19 Febbraio 2020

La Sapienza di Roma conferisce alla senatrice a vita Liliana Segre il dottorato honoris causa in Storia dell’Europa

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Fabrizio Caccia

Segre, il dottorato dedicato al padre

E la senatrice bacia il ragazzo di destra

Cerimonia alla Sapienza, il saluto con Mattarella

ROMA «Ogni volta che la senatrice Liliana Segre riempie un’Aula Magna, un teatro o una scuola, magicamente quel luogo diventa subito uno spazio di incredibile entusiasmo e affetto. E così è stato anche alla Sapienza, Università di Roma…». Lo ha scritto ieri sul suo profilo Facebook la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina. Ed è vero, è andata proprio così. Ieri mattina, alla Sapienza, Liliana Segre ha ricevuto il Dottorato honoris causa in Storia dell’Europa («Dedico questo riconoscimento a mio padre Alberto, l’uomo più importante della mia vita, ucciso per la colpa di essere nato») in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. Ad applaudirla c’erano il capo dello Stato, Sergio Mattarella, il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, i ministri Azzolina, Manfredi, Lamorgese e Dadone, il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib e l’ex presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, Gianni Letta e Carlo Rubbia, il premio Nobel per la Fisica e senatore a vita anche lui. Ma soprattutto c’era Liliana Segre, «una persona speciale e un bellissimo simbolo di pace», ha scritto la ministra Azzolina sul social. La senatrice a vita avrebbe dovuto pronunciare una lectio magistralis intitolata «La storia sulla pelle». Ma davanti a tutta quella gente, davanti a tantissimi studenti venuti apposta per lei, ha deciso alla fine di parlare a braccio in Aula magna con un discorso da brividi. «Da nonna voglio ringraziare gli studenti come fossero i miei nipoti — ha esordito — perché da loro in questi 3o anni ho ricevuto sempre più di quanto abbia cercato di dare». Già, gli studenti: «E per I giovani che io faccio questa battaglia, è peri giovani che io combatto in tutti i modi ciò che mi ha segnato e mi segnerà la vita per sempre: l’odio. Che ho visto cominciare con delle parole, delle vignette umoristiche ma che poi è passato ai fatti. Non c’è limite all’odio e io l’ho visto». La Segre se lo trovò davanti ad Auschwitz, Il campo di sterminio nazista (il numero 75190 tatuato sulla pelle) ed è per questo che a 89 anni oggi torna a citare il suo «maestro» Primo Levi. «Capire, comprendere è impossibile ma conoscere è necessario», ammonisce la Segre contenta di trovarsi in «un tempio della conoscenza» come l’università La Sapienza. La senatrice è spiazzante, racconta senza enfasi episodi bellissimi e inediti della sua prigionia: come quando ad Auschwitz faceva l’inserviente di un operaio-schiavo nella fabbrica di munizioni Union e a poco a poco scoprì che lui era un professore francese di Storia. Così, «vestiti a righe e ischeletriti» decisero insieme di riappropriarsi dei rispettivi ruoli: lei, una italiana tredicenne «espulsa dalla scuola per essere nata ebrea» e lui un prof francese finito prigioniero, ricominciarono a studiare la Storia. In assoluta libertà e segretezza. Segre non sa che fine abbia fatto il professore e neppure conosce la sorte avuta da una ragazza cecoslovacca incontrata quell’anno (il 1944) in una stanza gelida di Auschwitz dopo che le avevano rapate a zero entrambe: «Cominciammo a parlare in latino maccheronico, l’unica lingua che ci accomunava, occhi negli occhi dell’altra. Non ci si dimentica più…». Al termine della cerimonia, ha abbracciato lo studente di destra Valerio Cerracchio, contestato alla vigilia dai collettivi antifascisti per essere stato invitato dall’ateneo ad intervenire in rappresentanza di tutti gli iscritti: «Hai il ciuffo come mio nipote… posso darti un bacio o sono troppo vecchia?». E siparietto finale con Carlo Rubbia, accompagnato dalla moglie Delia: «Ma lo sa signora — le ha detto scherzando la Segre — che la prima volta in Senato io e suo marito andammo a fare colazione insieme?». «Nessun problema — la risposta pronta di Delia —. La prossima volta ci vengo anch’io».