in ebraico significa frutto fecondità della terra, ed è nata proprio in questa ricorrenza. In occasione dei suoi compleanni, fino al diciottesimo, quando poi è partita per vivere autonomamente in Israele, abbiamo sempre regalato a tutti i suoi compagni di classe una piantina di primule per condividere questa festa con tutti e rappresentare l’idea di speranza e di crescita che sboccia in mano ai bambini e ai ragazzi, responsabilizzati da questo dono in prima persona.

Anche oggi è vigilia di Tu Bishvat. Anche oggi è ora di sapersi assumere le nostre responsabilità individuali e collettive. Personali e istituzionali. Verso il futuro, conoscendo quel passato.

Noemi Di Segni, Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane