Fonte:
Gay.it
Autore:
Giuliano Federico
Siamo abituati a pensare al Pride come a una casa: una casa rumorosa, colorata, a volte contraddittoria, ma pur sempre aperta. Una casa dove chiunque si riconosca nel desiderio di libertà possa trovare spazio, parola, ascolto. Eppure, qualcosa si è incrinato. In diverse piazze d’Italia – Roma, Napoli, Toscana – l’associazione Keshet Italia, composta da persone ebree LGBTQIA+, ha subito insulti, esclusioni, perfino la censura della propria bandiera. Non per ciò che ha detto o fatto, ma per ciò che è. Keshet Italia è un’associazione italiana che unisce persone ebree LGBTQIA+, persone ebree e non, persone LGBTQIA+ e non.
Se un pezzo del movimento comincia ad aver paura di sfilare – se una parte viene guardata con sospetto solo perché porta con sé una stella, un’identità ebraica, una complessità che non si lascia addomesticare – allora la casa Pride non è più un rifugio, ma diventa selettiva. Condizionata. Con porte che si chiudono invece di aprirsi. È quanto sta accadendo ai Pride italiani, ostaggio di una rabbia comprensibile verso l’ignobile e inenarrabile massacro palestinese in corso a Gaza da parte del governo israeliano a guida Netanyahu. Una rabbia tuttavia sventolata a tratti come gadget da performance social, che mutua la protesta in odio escludente e finisce per ridurre la tragedia di Gaza a una piattaforma di scontro per rese dei conti locali, giochi di potere tra associazioni, ambizioni individuali e atteggiamenti radicalizzati a priori.
È invece urgente mettersi in ascolto. L’intervista che segue a Keshet Italia non parla “da fuori”, non giudica, non polemizza. Qualche volta provoca, volutamente, quell’interlocutore che di recente, altrove, è stato zittito. Raffaele Sabbadini, presidente di Keshet, ci racconta il paradosso che stanno vivendo tante persone queer ed ebree in Italia: essere nel movimento e sentirsi sotto processo, sotto esame, come se la legittimità a esistere andasse rinegoziata a ogni Pride, a ogni palco, a ogni slogan. In un tempo segnato dalle guerre, dagli stermini e dalle polarizzazione, dove tutto viene ridotto a bianco o nero, dove ad ogni soggetto si chiede di essere schierato o escluso, Keshet rivendica il diritto di essere altro. Di dire: non siamo portavoce di governi né bandiere di Stati, siamo persone. E come tali pretendiamo spazio, voce, rispetto. Perché non esistono dolori di serie A e di serie B. Non esistono identità che devono chiedere il permesso. Non può esserci orgoglio autentico, se non abbiamo il coraggio di attraversare le zone grigie, quelle dove l’identità si complica, si intreccia, si fa scomoda. Dove l’inclusione significa accogliere anche ciò che mette in discussione le nostre certezze.
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Intervista a Raffaele Sabbadini di Keshet Italia
Al Napoli Pride avete avuto la possibilità di parlare dal palco: a Roma e al Toscana Pride cos’era successo?
A Roma è scoppiato un vero e proprio shitstorm. Partecipavamo insieme a Keshet Europe, la nuova associazione che riunisce gruppi ebraici e LGBTQIA+ nei paesi del Consiglio d’Europa.
Al termine della manifestazione, bella e partecipata, siamo statɜ vittime di violenza verbale dal carro ARCI: insulti come “assassini” e “terroristi” (video disponibile) e gesti minacciosi come il mimare pistole da parte di altri.
È stata un a vera e propria aggressione antisemita: la nostra identità e i simboli ebraici sulle bandiere rainbow sono stati attaccati e confusi volutamente con la bandiera israeliana. Siamo allarmatɜ dalla diffusione di narrazioni pericolose basate su video manipolati e descrizioni fuorvianti che definiscono il nostro come “il carro di Israele”. Vogliamo ribadire con fermezza che non siamo il carro di alcuna nazione né rappresentiamo in alcun modo il governo israeliano. Ci hanno poi accusat3 ingiustamente di non aver partecipato ai cinque minuti di silenzio per la Palestina — accusa falsa: nessuno ce lo aveva comunicato (non era iniziativa del Pride) ma abbiamo comunque partecipato, per rispetto verso i popoli che soffrono.
Ringraziamo il Roma Pride per l’accoglienza. Purtroppo dopo i fatti in questione, per garantire la sicurezza dei nostri simpatizzanti, non abbiamo potuto parlare dal palco, ma ci rifaremo spero il prossimo anno.
Ma vi sembra normale questo clima intimidatorio? Possibile che dobbiamo sfilare con paura? Persino la nostra bandiera rainbow con la stella ebraica — simbolo che unisce gli ebrei queer nel mondo — è stata vietata ancora in alcuni Pride! E si prova a farla passare in maniera becera come la bandiera di Israele
Al Toscana Pride, dopo un confronto civile con il comitato, ci è stato comunicato all’ultimo che non potevamo portarla per “motivi di sicurezza”. Una decisione che nega lo spirito stesso del Pride: libero, inclusivo, aperto a tutt3.
Per fortuna, anche qui la solidarietà non è mancata: +Europa si è ritirata dalla manifestazione e abbiamo ricevuto sostegno anche da Azione e dai Socialisti.
A Napoli eravate presi di mira in quanto ebrei?
Il discorso integrale e il video parlano da soli. Più volte, nell’inferno di quei cori osceni, ho provato a ripetere che eravamo ebre3 italian3, ma non è servito. Hanno continuato, imperterriti. Per loro, il fatto stesso di essere ebrei ci rendeva il nemico. Ci hanno gridato “assassini” — a noi, non ad altri. Non mi pare abbiamo ucciso qualcuno!
Ed è indubbiamente così: siamo stat3 pres3 di mira perché ebre3
A scanso di equivoci, ricordo che Keshet Italia è un’associazione ebraica LGBTQIA+ e che l’articolo 4 del nostro statuto è molto chiaro a riguardo.
“Lo spirito e la prassi dell’Associazione si conformano ai principi della Costituzione Italiana e si fondano sul pieno rispetto della dimensione umana, spirituale e culturale della persona.
(….) L’Associazione è ebraica LGBTQ+, femminista, transfemminista, pacifista, ecologista, antirazzista, antitotalitaria, antifascista, antiabilista e libertaria”.
Io non griderei mai a un napoletano camorrista soltanto perché napoletano.
Certo, perché sarebbe vero razzismo. Allo stesso modo, spero, tu non grideresti mai a un ebreo “assassino”, “ashkenazista”, o “terrorista”, come ci accade purtroppo ormai troppo spesso nei Pride, sui social, nelle strade.
Non appartengo alle superficiali ondate performative e vergognosamente razziste che in questo periodo gridano contro gli ebrei, in quanto ebrei. Per questo Gay.it si è messa in ascolto: c’è dunque un serpeggiante razzismo?
Sì. Non urleresti mai a un cristiano o a un musulmano “assassino” o “terrorista” solo perché nel corso della storia — anche quella recente — crimini orribili sono stati commessi in nome della fede.
Queste sono le “semplificazioni” estreme a cui porta una cultura binaria, che divide il mondo tra bianco e nero, dimenticandosi che i nostri colori sono altri: quelli arcobaleno delle nostre bandiere, o gli splendidi rosa, azzurro e bianco delle bandiere trans!
Le nostre identità nel movimento sono così: variegate, complesse, mai uguali tra loro, con storie e vissuti differenti. Ed è proprio questa diversità la nostra forza.
Se gridare “camorrista” a un napoletano è razzismo, allora chiamare “terrorista” un musulmano è islamofobia, e nel nostro caso — piaccia o no — chiamarci assassini si chiama antisemitismo.
Il tuo discorso tenuto sul palco di Napoli rifiuta le logiche binarie e rivendica complessità, anche sul conflitto israelo-palestinese. Personalmente mi sembra che il Napoli Pride abbia costruito una piattaforma pluralista, e questo anche grazie alla mobilitazione di chi si è opposto a Sannino. Il quale da parte sua è stato encomiabile a mio giudizio nell’aprire il Pride alle contestazioni a tutti . Possiamo dirlo questo? Che idea hai?
Vogliamo ringraziare il Napoli Pride per l’organizzazione impeccabile e per aver rappresentato ciò che un Pride dovrebbe essere: uno spazio inclusivo, aperto a tutte le componenti organizzate e alle singole persone che vogliono partecipare. E oggi, purtroppo, non è affatto scontato.
Nella piattaforma abbiamo ritrovato una spinta propulsiva che finalmente rimette al centro i nostri corpi, i nostri desideri, i nostri diritti. E abbiamo ricevuto una calorosa accoglienza dalla città di Napoli, purtroppo guastata da un manipolo di facinorosi esaltati, che parlano per slogan e non ascoltano e questo penalizza l’esperienza in generale.
C’è un clima di violenza esasperato e voglia di censura. Di chi è la responsabilità?
Ho la sensazione che in Italia e non solo alcuni gruppi con toni violenti e superficialità stanno cercando di prevalere con la violenza. Questa esasperazione, questa voglia di censura, di semplificazione ed esclusione purtroppo sta schiacciando ogni dialogo. Dialogo ridotto, quasi inesistente, tutto ridotto a tifo, a urla, a chi ha ragione per slogan, mentre i diritti veri restano indietro.
Bisognerebbe tornare a misurarsi con la realtà concreta e abbandonare slogan e protagonismi. Dovremmo rimettere al centro i Diritti, di cui oggi si parla troppo poco e spesso in modo scorretto.
C’è ancora moltissimo da fare come dicevo all’inizio del mio intervento di Napoli, in mezzo ai fischi …. Chissà, non erano d’accordo con le rivendicazioni sulla legge sull’omolesbobitransfobia o sugli attacchi a tutti i livelli che stanno subendo le persone trans? Abbiamo dimenticato che, nonostante il pronunciamento della Corte Costituzionale, le famiglie arcobaleno non hanno ancora pieni diritti.
C’è un anti-semitismo di ritorno che arriva da frange collocabili a sinistra: io credo che siano persone strumentalizzate dalla rabbia infusa mediante strategie di potere, che permettono al potere stesso di tenere a bada le masse, dividendole. Qual è il tuo pensiero razionale in merito?
Io non voglio credere che tutte le persone che a Roma e Napoli ci gridavano “assassini” fossero consapevolmente antisemite. Tuttavia, quegli slogan, quelle accuse rivolte esplicitamente a persone ebree, rivelano quasi sempre pregiudizi antisemiti profondamente introiettati.
Oggi assistiamo a una propaganda che assalta anche il significato stesso di “antisemitismo”. Si fanno sofismi sul termine, si specula per confondere e svuotare il concetto, annullandone l’impatto. Ma per noi ebrei, quell’impatto è reale e quotidiano, anche a causa di questi tentativi di manipolazione. Antisemitismo significa odio verso gli ebrei, punto! Lo dice chiaramente anche la Treccani: “L’avversione e la lotta contro gli Ebrei. Anche se il termine venne usato per la prima volta agli inizi del 19° secolo, si tratta di un fenomeno molto più antico.”
Penso ci sia oggi una tendenza pericolosa all’uniformità, a parole d’ordine vuote che non ammettono complessità legate anche alle nostre identità e che escludono chi non si allinea. Come dici anche tu, si preferisce dividere invece di unire. In questo periodo ho visto un livello di violenza — verbale e fisica — nel movimento come mai prima. C’è una volontà di espellere chi non aderisce a una visione unica.
Questa dinamica, fatta di etichette appiccicate e di livore concentrato su chi viene marchiato, rende anche le persone LGBTQIA+ più permeabili a narrazioni politiche violente, che nulla hanno a che vedere con la giustizia o l’inclusione.
C’è un principio sacrosanto di autodeterminazione che è giusto difendere e se voi sentite il bisogno di affermarvi come ebrei, è giusto difendere questo diritto: a meno che non si traduca in un supporto a quanto sta compiendo il governo Netanyahu.
Prendo questa come un’estremizzazione e se non vi conoscessi la prenderei come una pesante provocazione con sottintesa accusa. È il ‘a meno che’ che è osceno, cioè noi dovremmo avere il benestare non si sa di chi a difendere il diritto di espressione della nostra identità ebraica LGBTQIA+ all’interno del movimento solo se passiamo degli esami a quiz? Ci rendiamo conto dell’enormità di quello che si sta chiedendo solo a noi ebrei italiani LGBTQIA? Questo viene chiesto a chiunque altro nel movimento per qualsiasi altra ragione? Possiamo dire che questo è altamente discriminatorio senza essere tacciati come molti adombrano di vittimismo? Questa è la cruda realtà: non basta averlo detto, scritto ovunque che siamo per la pace e non siamo il portavoce di alcuno stato straniero se non di noi stessi… o dobbiamo passare ancora gli esami di maturità?
Personalmente ritengo un errore associare gli ebrei allo stato di Israele. Ma ora faccio l’avvocato del diavolo da bar: cosa significa oggi avere la necessità di definirsi ebrei? Ha a che fare con questione nazionalistiche legate ad Israele? Etniche? Religiose? Culturali? Possiamo chiarire questo punto? Quando dal palco dici “Siamo ebrei italiani” è come dire “Siamo cristiani italiani”?. Oppure “Bianchi italiani”? Io per esempio non sono ebreo, quindi cosa sono?
Essere ebrei ha a che fare con la nostra vita: siamo un popolo variegato, con identità molteplici – culturali, religiose, politiche – come il movimento LGBTQIA+. Quando diciamo “siamo ebrei italiani” affermiamo la nostra esistenza e a Napoli lo abbiamo riaffermato anche contro chi vorrebbe negarci questa identità senza alcun diritto.
L’ebraismo non è un monolite. È cultura, storia, spiritualità, memoria collettiva. Sono stati ebrei molte figure fondamentali del movimento LGBTQIA+ italiano: Mario Mieli, Aldo Mieli, Corrado Levi e Vicky Hassan che ricordiamo con tanto affetto, uno degli artefici del World Pride di 25 anni fa a Roma. Eppure spesso si tende a ignorare queste intersezioni.
Riguardo alle associazioni cristiane LGBTQIA+ anche loro rivendicano pubblicamente la loro identità, quindi nessun problema no?
Trovo invece problematico l’accostamento negli esempi citati tra “ebre3 italian3” e “bianch3 italian3”. Questo mi da la possibilità di affrontare una delle tante distorsioni meccanicistiche dell’intersezionalità per cui noi ebre3, considerati “bianch3”, saremmo per ciò oppressori.
La mia è una provocazione, ma ti prego di rispondere.
È una lettura superficiale, errata. Ricordo sommessamente che esistono ebrei bianchi, neri, asiatici, nordafricani x cui la definizione “bianchi” già non regge. Più della metà degli ebrei in Israele, in Francia, tantissimi in Italia provengono dal Nord Africa; circa un milione furono espulsi dai paesi arabi dopo il 1948 e privati dei loro averi solo perché ebrei. (tra l’altro questo lo ricordo come fenomeno troppo taciuto di antisemitismo, non certo di geopolitica). Inoltre. Quanto ai nostri obiettivi, volevo tranquillizzare tutt3: non puntiamo a “dominare” nulla, neanche il movimento LGBTQIA+. Come riportato nel nostro statuto, promuoviamo infatti cultura, dialogo, espressione dell’identità ebraica e LGBTQIA+, attraverso arte, conferenze, pubblicazioni e dibattiti.
Chiudo rispondendo alla domanda riferita a te stesso a cui, per non tradire la mia appartenenza ebraica, rispondo con un’altra domanda: tu cosa sei? Solo tu puoi definirti giusto? Se io o qualcun’altro cercasse di imporsi su di te per dirti chi sei in maniera ideologica non ti ribelleresti?
Va bene. Ma in Keshet siete religiosi, credete in Dio e cose di questo genere (rispettabilissime)?
In Keshet esistono una pluralità di identità LGBTQIA+ e alleat3 che rivendichiamo: ci sono ebre3 religios3 ortodoss3, ci sono ebre3 religios3 reform o conservative, ci sono ebre3 secolar3/laic3 come me che si riconoscono nella visione identitaria di ebraismo come popolo e non solo legata alla religione, ci sono non ebrei di varie fedi ma che credono in quello che facciamo. E poi ci sono persone LGBTQIA+ e non ma che condividono le nostre battaglie. Non siamo un monolite !
Anna Momigliano, amica di Israele, autrice del libro “Fondato sulla sabbia” ci ha detto:
“Dire – Noi siamo migliori perché tolleriamo i gay, quindi abbiamo il diritto di radere al suolo Gaza – è un cortocircuito etico e politico inaccettabile”. Cosa ne pensi?
Premessa importante: le opinioni sono personali, non rappresentano interi gruppi e questo vale per tutt3. Né Anna Momigliano né Raffaele Sabbadini rappresentano “l3 ebre3”, ad esempio spesso si tende ad usare me o lei o altr3 persone come un esempio per dividere tra ebre3 buon3 o ebre3 cattiv3. Questo non è ammissibile perché si tradurrebbe in generalizzazioni assurde e contrapposizioni identitarie.
Riguardo alla citazione estrapolata, che la difesa dei diritti debba essere usata per giustificare una guerra è chiaramente usato come paradosso ma di converso i diritti LGBTQIA+ in Israele sono una realtà e questo non ha nulla a che fare con il dramma della guerra o l’antisemitismo crescente in Europa. Sono temi distinti ed associarli è assolutamente deviante.
Una grande fetta della comunità LGBTIQ+ non tollera che voi non prendiate le distanze dalla Israele di oggi e dal governo Netanyahu. Vuoi ribadire la posizione di Keshet rispetto alla gestione che il Governo Netanyahu sta attuando dal 7 ottobre in poi?
Innanzitutto abbiamo sempre dichiarato di essere per la pace e per una soluzione che continuiamo comunque a ritenere impellente: una soluzione che preveda due stati e che permetta una dignità di vita al popolo palestinese e la sicurezza del popolo israeliano. Da tre anni protestiamo contro il governo Netanyahu, da ben prima dell’inizio della guerra. Non prendiamo lezioni di umanità da nessuno. In questo periodo nel movimento hanno cercato di escluderci da molti spazi e ora si ricordano di noi solamente per chiederci della nostra posizione sulla guerra.
Quanto dichiarammo un anno a Gay.it fa è tristemente ancora valido: “Possiamo continuare a prendere le distanze dai governi israeliani, ma il problema non è questo. Ci viene chiesto di prendere le distanze dallo Stato d’Israele e dalla sua legittimità. Questo, da definizione IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance, definisce anche linee guida per contrastare l’antisemitismo ndr) adottata anche in ambito europeo, è una forma di antisemitismo. Non saremo mai con chi delegittima l’esistenza dello stato di Israele e ne vuole la distruzione.”
Come ho già detto al Napoli Pride: “Dire che oggi viviamo un antisemitismo mai visto in Europa che confonde simboli ebraici come la stella ebraica con simboli di uno stato, non significa minimizzare la sofferenza di altri popoli, né ignorare le tragedie delle guerre in corso. LE SOFFERENZE NON SONO IN COMPETIZIONE: NON ESISTONO OLIMPIADI DEL DOLORE. Possiamo riconoscere il dolore altrui senza cancellare il nostro, e chiedere ascolto senza negare empatia”
Quali alleanze mancano ancora nel movimento LGBTQIA+ italiano per renderlo davvero intersezionale?
Prima di parlare di alleanze, riflettiamo su come viene praticata oggi l’intersezionalità.
Siamo tutt3 d’accordo che le caratteristiche identitarie ci definiscono e ne abbiamo parlato diffusamente.cOggi però si usano spesso le idee politiche, nazionali o internazionali, come caratteristiche identitarie. L’intersezionalità ci insegna che la politica non è una caratteristica identitaria: può cambiare, evolversi.
Quindi non si può imporre un’identità politica sopra una caratteristica identitaria – come ad esempio la mia religione – se fai questo mi stai attivamente impedendo di partecipare e questo diventa vero sistema di oppressione, perché non posso godere di libertà di espressione, di assemblea e di non essere accusato/attaccato per la mia stessa identità. Tutto questo va affrontato a fondo prima delle alleanze, altrimenti rischiamo di costruire alleanze sbagliate.Aggiungo che se l’approccio intersezionale va applicato anche nella lotta al razzismo. Io, come ebreo, sono una persona razzializzata (ricordiamo che l’antisemitismo è una forma di razzismo). Ma allora, come sta agendo questo movimento per includere e sostenere persone come me razzializzate?
Su questo ultimo punto: che messaggio vuoi lasciare a chi si sente oggi, come te, queer ed ebreə e teme di non trovare posto nei movimenti?
Dobbiamo lavorare nel movimento per allontanare la violenza dalle nostre realtà perché è quanto più venefico per un movimento che è stato sempre allergico alla violenza verbale e fisica e oggi ne è sommerso e sottomesso. Noi saremo sempre presenti e sempre a testa alta perché ne siamo parte integrante da 10 anni oramai.
Vorremmo rivedere nel movimento una riscossa della democrazia, del dialogo contro la sopraffazione, la politicizzazione e la polarizzazione forzata di questo periodo, mai la politica davanti ai nostri diritti, sempre la politica al nostro servizio per il raggiungimento dei nostri sacrosanti diritti!
Continuiamo a credere in una politica altra, capace di superare le logiche binarie dello schieramento cieco, e di riconoscere invece la complessità delle storie, delle identità, delle ferite.
Per noi coesistenza, giustizia e pace sono il nostro orizzonte concreto, non sono solo slogan vuoti.
IL DISCORSO DI KESHET ITALIA AL NAPOLI PRIDE – 5 LUGLIO 2025
Di seguito il testo che Raffaele Sabbadini non ha potuto leggere integralmente al Napoli Pride a causa delle pressioni del pubblico.
Ciao, sono Raffaele presidente di Keshet Italia l‘associazione ebraica Queer . LAVORIAMO da 10 anni nel movimento per l’inclusione, la visibilità e la sicurezza di TUTTE NOI
Siamo qui in una FASE CRITICA GLOBALE. I diritti delle persone queer sono sotto attacco in tutto il mondo: dall’Ungheria di Orban, agli Stati Uniti di Trump .
QUI mancano ancora leggi contro l’omobitransfobia e i diritti delle persone trans sono costantemente sotto attacco.
MA FAREI UN GRANDE APPLAUSO ALLA COMUNITÀ QUEER UNGHERESE CHE HA SAPUTO REAGIRE CON FORZA A TUTTO CIO’.
Oggi siamo al pride che è uno spazio comune, un luogo di libertà e di affermazione di tutte le identità, un luogo dove sentirci tuttE unitE con la volontà di cambiare, UN LUOGO CHE NON DEVE ESCLUDERE E DOVE TUTTE DOBBIAMO SENTIRCI A CASA non un luogo di censura,.
Lo scorso anno invece, con dolore, non abbiamo partecipato a nessun pride, IN QUELLA CHE E’ ANCHE CASA NOSTRA, perché fortissimi erano i rischi di aggressioni e ci siamo sentitiEesclusiE a causa della nostra identità di ebreE queer
Ma vi sembra normale? Possibile che non possiamo sfilare per paura di essere aggreditE? PERSINO LA NOSTRA BANDIERA RAINBOW CON LA STELLA EBRAICA, questa bandiera che riunisce LE ebreE queer di tutto il mondo è stata esplicitamente vietata IN ALCUNI PRIDE!
Perché si è arrivati a questo?
E’ paradossale che in tanti anni di lavoro di Keshet Italia per l’inclusione, la giustizia sociale, i diritti delle persone Queer e contro TUTTI i pregiudizi, oggi, improvvisamente, MOLTE organizzazioni O CI ATTACCANO PESANTEMENTE O sembrano interessate solo alla nostra posizione sul conflitto israelo-palestinese.
EBBENE, LA NOSTRA POSIZIONE È CHIARA: NOI SIAMO PER LA PACE.
Ma paradossalmente non è questo il punto.
Abbiamo sfilato infatti a Roma con QUESTE NOSTRE BANDIERE E CON LA BANDIERA DELLA PACE… e per tutta risposta ci hanno chiamato AssassinE e terroristE, MA A CHI? A NOI EBREE QUEER ITALIANE? E PERCHÉ? Non abbiamo mica ammazzato nessuno!Dire che oggi viviamo un antisemitismo mai visto in Europa che confonde simboli ebraici come la stella ebraica con simboli di uno stato, non significa minimizzare la sofferenza di altri popoli, né ignorare le tragedie delle guerre in corso. LE SOFFERENZE NON SONO IN COMPETIZIONE: NON ESISTONO OLIMPIADI DEL DOLORE. Possiamo riconoscere il dolore altrui senza cancellare il nostro, e chiedere ascolto senza negare empatia.
Crediamo in una politica altra, CAPACE DI SUPERARE LE LOGICHE BINARIE DELLO SCHIERAMENTO CIECO, e di riconoscere invece la complessità delle storie, delle identità, delle ferite.
Coesistenza, giustizia e pace sono il nostro orizzonte concreto, NON SONO SOLO SLOGAN VUOTI.
SIAMO PERSONE. ABBIAMO IL DIRITTO DI ESISTERE COME EBRE3 QUEER. IL DIRITTO DI ESSERE VISIBILI. IL DIRITTO A SPAZI SICURI.
Ringraziamo infine il Napoli Pride che ha regalato A TUTT3 NOI una giornata fantastica come questa… NOI TUTTE, UNITE, SIAMO IL FUTURO DEL MOVIMENTO !