25 Maggio 2018

Lisa Billig, rappresentante dell’AJC – American Jewish Committee in Italia e di Collegamento presso la Santa Sede, analizza mente proposta di canonizzazione del cardinale August Hlond, primate di Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale e nel periodo successivo alla guerra

Fonte:

www.lastampa.it/vaticaninsider

Autore:

Lisa Billig

American Jewish Committee: “Forte preoccupazione” per la canonizzazione del cardinale Hlond

Il 21 maggio il Papa aveva promulgato il decreto riguardante le “virtù eroiche” del primate di Polonia durante la Guerra. Lettera al Vaticano del rabbino Rosen

In una lettera al cardinale Kurt Koch, presidente della Pontificia Commissione per i Rapporti Religiosi con l’ebraismo, rav. David Rosen, direttore internazionale per gli Affari Inter-religiosi dell’AJC, (American Jewish Committee) esprime la forte preoccupazione dell’organismo sulla proposta di canonizzazione del cardinale August Hlond, primate di Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale e nel periodo successivo alla guerra.

Il 15 maggio scorso, i membri della Congregazione delle Cause dei Santi hanno votato a favore della sua Causa, inoltrandola a Papa Francesco per l’approvazione finale. In passato, Francesco aveva confermato il riconoscimento delle «virtù eroiche» al porporato, passaggio essenziale per il processo di canonizzazione.

«Ci rendiamo conto che la Santa Sede ha i suoi criteri per le Cause di canonizzazione. Tuttavia la Comunità ebraica, e non solo, vedrebbe questo passo come una espressione di approvazione (o perlomeno una mancanza di condanna) dell’atteggiamento estremamente negativo del cardinale Hlond nei confronti della Comunità ebraica», scrive rav. Rosen.

Il cardinale Hlond, che fu un attivo oppositore sia della Germania nazista che della Russia comunista, fu inviato a Roma nel 1939 per riferire sulle persecuzioni naziste contro la Chiesa cattolica in Polonia (ma non sui massacri di ebrei) tramite la radio e gli organi di stampa del Vaticano.

Si potrebbe certo obiettare che la canonizzazione è una faccenda interna al cattolicesimo, ma essa è in realtà di grande rilievo per coloro, come ad esempio gli ebrei, il cui destino è stato intrecciato strettamente con le politiche della Chiesa attraverso i secoli, e che hanno sofferto duramente a causa delle prediche antisemite, che furono infine condannate nella Nostra Aetate, il testo scaturito nel 1965 dal Concilio Vaticano II.

Nella lettera, rav. Rosen fa riferimento ad una serie di frasi e di eventi che illustrano quanto sia problematica la decisione di approntarsi a dichiarare santo il cardinale Hlond, un termine che è interpretato universalmente come simbolo religioso di virtù e di fede, un esempio da seguire negli insegnamenti morali della Chiesa per le generazioni future.

In una lettera pastorale sulla morale cattolica, il primate polacco scrisse ad esempio: «Fin quando gli ebrei rimangono tali, c’è e ci sarà sempre il problema ebraico (…). È un dato di fatto che gli ebrei stanno conducendo una guerra contro la Chiesa cattolica, che sono liberi pensatori, e che costituiscono l’avanguardia dell’ateismo, del Bolscevismo, e delle attività rivoluzionarie. È un dato di fatto che l’influenza degli ebrei corrompe la morale, e che le loro case editrici diffondono la pornografia. È un dato di fatto che gli ebrei sono dediti alla frode, all’usura, e allo sfruttamento della prostituzione. È un dato di fatto che da un punto di vista etico e religioso, la gioventù ebraica nelle nostre scuole ha un’influenza negativa sulla gioventù cattolica».

Rosen commenta che «seppure è vero che egli moderò queste affermazioni, riconoscendo che “non tutti gli ebrei sono così”, e che proibì le aggressioni agli ebrei e ai loro beni, condannò tuttavia l’ebraismo, e gli ebrei, per aver rifiutato Gesù. Sostenne inoltre l’effettivo boicottaggio delle aziende degli ebrei, affermando che “è bene preferire i tuoi simili quando fai la spesa, evitando i negozi degli ebrei e i loro banchi al mercato. (…) Bisogna tenersi lontani dalla dannosa influenza morale degli ebrei, tenersi lontani dalla loro cultura anti-cristiana, e in particolare, boicottare i giornali ebraici e le pubblicazioni ebraiche, demoralizzanti. (…) Noi non onoriamo l’indescrivibile tragedia del popolo che fu guardiano dell’idea del Messia e che diede i natali al Salvatore. Quando la misericordia divina illumina un ebreo facendogli accettare sinceramente il suo, e nostro, Messia, salutiamolo con gioia nelle nostre file cristiane».

Nella lettera si legge anche dei tentativi falliti degli ebrei polacchi di ricevere dall’Episcopato supporto contro l’antisemitismo, malgrado le loro suppliche, supportate dai fatti, per una protezione dall’imminente pericolo. Episodio che avvenne a guerra finita, appena due mesi prima del pogrom di Kielce del 4 luglio 1946.

Nel 1941, la comunità ebraica di Kielce, nel sud della Polonia, contava circa 24mila persone. Nel 1945, al termine della guerra, ne erano rimasti solo due. Tutti gli altri erano stati trucidati sul posto o deportati al campo di concentramento di Treblinka, dove furono uccisi nelle camere a gas. Il pogrom del luglio 1946, che non fu il peggiore in Polonia in termini numerici, fu nondimeno il più scioccante, perché avvenne per mano dei loro concittadini, e dopo che gli invasori nazisti, che avevano ammazzato tre milioni di ebrei polacchi, erano già stati sconfitti. Appena poco più di 150 ebrei erano ritornati nel Paese, e cioè lo 0,6% della popolazione di prima della guerra. A seguito del massacro avvenuto a guerra finita, che fece 42 morti e oltre 40 feriti, i rimanenti ebrei di Kielce emigrarono, rendendo la città «Judenfrei», come avrebbero detto i Nazisti.

Due mesi prima del pogrom il rabbino capo dell’Esercito polacco, David Kahane, e il professor Michael Zilberberg, segretario generale delle Comunità ebraiche di Polonia, rendendosi conto della situazione e capendo che molto probabilmente sarebbe presto avvenuto un disastro, tentarono di organizzare un incontro col cardinale Hlond per affrontare l’atmosfera di odio che regnava all’epoca nel Paese, sperando che il porporato si rendesse conto del grave pericolo che incombeva sulle comunità ebraiche polacche, e che agisse per calmare l’atmosfera e prevenire una spirale di violenza. Avevano consegnato precedentemente al cardinale un promemoria sulle accuse di omicidi rituali che continuavano a circolare, e del conseguente pericolo di pogrom di massa. Avevano chiara l’estrema gravità della situazione.

La sera di Pesach del 1946 apparvero dei cartelli che avvisavano i genitori di tenere sott’occhio i propri figli, affermando che sempre più bambini stavano «scomparendo». Si stava spargendo odio e falsità. Uno dei cartelli ripeteva, come fossero dati di fatto, le diffamazioni che affermavano che un rabbino era stato scoperto in sinagoga coi vestiti sporchi di sangue, con una bambina morta accoltellata al suo fianco. Questa accusa , infame e molto comune purtroppo, era stata usata per secoli per tacciare gli ebrei di uccidere i bambini cristiani per usare il loro sangue nella preparazione delle tradizionali “matzot”, o pane non lievitato, che viene consumato durante gli otto giorni della di Pesach (la ricorrenza ebraica in cui si ricorda il miracoloso esodo dall’Egitto). Quella sera a Kielce, orde di cristiani presero d’assalto le case dei pochi ebrei rimasti, la sede del Comitato ebraico ed alcuni viaggiatori ebrei che si trovavano su un treno che transtitava in stazione, uccidendo 42 persone e ferendone oltre 40.

I due leader ebrei chiesero al cardinale di pubblicare una lettera pastorale a tutte le chiese, esortandole ad intervenire per conto degli ebrei. La risposta di Hlond fu di rispedire il promemoria al mittente, e di rifiutare un incontro.

In un editoriale pubblicato un anno fa su Moked.it, Giorgio Berruto ricorda che Adam Michnik, noto storico polacco vicino al movimento di Solidarnosc, scrisse un opuscolo in cui si ricostruiva il crimine, e nel quale pubblicò copia del rapporto redatto il 1° settembre dello stesso anno dal vescovo Kaczmarek – due mesi dopo il pogrom e lo sterminio sistematico di circa 3 milioni di ebrei polacchi. Nel testo di Kaczmarek si leggeva che «gli ebrei sono i principali propagatori del regime comunista. Ogni ebreo ha una buona posizione e infinite possibilità e facilitazioni nel commercio e nell’industria. I ministeri, le cariche all’estero, le fabbriche, gli uffici, l’esercito, traboccano di ebrei, e sempre nei posti principali…. Gli ebrei europei tentano di dimostrare di essere perseguitati in alcuni paesi europei per ottenere più facilmente la possibilità di partire per la Palestina….». Il testo si chiude con altre pesanti calunnie.

Il 3 giugno 1946, un mese prima del pogrom di Kielce, Joseph Tenenbaum, presidente della Federazione mondiale degli Ebrei polacchi, ed il professor Olgierd Gorka, capo del Dipartimento ebraico presso il Ministero degli Esteri di Polonia e leader della neonata Lega contro il Razzismo, riuscirono ad ottenere un incontro con l’arcivescovo Hlond. Ma la risposta del cardinale a Tenenbaum, che lo supplicava di rispondere in qualche modo agli episodi di antisemitismo, fu: «I comunisti ebrei governano questo Paese. Perché gli ebrei di tutto il mondo gli permettono di prendersi il potere e opprimere i cristiani?».

Tenenbaum rispose che non era così, ma il cardinale insistette che «questi comunisti ebrei al governo sono la causa di tutti i mali». Non contento, il Cardinale negò l’esistenza di violenze anti-ebraiche in Polonia dopo la fine della guerra, affermando che si trattava di crimini politici e non razziali. Tenenbaum e Gorka chiesero a Hlond di rilasciare un comunicato in cui si condannavano gli omicidi, ma egli rifiutò, ripetendo che gli assassini «non uccidono gli ebrei in quanto tali. Si tratta di ritorsioni per l’omicidio della popolazione cristiana da parte degli ebrei comunisti al governo in Polonia».

Di fronte a questa affermazione Tenenbaum ripeté la richiesta di una lettera pastorale in cui si facesse riferimento ai tanti ebrei che erano vittime di violenze post-belliche in Polonia, mostrandogli una ricevuta per spese di sepolture a Cracovia, in cui erano elencati nomi ed età delle vittime, chiarendo che «questi omicidi sono possibili solo in un clima di antisemitismo. Non potrebbero accadere su scala così vasta se la popolazione non fosse infetta da tanta propaganda avvelenata, e il compito di rimuovere il veleno dalla popolazione di certo spetta alla Chiesa».

Le suppliche rimasero inascoltate. Il 4 luglio 1946 si consumò il massacro di Kielce senza che intervenissero le autorità civili o della Chiesa per fermarlo. La settimana successiva, il cardinale Hlond tenne una conferenza stampa in cui non condannò il pogrom e sottolineò che gli ebrei «sono tutti comunisti o sostenitori del comunismo».

Lisa Billig è rappresentante dell’AJC – American Jewish Committee in Italia e di Collegamento presso la Santa Sede