4 Maggio 2016

Commento di Ian Buruma sull’antisemitismo di una parte del Labour britannico

Fonte:

la Repubblica

Autore:

Ian Buruma

L’antisemitismo della sinistra

Ken Livingstone, ex sindaco di Londra ed esponente della sinistra del Labour, è stato sospeso dal partito per aver affermato che nei primi anni Trenta, «prima che impazzisse e uccidesse sei milioni di ebrei», Hitler era stato sostenitore del sionismo. Dopotutto Hitler, stando a Livingstone, prima di «impazzire» si era semplicemente limitato a tentare di cacciare gli ebrei dai rispettivi Paesi affinché si trasferissero in Palestina. E questo presumibilmente avrebbe fatto di lui un sionista. Dal punto di vista storico tale affermazione rappresenta un’assurdità ( Hitler non sostenne mai la Palestina come Stato ebraico ), e l’implicita conclusione che l’odio del Führer nei confronti degli ebrei lo ponesse sullo stesso fronte degli ebrei che intendevano costituire un proprio Stato per sottrarsi alla violenza dell’antisemitismo è come minimo offensiva Ma Livingstone era probabilmente sincero quando si difendeva dicendo che «un vero antisemita non odia solo gli ebrei che vivono in Israele, ma anche quelli che ha come vicini….». L’odio per gli ebrei di Israele sarebbe dunque accettabile poiché «sono sionisti». Corbyn, leader dello stesso partito di Livingstone, era indubbiamente altrettanto sincero nel dire che l’antisemitismo non può essere un problema della Sinistra, dal momento che il Labour è da sempre «antirazzista».

La convinzione che i pregiudizi razziali, compreso l’antisemitismo, siano un fenomeno esclusivamente di destra è diffusa nella sinistra europea . Tale posizione risale probabilmente ai tempi dell’affaire Dreyfus: nel 1894, a seguito di un processo truccato, il capitano dell’esercito francese Alfred Dreyfus fu falsamente accusato di tradimento e la società si divise tra anti-dreyfusiani ( conservatori ) , e difensori ( liberali) dell’ufficiale ebreo. I conservatori erano in maggioranza cattolici “allergici” alla Repubblica,associata al pensiero liberale e agli ebrei. L’antisemitismo francese reazionario rifletteva una tendenza diffusa nell’Europa del XX secolo: nazionalisti “sangue e terra’”(Blut und Boden ), cristiani conservatori, fanatici anti-bolscevichi e despoti ossessionati dall’ordine sociale erano spesso antisemiti. Gli ebrei vivevano meglio sotto i governi di sinistra. Ciò porta a dimenticare che anche la sinistra è da sempre attraversata da una vena antisemita.

Stalin, com’è noto, perseguitò gli ebrei, che considerava agenti del capitalismo e traditori dell’Unione Sovietica. E prima ancora, Karl Mari aveva gettato le basi (pur essendo ebreo di nascita) di una perniciosa varietà di antisemitismo che finì col contagiare la sinistra, in particolare quella trance-se. Fu lui ad affermare che «il denaro è il geloso Dio di Israele», e che «l’ebraico era la musa delle quotazioni di Borsa». Non che ignorasse i rischi dell’antisemitismo Marx pensava piuttosto che questi sarebbero semplicemente svaniti una volta che il paradiso dei lavoratori fosse stato edificato. È evidente che si sbagliava. Nel 1948 l’Unione Sovietica e la sinistra in generale si dimostrarono favorevoli alla costituzione del nuovo Stato di Israele. Per decenni poi, socialisti di origini russe e polacche dominarono la scena politica israeliana. Il sionismo non era ancora considerato una forma di razzismo, paragonabile all’apartheid sudafricano. Non c’era bisogno di «odiare gli ebrei di Israele».

Nei primi anni Settanta, dopo l’occupazione della Cisgiordama e altri territori, le cose hanno iniziato a cambiare. Una o due intifada più tardi la sinistra israeliana ha perso il potere, cedendo il passo alla destra, e da allora Israele è sempre più spesso associato a quei fenomeni a cui la sinistra si era sempre opposta: colonialismo, oppressione delle minoranze, militarismo e nazionalismo esasperati. Per alcuni, la prospettiva di poter nuovamente odiare gli ebrei — questa volta in nome di principi nobili — è stata forse un sollievo.

Al tempo stesso, e quasi per le stesse ragioni, Israele è diventato “popolare” a destra. Gli stessi che fino a poco tempo fa avrebbero potuto essere accesi antisemiti sono diventati paladini di Israele, e approvano l’intransigenza del suo governo contro i palestinesi. Secondo un’opinione assai diffusa a destra, Israele è il bastione della «civiltà giudeocristiana» nella «guerra contro l’Islam». Come affermato dal demagogo olandese Geert Wilders: «Quando la bandiera di Israele non sventolerà più sulle mura di Gerusalemme, l’Occidente avrà smesso di essere libero». Così la stessa retorica sceglie semplicemente un nuovo bersaglio: i musulmani. Ci viene detto e ridetto che non potranno mai essere dei cittadini leali, che sono infidi, che la loro religione non è compatibile con i valori dell’Occidente, e via dicendo. Nella maggior parte dei casi tali affermazioni, rese persino più convincenti dalle minacce reali che scaturiscono da un violento movimento rivoluzionario interno al mondo islamico, dovrebbero essere viste per quello che sono: pregiudizi vecchi e triti che mirano a emarginare una minoranza impopolare. La violenza islamista non fa che incoraggiare la politica dell’odio e della paura. Nella cosiddetta «guerra contro l’Islam», molti dei combattenti occidentali sono gli anti-dreyfusiani dei nostri giorni. Nulla di tutto ciò giustifica lo spregevole linguaggio di Ken Livingstone e di altri come lui. L’antisemitismo di sinistra è tossico quanto la sua controparte di destra, ma il ruolo di Israele all’interno del dibattito politico occidentale dimostra come i pregiudizi possano passare da un gruppo all’altro, mentre Dilsentimento che ne è all’origine rimane lo stesso.

(Traduzione di Marzia Porta)