28 Gennaio 2024

La studiosa Dina Porat: “C’è chi difende le minoranze ma poi discrimina gli ebrei”

C’è una folla che neanche la sala grande del Franco Parenti quasi riesce a contenere, all’ora di cena, ad ascoltare “L’odio antiebraico nel nostro tempo”, dibattito a più voci su tutto quel che è successo dopo il 7 ottobre. Sul palco il direttore di Repubblica Maurizio Molinari: «La nostra generazione non aveva mai visto un numero così alto di attacchi fisici contro gli ebrei. Siamo stati abituati a confrontarci con un antisemitismo di destra, di sinistra e anche cattolico. Ma le aggressioni fisiche, avvenute anche qui a Milano, dopo il 7 ottobre, sono una cosa nuova».

Il presidente della comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi, aveva introdotto la serata spiegando che «quest’anno per noi è ancora più difficile celebrare il Giorno della Memoria, perché c’è la caccia all’ebreo e vedere questa sala così piena ci scalda il cuore». Il rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib parla di quel che lo ha stupito dopo il 7 ottobre: «Sono stato cieco, forse. Ho appreso del pogrom mentre ero al tempio, all’inizio non ci ho creduto. Un film dell’orrore, che alcuni hanno associato alla Shoah, pensavano che queste cose fossero finite. All’inizio c’è stata solidarietà, ma poi essa è diminuita molto rapidamente, abbiamo assistito a cose allucinanti, le foto degli ostaggi strappate, i sondaggi fra gli studenti che dicono che gli ebrei si sono trasformati da vittime in carnefici. Questo è negazionismo».

«Che cosa sta succedendo? Da dove viene tutto questo antisemitismo che vediamo — si chiede Maurizio Molinari —? Ci sono bugie, false verità che vengono ritenute vere. Due sono lampanti: la prima è che Hamas rappresenti i palestinesi. È un’organizzazione terroristica che vuole annullare l’unica entità che davvero rappresenta i palestinesi, Anp di Arafat, e che riconosce Israele. Dicono poi che non c’è nessun legame fra popolo ebraico e terra di Israele: negare questo legame è diffondere una bugia. Vivono lì da tremila anni». Molinari poi intervista Dina Porat, scrittrice e storica argentina, che vive oggi in Israele: «La ragione di quel che sta accadendo oggi sta in un intreccio di ragioni politiche, culturali, sociali. Il fatto che ci sia uno Stato ebraico non è ancora pienamente accettato, soprattutto per la presenza di centinaia di tradizioni che convivono». Molinari le chiede perché gli ebrei non vengono percepiti come una minoranza, oggi che tutti si battono per difendere i diritti delle minoranze. «Nella cultura occidentale chiunque sia privato dei suoi diritti viene difeso, la protezione delle minoranze è importante negli stati moderni – risponde la professoressa -. Ma gli ebrei sono considerati privilegiati, perché sono bianchi, perché hanno il potere e sono ricchi, hanno una buona salute, posizioni centrali, contano nella cultura, nel potere economico, nei mass media. Vengono considerati come facenti parte della parte di mondo che opprime e quindi non bisognosi di protezione».

Il pubblico è accorso in teatro fin dal primo pomeriggio per ascoltare chi ha scritto su quel che sta accadendo. Da Anna Momigliano che parla della biografia di Golda Meir, la, a Nathania Zevi, che presenta il suo libro II nemico ideale. Sul palco anche il filosofo Umberto Galimberti: «Quel che sta succedendo ai palestinesi è qualcosa di sproporzionato» E poi: «Antisemita non vuol dire antiebreo: sono semiti anche i palestinesi, gli arabi, i turchi, gli armeni. Cominciamo a diluire il concetto di semita, sarebbe una cosa buona se gli ebrei riducono un po’ la loro identità, perché allora comincia la possibilità di dialogare; il dialogo comincia solo se ciascuno indebolisce se stesso».

 

Fonte dell’immagine: Repubblica