5 Novembre 2019

Genova, quattromila persone partecipano alla Marcia della Memoria

Fonte:

la Repubblica edizione di Genova

Autore:

Michela Bompani

I nuovi giovani genovesi “Noi conosciamo il razzismo”

La storia degli ebrei genovesi deportati, molti di loro non l’avevano mai sentita. Eppure, la conoscono meglio di tutti: perché il razzismo, la discriminazione, li hanno sperimentati sulla pelle. Per strada. In classe. Sottintesi in una frase di disprezzo, striscianti in una battuta stupida, che bruciava. Sara Sellami, tredici anni, liceo scientifico Fermi, velo rosa e due occhi scuri accesi da dietro gli occhiali, spiega che “mi è capitato varie volte, di sentirmi rivolgere frasi razziste. Spesso non ci ho fatto caso, cercavo di lasciar stare. Ma qualche volta ho risposto: sono più italiana io dite! Sono di origine marocchina, ma sono nata qui. E penso sia giusto ricordare cosa è successo, perché la discriminazione esiste, ancora”. Ci sono tanti ragazzi delle Scuole della pace della Comunità di Sant’Egidio, in marcia a scandire in silenzio che “Non c’è futuro senza memoria”, come ribadisce lo striscione. Perché la marcia organizzata dalla Comunità ebraica di Genova, Sant’Egidio e il Centro Culturale Primo Levi, a ricordare la deportazione degli ebrei genovesi, “è diventata ormai una pietra d’inciampo – sottolinea Sergio Casali di Sant’Egidio – deve essere questo l’obiettivo: rompere la routine, che a volte ci impedisce di vedere il disprezzo razzista nella società. Speriamo sia l’inizio di una mobilitazione larga, contro l’indifferenza”. E’ da un mese, che i volontari di Sant’Egidio, universitari per lo più, hanno iniziato un lavoro capillare in una trentina di classi di scuole elementari e medie a Cornigliano, al Cep, nel centro storico, a Begato. “Hanno raggiunto almeno cinquecento studenti, per parlare di shoah ma anche di attualità – spiega Casali – alla marcia, poi, partecipano anche ragazzi di origine africana, e musulmani: è stato un lavoro culturale importante”. Regge una fiaccola, Brunilda Kajana, 30 anni: questa è la sua settima marcia. Brunilda è arrivata dall’Albania nel periodo della grande emigrazione. Gli stereotipi li ha sperimentati da vicino: “Nella mia scuola ero l’unica straniera e alcuni compagni me lo facevano notare, eccome – racconta – ma fa riflettere che tutta quella paura sugli albanesi ora sia ampiamente superata. Sostituita da quella verso chi ha la pelle nera. Il razzismo è costruire muri rispetto al diverso. II grande dramma, con gli ebrei, è stato l’indifferenza di tanti. Non si deve ripetere, il razzismo non può essere un’opinione”. Cristina Dumitru, 11 anni, prima media, cosa è successo agli ebrei lo ha studiato in classe. “E’ importante raccontarlo – dice – nella verifica ho preso nove”. Dea Di Stefano, cittadina italiana dalla pelle ambrata, treccine e sorriso aperto, ha 25 anni. E’ volontaria alla scuola della pace di Cornigliano. “L’accoglienza? C’è ancora molto su cui lavorare – spiega – Lo lus soli? E’ un tema che mi tocca, anche se io sono nata in Italia: perché altri sono stati meno fortunati, e anche io avrei potuto subire questa discriminazione”. Tina Cizmic, 17 anni, origine bosniaca, ex allieva della scuola della pace, è ottimista: “C’è tanta ignoranza. Ma se noi giovani ci mettiamo insieme, sconfiggiamo tutto”.

La comunità ebraica: “Le ombre ritornano, siete tutti coinvolti”

In quattromila alla Marcia della Memoria. Pochi volti del centro destra. Il presidente del Centro Primo Levi: “I treni per i lager erano guidati da italiani della Rsi che oggi qualcuno vuole onorare”. L’assessore Piciocchi: “Le istituzioni chiedano perdono”

Il silenzio dei quattromila in marcia, nella sera di Genova, è rotto solo dagli applausi, scroscianti, per alcune parole: “Liliana Segre”, “Costituzione”. Si è caricata di un’urgenza di partecipazione nuova, e netta, la Marcia della memoria che ieri, come ogni anno, la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato con la comunità ebraica di Genova e il Centro culturale Primo Levi: Genova ha risposto appena ha potuto, dopo l’astensione in aula al Senato di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia sulla mozione della senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, contro l’odio razziale. In occasione dell’anniversario dell’inizio di ondata di arresti, il 3 novembre 1943, degli ebrei genovesi che, in 261, un mese dopo, vennero deportati ad Auschwitz (e fecero ritorno soltanto in 20), la politica, le associazioni, i sindacati, ma soprattutto i cittadini hanno deciso di esserci, per bloccare la morsa d’intolleranza che sta stringendo Paese. Oltre alla fiumana di persone, di ragazzi, ogni forza politica ha partecipato con parlamentari, assessori, consiglieri: Pd, Italia Viva, M5S, Linea Condivisa, Cgil, Anpi. Netta l’assenza di tutte le linee della Lega, a parte, unico, il consigliere del Municipio Centro Est, con fascia, Marco Ghisolfo. Neppure Fratelli d’Italia si è vista. Proprio le forze che in Senato si sono astenute sulla “mozione Segre”. Come ha fatto Forza Italia che, però, in Liguria ha preso le distanze da quel “non voto” e ieri era presente con i parlamentari (Roberto Bagnasco e Roberto Cassinelli), il consigliere regionale Claudio Muzio, il responsabile dei seniores, Beppe Costa. Così lancia un appello, con parole prese in prestito da Fabrizio De André, Ariel Dello Strologo, presidente della Comunità ebraica genovese, in sinagoga, dove la marcia è terminata: «Anche se vi considerate tutti assolti, siete tutti coinvolti – ha parlato alle centinaia di persone sedute nel tempio, e a tutte quelle che non sono riuscite ad entrare e lo ascoltavano all’aperto, davanti a un maxischermo accanto all’ingresso – siamo in un momento in cui ombre lontane sono tornate a proiettarsi sudi noi. Ci sono Paesi come Francia, Germania, Belgio in cui essere ebrei è nuovamente pericoloso. Fisicamente pericoloso. Si assiste al ritorno violento dell’antisemitismo, la città di Dresda ha dichiarato allarme formale per il ritorno del nazismo. E anche un problema italiano. E l’antisemitismo è solo una declinazione di intolleranza, per questo è un problema che riguarda tutti, come singoli e come società. La politica deve assumersi la responsabilità: deve scegliere se lasciare che il clima d’odio cresca. Chiediamo in modo formale alla politica, di qualsiasi colore, di non cedere alla tentazione del consenso, perché il prezzo che tutti rischiamo è altissimo». All’inizio della marcia, davanti al sasso d’inciampo che ricorda l’arresto del rabbino capo Riccardo Pacifici è stato Piero Dello Strologo, presidente del Centro Culturale Primo Levi, a tracciare il segno, oltre il quale non si può più stare zitti: «Ricordo l’impegno della Curia di Genova e di molti che misero in salvo ebrei – ha detto – ma ricordo che tante delazioni furono fatte da italiani, i treni erano guidati da italiani, durante la Repubblica sociale italiana, quella che qualcuno ricorda ancora e vuole onorare e questo non lo possiamo permettere». E il riferimento è, anche, al caso delle corone che, in occasione delle commemorazioni dei defunti, il Comune di Genova e la Città metropolitana hanno inviato ai caduti proprio della Repubblica sociale. E la prima istituzione a rispondere all’appello di Ariel Dello Strologo è proprio il Comune di Genova, con l’assessore Pietro Piciocchi che ieri ha rappresentato il sindaco Marco Bucci, in viaggio istituzionale a Londra (e la Regione era rappresentata dall’assessora alla Cultura, Ilaria Cavo e la Città metropolitana da Stefano Anzalone). «Chiediamo perdono, le istituzioni devono chiedere perdono – ha scandito Piciocchi – anche oggi hanno una grande responsabilità: il dovere di schierarsi dalla parte della verità. Ciascuno di noi deve essere una sentinella: solo l’amore crea». La città, ieri, sul far della sera, alle 18, si è fermata per la Marcia della memoria: il traffico ha spento i motori e un fiume di persone silenziose, ma determinate a difendere quel segno che non può essere superato, con qualche fiaccola, hanno sospinto i cartelli con i nomi delle località in cui funzionarono i campi di concentramento. E, uno, con le parole di Liliana Segre: “La memoria è un vaccino contro l’indifferenza”.

Michela Bompani

 

Photo Credits: la Repubblica Genova