21 Dicembre 2016

Famiglie di alcune vittime di un attentato jihadista in Usa, denunciano Facebook, Twitter e Google per avere consentito ai terroristi di usare le loro reti per amplificare e diffondere ovunque i loro messaggi di odio

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Massimo Gaggi

Causa contro Facebook e i giganti del web per le vittime di Orlando

Promossa dalle famiglie: «I social aiutano i terroristi»

New York Hanno ignorato il problema per anni e, ora che esplode, non sanno come tamponare le reazioni giudiziarie e politiche all’uso massiccio delle reti sociali da parte dell’Isis per diffondere il suo messaggio terrorista, finanziarsi e reclutare attentatori e anche da parte di molti altri soggetti che diffondono impunemente notizie false capaci di distruggere la reputazione di un cittadino o, addirittura, di alterare il risultato di un’elezione. Facebook, Twitter e Google (in quanto padrona di YouTube) sono di nuovo nella tempesta giudiziaria: denunciate dalle famiglie di alcune vittime del massacro dell’estate scorsa nel «Pulse», il night club gay di Orlando trasformato in un mattatoio da Omar Mateen. L’accusa: aver consentito ai terroristi di usare le loro reti per amplificare e diffondere ovunque il loro messaggio, reclutando gli assassini. Nelle stesse ore in Germania il partito socialdemocratico e quello democristiano di Angela Merkel hanno fatto sapere che intendono approvare al più presto una legge che prevede una multa di mezzo milione di euro per ogni notizia falsa pubblicata e non rimossa entro 24 ore dalla richiesta. In base alla norma allo studio, Facebook e gli altri dovrebbero mettere in piedi in Germania anche una sorta di «task force» per aiutare le vittime di queste calunnie. In apparenza è il semplice ritorno di vecchi problemi: i social network sono già stati denunciati varie volte per la loro presunta tolleranza nei confronti degli utenti che praticano attività terroristiche. I tribunali, però, li hanno sempre assolti sulla base di una legge del 1996, il Communication Decency Act, che li protegge perché considera gli editori online non responsabili dei contenuti generati dai loro utenti. A giugno era finita nel nulla la causa intentata dalla famiglia di uno studente californiano ucciso negli attentati dello scorso anno a Parigi e ad agosto non era andata meglio ai parenti delle vittime di un attentato Isis in Giordania che avevano trascinato in tribunale i giganti del web. I quali, peraltro, qualche giorno fa hanno varato un’iniziativa comune per cercare di «spurgare» le loro reti dal contenuti terroristi. Anche la nuova causa potrebbe, quindi, finire nel nulla, tanto più che l’attentatore di Orlando non era un «soldato» dell’Isis. Ma gli autori della denuncia hanno sostenuto che senza il contributo delle reti sociali il terrorismo dell’Isis non si sarebbe diffuso ovunque in modo capillare fino a raggiungere Omar: un modo per tenere alta la pressione su Facebook, Twitter e Google che, tra l’altro, si sono mosse all’unisono più perché incalzate dal governi europei che minacciavano leggi punitive che per problemi di coscienza. La nuova denuncia, sporta dallo stesso avvocato della famiglia della vittima californiana della causa di giugno, contiene, poi, una nuova insidia per le società della Silicon Valley: la legge americana non le chiama in causa se forniscono solo l’infrastruttura di transito dei messaggi dei terroristi (odi quelli falsi). Ma adesso questo giurista sostiene che un intervento delle aziende c’è: non intervengono nel messaggio, ma lo valutano per decidere a quale contenuto pubblicitario associarlo. Un elemento nuovo che può essere liquidato dai giudici come irrilevante o divenire una nuova insidia. Mentre con le elezioni tedesche alle porte già inquinate dal «fake», Berlino sicuramente non darà tregua.