11 Maggio 2018

Convegno all’università Cattolica di Milano sugli 80anni delle leggi razziste

Fonte:

La Repubblica edizione di Milano

Autore:

Zita Dazzi

“Leggi razziali frutto di un male che esiste ancora”

Liliana Segre con Delpini, Sala e il rabbino Harbib rilancia l’allarme neofascismo e antisemitismo

«Io sono una che ha visto l’irreparabile e che è tornata a raccontare l’indicibile. Ma quello che mi ha colpito è l’indifferenza, il male oscuro che c’è anche oggi, nelle menti e nei cuori. Un grande pericolo, peggiore anche della violenza». Liliana Segre, 88 anni, sopravvissuta ad Auschwitz, è vestita di bianco e con il suo sguardo limpido ha appena finito un discorso commovente, nell’aula magna dell’università Cattolica, dove è in corso un convegno promosso dalla prefettura in occasione degli 80 anni delle leggi razziali. Si alzano tutti in piedi quando termina, le autorità e gli studenti. E applaudono a lungo, come succede ogni volta che la neo senatrice a vita racconta dell’arresto a 13 anni e dei 40 giorni trascorsi a San Vittore nella cella 202 del V raggio. In aula siedono il sindaco Beppe Sala, il prefetto Luciana Lamorgese, il rabbino Alfonso Harbib, l’arcivescovo Mario Delpini, il presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, Ferruccio De Bortoli, e molte altre personalità. Appena fuori, il muro è tappezzato da manifesti neri, con parole d’ordine e stile iconografico che richiamano l’estetica nazifascista. I manifesti sono firmati dalla Comunità antagonista Padana, dalla lista studentesca Sturm und Drang e dalla Cuib (Conquista dell’università), sigla che firma anche il numero zero della rivista ciclostilata gratuita La conquista contenuta in una tasca appesa al muro. Fa impressione leggere i testi della rivista uscendo dall’aula magna dove il rabbino Harbib ha appena messo in guardia: «Ci sono sintomi inquietanti di un ritorno nell’antisemitismo e del negazionismo, è doveroso indignarsi e ribellarsi». Eppure, nei corridoi dell’ateneo cattolico trova spazio di diffusione il ciclostile in cui si legge: «Riscoprire e rafforzare l’identità dei nostri popoli padani, indirizzando però il tutto verso una terza posizione estranea sia al “solve” mescolazionista e progressista, che al “coagula” e alla “cruzada” giudaico-americana occidentalista e liberale». Nello stesso fascicolo ci sono testi di Ramiro Ledesma Ramos, esponente del fascismo spagnolo negli anni ’30; Robert Brasillach, collaborazionista francese col Terzo Reich; José Antonio Primo De Rivera, figlio del dittatore fascista spagnolo; Oswald Spengler, discusso pensatore che ebbe molti contatti con Hitler e Goebbels. I manifesti neri con simboli che richiamano quelli celtici c’erano già la settimana scorsa. Non c’era invece la rivista in cui si critica un «nuovo ordine mondiale che avesse gli Stati Uniti e l’Occidente uniti e lo Stato d’Israele come fine e in ultimo l’utilizzo del fenomeno migratorio come catalizzatore dell’odio anti-islamico in funzione filoebraica». Certo, parole deliranti nelle quali è perfino difficile capire il nesso logico, che stridono con le parole che vengono pronunciate a pochi metri di distanza nell’aula magna. «Io sono stata cacciata dalla scuola a 8 anni per la colpa di essere nata — racconta Liliana Segre — . Ho provato che cosa vuol dire essere una richiedente asilo, una clandestina con documenti falsi». Il sindaco Sala commenta: «Non esiste un razzismo moderato». L’arcivescovo Delpini le chiede «scusa» a nome della città che restò muta davanti alle leggi razziali: «Dobbiamo chiederci qual è l’humus dentro al quale nascono i germi preoccupanti che vediamo anche oggi, l’indifferenza che può generare cose aberranti — dice Delpini — . Dobbiamo esercitare la responsabilità, visto che a suo tempo non ne fummo capaci».