8 Febbraio 2015

Per il filosofo Heidegger la Shoah è «l’autoannientamento degli ebrei»

Fonte:

Corriere della Sera - la Lettura

Autore:

Donatella Di Cesare

Heidegger: «Gli ebrei si sono autoannientati»

Nei nuovi «Quaderni neri» del filosofo l’interpretazione della Shoah

La Shoah è «l’autoannientamento degli ebrei». Questa tesi di Heidegger affiora nel nuovo volume dei Quaderni neri, curato da Peter Trawny, che sta per essere pubblicato in Germania dall’editore Klostermann (Gesamtausgabe 97, Anmerkungen I-V). Si tratta delle Note risalenti al periodo cruciale che va dal 1942 al 1948. Fa parte del volume, di 560 pagine, anche il quaderno del 1945/46, che sembrava fosse andato perduto e che è stato recuperato la scorsa primavera.

Gli ultimi anni del conflitto planetario, la sconfitta della Germania, la presenza delle forze alleate sul suolo tedesco sono gli eventi che fanno da sfondo a quella che, anche altrove, Heidegger chiama «storia dell’Essere», il cammino della filosofia in grado di aprire un varco per la salvezza dell’Occidente. Dopo il 1945 il cammino non si interrompe, ma si ripiega su di sé, fra tornanti e vie traverse. Heidegger non smette di cercare l’«altro inizio», l’alba dell’Europa, sebbene orientarsi sia divenuto quasi impossibile. Le macerie della Germania attestano, senza equivoci, il fallimento della missione affidata al popolo tedesco. Insieme a questo naufragio epocale Heidegger vive anche il proprio tracollo accademico: l’ex rettore di Friburgo nel 1946 viene interdetto dall’insegnamento.

Il volume 97 dei Quaderni neri offre, dunque, una prospettiva inedita sul pensiero di Heidegger. Tanto più che, come quelli già pubblicati, coniuga riflessione filosofica e analisi puntuale degli avvenimenti storici.

Ma questo volume è destinato a lasciare il segno soprattutto perché cancella un luogo comune della filosofia del Novecento: il «silenzio di Heidegger» dopo Auschwitz. Se gli ebrei hanno un ruolo di primo piano nei precedenti Quaderni neri, che vanno dal 1931 al 1941, se la «questione ebraica» è strettamente connessa alla questione dell’Essere — come ho cercato di mostrare nel mio libro recente — non può sorprendere che Heidegger parli della Shoah e la consideri sia sotto l’aspetto filosofico sia sotto quello politico.

Selbstvernichtung, autoannientamento, è la parola chiave: gli ebrei si sarebbero autoannientati. Nessuno potrebbe allora essere chiamato in causa, se non gli ebrei stessi. Già nei quaderni del 1940 e del 1944 quando viene avanzata l’esigenza di una «purificazione dell’Essere», fa la sua inquietante comparsa il termine «autoannientamento».

Rigoroso e coerente, Heidegger non fa che trarre la conclusione da tutto quel che ha detto in precedenza. Gli ebrei sono gli agenti della modernità; ne hanno diffuso i mali. Hanno deturpato lo «spirito» dell’Occidente, minandolo dall’interno. Complici della metafisica, hanno portato ovunque l’accelerazione della tecnica. L’accusa non potrebbe essere più grave.

Solo la Germania, grazie alla ferrea coesione del suo popolo, avrebbe potuto arginare gli effetti devastanti della tecnica. Ecco perché il conflitto planetario è stato anzitutto la guerra dei tedeschi contro gli ebrei. Se questi ultimi sono stati annientati nei lager, è per via di quel dispositivo, di quell’ingranaggio che, complottando per il dominio del mondo, hanno ovunque promosso e favorito. Il nesso fra tecnica e Shoah non deve sfuggire. Ed è proprio Heidegger ad avervi fatto allusione altrove. Che cos’è infatti Auschwitz se non l’industrializzazione della morte, la «fabbricazione dei cadaveri»?

In linea con il suo antisemitismo metafisico, Heidegger vede dunque nello sterminio un «autoannientamento». La Judenschaft, la «comunità degli ebrei» — scrive nel 1942 — «è nell’epoca dell’Occidente cristiano, cioè della metafisica, il principio di distruzione». Poco più avanti aggiunge: «Solo quando quel che è essenzialmente “ebraico”, in senso metafisico, lotta contro quel che è ebraico, viene raggiunto il culmine dell’autoannientamento nella storia».

La Shoah avrebbe allora un ruolo decisivo nella storia dell’Essere, perché coinciderebbe con il «sommo compimento della tecnica» che, dopo aver usurato ogni cosa, consuma se stessa. In tal senso lo sterminio degli ebrei rappresenterebbe quel momento apocalittico in cui ciò che distrugge finisce per autodistruggersi. Culmine «dell’autoannientamento nella storia», la Shoah rende quindi possibile la «purificazione dell’Essere». Ma si raggiunge questo culmine? Si autoannienta l’ebraismo mondiale ad Auschwitz? Al termine non dovrebbero esserci vincitori e vinti — categorie ancora metafisiche. Piuttosto l’Ebreo è la fine che deve semplicemente finire; solo così può emergere l’«altro inizio» e intravedersi il nuovo mattino europeo. Quando Heidegger scrive, nel 1942, le officine hitleriane della morte funzionano a ritmo serrato. Eppure, dopo la guerra, il «culmine dell’autoannientamento» non sembra raggiunto. Gli agenti della macchinazione — malgrado i milioni di morti — potrebbero persino apparire vittoriosi. Allora costituirebbero un pericolo immane per i tedeschi, perché li trascinerebbero nel loro «ingranaggio di morte».

Dopo il 1945 Heidegger osserva: gli «elementi estranei» continuano a deturpare la «nostra defraudata essenza». E si interroga sui tedeschi, sulla «facilità con cui si lasciano sedurre dagli stranieri», sulla loro «incapacità politica», sulla «radicalità con cui compiono anche gli errori più eclatanti».

In fondo la posizione di Heidegger non è dissimile da quella di Carl Schmitt e di molti altri tedeschi che si sentono sconfitti, ma solo militarmente e solo in forma temporanea. Gli ebrei, eliminati dal corpo della nazione, vengono avvertiti come una presenza spettrale e ingombrante.

Nel volume 97 dei Quaderni neri compare, a questo proposito, una lunga annotazione di Heidegger che farà certo discutere. L’occasione è offerta dai volantini distribuiti alla popolazione tedesca dal comando alleato, nei quali, sotto le foto dei lager liberati, è scritto: «Queste azioni infami sono colpa vostra!».

Heidegger replica: «Il mancato riconoscimento di questo destino (il destino del popolo tedesco), l’averci repressi nel nostro volere il mondo, non sarebbe forse, una “colpa”, e una “colpa collettiva” ancor più essenziale, la cui enormità non può essere misurata all’orrore delle “camere a gas”, una colpa più terribile di tutti i “crimini” ufficialmente “stigmatizza- bili”, della quale nessuno si scuserà nel futuro? Si intuisce già ora che il popolo e la terra tedeschi non sono che un solo campo di concentramento (ein einziges Kz) — quale il mondo non ha ancora visto e che il mondo non vuole vedere — un non-volere ben più volente e consenziente della nostra assenza di volontà verso l’inselvatichirsi del nazionalsocialismo».

Gli alleati non hanno compreso la missione dei tedeschi e li hanno fermati nel loro progetto planetario. Questo crimine sarebbe ben più grave di tutti gli altri crimini, questa colpa non avrebbe termini di paragone, neppure con le «camere a gas» (espressione inserita tra virgolette!). Per la storia dell’Essere il vero incommensurabile misfatto è quello compiuto contro il popolo tedesco che avrebbe dovuto salvare l’Occidente.

Ma Heidegger non crede che sia tutto finito — proprio perché il «culmine dell’autoannientamento» non è stato raggiunto. C’è ancora un futuro per la Germania, e per l’Europa guidata dal popolo tedesco. Si moltiplicano allora gli interrogativi. Heidegger pensava a un Quarto Reich? E perché, a metà degli anni Settanta, ha progettato la pubblicazione dei Quaderni neri? Che cosa si aspettava dall’Europa in cui noi oggi viviamo? Certo sarebbe semplice — come sembra suggerire Emanuele Severino — lasciare da parte i Quaderni neri. Ma a vietarlo è lo stesso Heidegger. Qui non si tratta infatti di documenti storici (come nel caso aperto decenni fa da Victor Farías), bensì degli scritti stessi del filosofo, strettamente connessi con il resto della sua opera. Si può capire allora l’esigenza di rileggere ad esempio Essere e tempo — come ha fatto al convegno di Parigi il giovane filosofo israeliano Cédric Cohen-Skalli, paragonando Heidegger a Walter Benjamin. Il che non vuol dire, come pretenderebbero alcuni, proscrivere o bandire Heidegger, ma confrontarsi con la complessità della sua riflessione in modo aperto e critico. Sarebbe questa forse, perla filosofia, l’occasione per pensare nella sua profondità abissale la Shoah.