18 Giugno 2025

“Dovete bruciare”: aggressione antisemita a Milano, giovane ebreo finisce con la mascella fratturata

Milano, Via dei Gracchi. Due fratelli, di 18 e 15 anni, figli di un rabbino della comunità ebraica, sono stati aggrediti da tre coetanei per la sola colpa d’esser ebrei, di indossare la kippah con orgoglio e senza paura. «Non avevamo fatto nulla, stavamo solo uscendo dalla sinagoga dopo una lezione – racconta ad HaTikwa il fratello maggiore – Improvvisamente, un ragazzo ha iniziato a urlarci contro: “Assassini, dovete bruciare”. Abbiamo cercato di allontanarci, ma ci ha inseguiti. Poco dopo è stato raggiunto da altri due. Abbiamo provato a spiegare che non c’entravamo nulla, che non ci interessava d’Israele né della Palestina, che siamo italiani. Ma non è servito a nulla. Era odio puro, diretto, rivolto a ciò che siamo, alla nostra identità».

L’aggressione è esplosa in pochi istanti. Uno dei tre ha colpito con un pugno in volto il diciottenne, dando inizio a una breve ma violenta colluttazione. I due fratelli hanno cercato di difendersi: «Non abbiamo reagito per primi. Non lo avremmo mai fatto. Ma se non ci fossimo difesi, ci avrebbero fatto molto più male». Alcuni passanti sono intervenuti per separarli. Poco dopo, insieme al padre, i ragazzi hanno riconosciuto uno degli aggressori ancora nei paraggi. La polizia, già presente in zona, è intervenuta prontamente. I tre minorenni, di origine egiziana, erano già noti alle forze dell’ordine. Durante la dinamica, il fratello maggiore ha riportato una frattura alla mascella. Nella confusione, uno degli aggressori ha anche sottratto il telefono caduto a terra al fratello minore.

«La matrice dell’aggressione è inequivocabile: nessuna provocazione, nessuna discussione. Solo insulti, minacce e violenza antisemita». La denuncia è stata formalmente presentata. Ma questa violenza non nasce dal nulla, l’episodio di via dei Gracchi non è un’eccezione: è il segnale di un veleno che scorre sotto la superficie, mascherato da rabbia indistinta o ignoranza profonda.

L’antisemitismo di oggi ha perso le uniformi ingombranti del passato, ma conserva lo stesso sguardo oscuro e feroce. Non si manifesta solo con urla nelle piazze estreme; si insinua silenzioso nei corridoi delle scuole, nei sussurri furtivi, nei post anonimi, nei silenzi che rendono complici. È questo il volto più inquietante dell’odio: la sua normalizzazione. Il momento in cui l’identità si trasforma in bersaglio, la diversità in minaccia. Quando persino un gesto millenario, come indossare una kippah, basta a scatenare la violenza. E così una mano si sente autorizzata ad alzarsi minacciosa, pronta a colpire chi ha solo osato esistere per ciò che è.

Il compito che oggi attende scuole, famiglie e istituzioni non è solo quello di condannare, ma ben più arduo di educare. Educare alla consapevolezza che la libertà religiosa non è un privilegio, ma un diritto inalienabile. Che ogni volta che l’antisemitismo riemerge, è la storia stessa che bussa alla nostra porta, chiedendoci conto di ciò che il mondo sembra aver dimenticato. Perché dire “mai più” non basta, se poi si tace. Se si distoglie lo sguardo quando quel “mai” si ripresenta, puntuale e feroce, nelle nostre strade. Sotto casa. Davanti ai nostri occhi.