Fonte:
La Repubblica edizione di Milano
Autore:
Anna Bandettini
II biblista Haim Baharier “La memoria della Shoah è diventata solo celebrativa
“Le candeline hanno soffocato il vero tema: perché esiste l’antisemitismo? Non capendolo lo si rinfocola”
I gilet gialli che a Parigi scrivono sul muro di una misera panetteria Kosher “Il popolo siamo noi” firmato con una svastica, o quelli che fischiano il passaggio della Brigata ebraica nella manifestazione di piazza del 25 aprile a Milano, sono lo stesso inquietante segnale di un rinato antisemitismo, di un fantasma cioè che si pensava scongiurato per sempre e che invece pare drammaticamente ricomparso un po’ dovunque anche in Italia. «Sì, vedo il riemergere di un antico male, a cui non si è mai trovato un antidoto». Chi parla è Hahn Baharier, celebre a Milano per le sue lezioni pubbliche da ermeneuta della Bibbia, figlio di genitori reduci dai campi di sterminio, che il 5 e il 19 maggio (ore 11,30) terrà due incontri al Teatro Franco Parenti proprio sul tema “L’Antisemitismo o la genesi del pregiudizio” promosso dall’Associazione Lech Lechà.
Baharier la preoccupa questa reviviscenza del sentimento contro gli ebrei?
«Molto. Vedo in giro la stessa indifferenza che c’era in Germania negli anni `20 e che produsse quello che sappiamo. La mia opinione è che l’Europa non ha mai elaborato il Male della Shoah, ci siamo tutti ritrovati con il peso di questo crimine indicibile e per giustificarlo abbiamo fatto diventare le vittime carnefici: Israele come potenza militare, oppressiva di un popolo ecc… e questo nonostante Israele sia l’Europa in Medio Oriente e ogni attacco è un gesto masochistico per l’Europa stessa».
Milano come e? Secondo lei dobbiamo stare in allerta?
«Mi addolorano episodi come quelli del 25 aprile, ma quando mio fratello da Parigi viene a trovarmi mi dice sempre “Tu quello che fai a Milano non lo potresti fare da nessuna parte”, e intende dire parlare in pubblico di ebraismo, di Shoah. Milano è la città che mi ha dato ascolto».
Eppure nel cosiddetto quartiere ebraico intorno a via Soderini ci sono stati in passato gravi episodi antisemiti, e oggi non mancano le tensioni con la forte migrazione araba che c’è nei quartieri vicini.
«Sì è vero, la gente lì si sente sotto assedio, ma rispetto a Parigi dove hanno paura ad andare in giro con la Kippa non c’è paragone. Io credo che l’apertura di Milano debba essere di esempio: qui è possibile parlare pubblicamente di antisemitismo senza avere l’esercito davanti al teatro. E non ci si limita alle candeline della memoria».
Si riferisce alle celebrazioni della giornata della Memoria?
«È: una memoria della Shoah puramente celebrativa, diventata una pesante cappa, una campana di parole e gesti teatrali. Sia chiaro, sono grato al lavoro della nostra *** senatrice a vita, Liliana Segre che lotta contro l’indifferenza e che ho invitato ai miei incontri perché la sua presenza mi rassicura, ma penso che tutte quelle manifestazioni pseudoemozionali abbiano soffocato il vero problema: perché esiste l’antisemitismo, che cosa è? Perché è la difficoltà a capirlo, a distinguerlo, che rinfocola quel sentimento».
Lei proverà a spiegarlo nelle due conferenze. Come?
«Partendo dalla Bibbia, patrimonio culturale dell’ebraismo. In ebraico antisemitismo si dice antishem, da Shem, uno dei figli di Noè, quello che fa meglio qualcosa che suo fratello Ham ha fatto male. L’episodio a cui mi riferisco è quello in cui Noè ubriaco e nudo viene trovato dai figli. A differenza di Ham o Cam, Shem e Jafet, da cui deriveranno rispettivamente Israele e Grecia, prendono una coperta e coprono il padre, cioè espiano la sua colpa, fanno un gesto in più rispetto al fratello. Questo è ciò che ancora rimproveriamo all’ebreo: di fare un po’ meglio, di sentire come obbligo morale e culturale di fare un passo avanti. Saperlo non può che giovare al dialogo e noi che siamo nella diaspora abbiamo l’obbligo di dialogare con gente di buona volontà, anche dell’Islam».