26 Giugno 2018

L’antisemitismo al centro di un processo in Francia

Fonte:

Le Monde

Autore:

Élise Vincent

Antisemitismo nel cuore di una causa

Da martedì a Créteil, cinque uomini sono sotto processo per furto e stupro, nell’abitazione di una famiglia ebrea nel 2014

Quando hanno spinto la porta e, incappucciati e guantati, sono piombati in casa, lunedì 1 dicembre 2014 a mezzogiorno, lei ha appena avuto il tempo di gridare: “Jonathan!” Subito, si è vista intimare un brutale “zitta!”. Ricorda di essere stata sbattuta contro un muro, seduta sul divano del soggiorno, e poi trascinata con il suo compagno in bagno. Lì, lui s’è visto puntare un fucile a canne mozze in bocca: “Dimmi dove sono i soldi altrimenti ti ammazzo (…) sappiamo che tuo padre è ebreo e che hai soldi!” Dopo di che, è stato il suo turno: “E tu, cosa sei invece?” Lei ha osato dire la verità: “Nulla. (…) I miei genitori vivono in Normandia.” Un’ora dopo, comunque era abbandonata in una stanza dell’appartamento devastato, mani e piedi legati su un divano letto, maglietta alzata, mezza soffocata dai suoi singhiozzi e nastro adesivo sulle labbra. Con la sua faccia tonda, i suoi stanchi occhi verdi, Laurine C. sarà indubbiamente la figura più fragile del processo dei presunti colpevoli di questa rapina diventata stupro, da martedì 26 giugno, davanti alla Corte d’Assise di Val-de-Marne. Nel 2014 aveva 19 anni. Sono cinque, oggi, quasi della sua età, a essere rinviati segnatamente per i capi di stupro, rapimento, estorsione, violenza aggravata e associazione criminale, secondo l’inchiesta giudiziaria e l’ordine di incriminazione che Le Monde ha potuto consultare. Il tutto con la circostanza aggravante dell’antisemitismo. Cinque giovanotti nerboruti avvezzi a pomeriggi oziosi sulle rive della Pointe du lac, a Créteil. Laurine C. si era trasferita lì un mese prima, dai suoi suoceri, ebrei praticanti. Lei la timida normanna, né ebrea, né atea, semplicemente innamorata del proprio figlio. Quattro anni dopo, a Créteil, si è stabilita una sfiducia latente sulle soglie di questo quartiere popolare costruito attorno a un lago artificiale, apprezzato da una piccola comunità ebraica di periferia. Agli occhi degli abitanti che hanno accettato di confidarsi, le “braci” che hanno portato alla tragedia sono ancora infiammabili. L’annuncio, pochi giorni dopo il fatto, da queste stesse rive, dell’antisemitismo come “grande causa nazionale”, da parte del ministro dell’Interno all’epoca, Bernard Cazeneuve, non cambia questo fatto. Allora eravamo a un mese prima dell’attacco a Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher. Ci sono passati anche i casi Sarah Halimi, nel 2017, e Mireille Knoll in marzo, queste vecchie signore di confessione ebraica uccise per motivi a dir poco dubbi, nella loro casa parigina. Attorno a questo bacino, una volta fossa di una discarica gigantesca, da sempre gli ambulanti si sono spartiti le rive, senza troppi problemi, con il traffico di droga. L’appartamento degli suoceri di Laurine C., un quadrilocale in affitto al secondo piano, dava direttamente su un vicolo cieco, a due passi dallo spaccio e dai cigni. Ma l’idea che le acque grigie del lago, oramai possano risultare nelle città vicine – da cui provenivano gli aggressori – come il primo passo verso l’imborghesimento, in effetti ha fatto sparire ciò che molti apprezzavano a Créteil: la tranquillità spensierata.

“Inviati di Mohamed Merah”

La seconda vittima, Jonathan B., il compagno di Laurine C., un tranquillo ragazzo di 25 anni con i capelli brillantinati diventato autista VTC, sarà l’altro atteso testimone di questo processo, per raccontare questa speciale ora a porte chiuse.           Anche lui quel giorno non aveva capito le ragioni dell’accanimento. Israele, l’alya, lo shabbat, la cucina kosher, non facevano per lui. Aveva trascorso un anno con Laurine, in una caserma a Bernay (Eure), dove era un poliziotto. La sistemazione dai suoi genitori era transitoria, il tempo per riorientarsi. Aveva semplicemente realizzato che le cose si fossero messe male quando uno dei suoi carnefici ha menzionato “i suoi fratelli della Siria” e “Palestina”. “Siamo gli inviati di Mohamed Merah”, avrebbe aggiunto, secondo le parole riportate in un’intercettazione telefonica. Nessuna sorpresa, per gli avvocati della difesa, il nerbo della guerra sarà lì. Tentare di dimostrare, nei dieci giorni di udienza, che nonostante le parole, la mezuzah strappata via, la foto di un rabbino e i filatteri buttati per terra, quello che cercavano i cinque scagnozzi, era innanzitutto “il denaro”. L’intero appartamento è stato saccheggiato, senza che i simboli ebraici, abbiano potuto prevalere. Tre settimane prima, in aggiunta, alcuni dei presunti colpevoli avevano condotto un commando simile da un anziano ebreo del quartiere. Era stato riempito di botte senza che alcuna parola anti-ebraica sia stata pronunciata. Su questa base, alla fine del 2016, il giudice istruttore aveva abbandonato la circostanza aggravante dell’antisemitismo. Una svolta bloccata dall’indignazione delle parti civili. Nell’ottobre 2017, la Chambre de l’Instruction ha riclassificato i fatti come in origine. Tra le ragioni addotte: il modo in cui la casa della coppia era stata individuata. Il padre di Jonathan B., 64 anni, pensionato del settore bancario, aveva l’abitudine di fumare alla sua finestra. Il venerdì, andava in sinagoga, con la kippah in testa. “Sappiamo che tuo padre è quello che ha la Mercedes nera e esce di sabato con quella cosa in testa”, aveva inveito uno degli imputati durante la rapina. “Tutti sanno che gli ebrei hanno soldi”, ha anche confessato, più tardi, il più giovane degli accusati, Cheik-Omar S., 21 anni, credendo di far bene spiegando che gli ebrei sono facili da identificare perché “assomigliano agli arabi” ma “sono tutti nell’area del lago. E hanno la loro kippah.” Tuttavia, durante il dibattito, l’accusa sarà ostacolata dall’assenza di un certo Houssame H. Colui a cui vengono attribuiti la maggior parte degli eccessi antisemiti e i più crudi incitamenti allo stupro, secondo i resoconti confermati dalle vittime e dai suoi presunti complici. Un giovane senza diploma, 18 anni all’epoca dei fatti, in fuga in Algeria e da allora sotto mandato d’arresto. “Ti piacerebbe che la tua ragazza succhiasse un cazzo nero? (…) Ti ha già tradito?”,”Sei innamorata del tuo ragazzo? (…) Davvero?”, avrebbe avuto il sadico piacere di dire alla giovane coppia, mentre faceva cadere dei coltelli d’argento sulla schiena di Jonathan legato dietro il divano. Durante le indagini, la polizia ha cercato invano di sondare il suo entourage. Suo padre, in particolare, domiciliato al dodicesimo piano di una torre nel vicino comune di Bonneuil-sur-Marne. “Meno se ne sente parlare, meglio è”, si è accontentato di sintetizzare su di lui, stilando molto in generale il ritratto di un ragazzino scappato di casa, che dai suoi 14 anni aveva abbandonato la scuola, “bestia” e “stupido”. Al piano terra dell’edificio, i brigadieri hanno scoperto un locale ricoperto di graffiti antisemiti: “Abbasso gli ebrei”, “Morte agli ebrei”, o ancora, accanto a una testa scarabocchiata con il pennarello nero con tanti capelli ricci: “Sporco figlio di puttana di un rabbino ebreo”. Alla fine, è stato stabilito che Houssame H. aveva preso un volo da Roissy a Oran il 4 dicembre 2014. Chi ha violentato? Questa dovrebbe essere in definitiva, la questione principale per la corte e i giurati. Quel giorno, chi ha tolto il suo guanto, ha sollevato la maglietta di Laurine C. e le ha fatto allungare le gambe nella vana speranza di sapere dov’era la sua Carta Blu, dal momento che non ce l’aveva? La testimonianza della giovane donna porta le tracce del suo trauma: incerta, contraddittoria, che inciampa con la difesa, a sua volta oscillante, dei due principali responsabili in questa slittata finale. Sotto il passamontagna che la stava violentando, Laurine C. avrebbe individuato una faccia “nera”. Erano in due, quel giorno, a corrispondere a questa descrizione. Due che indossavano il medesimo piumino scuro con cappuccio bordato di pelliccia. Ma nessuna perizia ha ancora reso possibile distinguerli.

Vagabondaggio

Ladji H., 23 anni, e Abdou Salam K., 24 anni, dovrebbero quindi essere i due per i quali gli interrogatori saranno i più vicini. Il primo è ritenuto essere il “cervello” di questa spedizione drammatica, un habitué di questo tipo di rapina. Senza un lavoro fisso, figlio di una famiglia poligama con diciassette minori, educato con le maniere forti tra i suoi 13 e 15 anni in una scuola coranica in Mali, viveva a un isolato dai genitori della giovane coppia. Da adolescente, giocava a calcio con il fratello minore di Jonathan. Un fratello, incluse le convinzioni sulla sua posizione sociale, che in parte giustificavano l’individuazione della famiglia: Ladji H. era convinto che fosse diventato il “capo” del negozio Redskin di Créteil Soleil, tempio commerciale che a Créteil funge da centro città; era solo un semplice venditore. Abdou Salam K., da parte sua, avrebbe solo risposto a una richiesta di aiuto per un piccolo furto. Un facile baratto in cambio di un debito che aveva nei confronti di Ladji H. Una difesa simile a quella del conducente del gruppo, un certo Yacin K., 24 anni, anche lui rinviato in giudizio. Nato in Senegal, andato a scuola nel paese fino alla seconda media, costretto al lavoro agricolo, Abdou Salam K. viveva in vagabondaggio dal suo arrivo in Francia quando era diventato maggiorenne. Ma a sentirlo, sarebbe stato lui a passare il suo tempo cercando di rassicurare la giovane Laurine C. durante la sua ora di calvario. “Ma perché piangi? (…) Non ti faccio niente. (…) Non siamo venuti per te cara né per il facocero [la coppia aveva un cane]. “Il crimine si sarebbe verificato, di lunedì a dicembre, se l’unico movente fosse stato l’attrattiva del guadagno? La giustizia dovrà decidere. In passato, sono stati ascoltati gli inquirenti, due, e amiche ebree di Ladji H., per individuare un possibile risentimento antisemita. Stessa cosa con l’ex compagna di Abdou Salam K., anche lei ebrea, praticante e madre di suo figlio: un piccolo Zacarya di 6 mesi, nel 2014. Senza grandi risultati. Nel frattempo, nell’estate del 2015, Ladji H. è stato trovato in extremis nella sua cella di Fleury-Merogis, dove penzolava, con una corda intorno al collo, a trenta centimetri da terra. Laurine C., da parte sua, è tornata a rifugiarsi nella sua terra d’origine in Normandia. Senza Jonathan.