19 Giugno 2025

Come e perché dobbiamo affrontare l’odio online

Sui social l’hate speech è talmente comune che si rischia di esserne assuefatti. Ma solo combatterlo, con politiche e azioni mirate, può prevenire violenze nel mondo reale

Nella Giornata internazionale per il contrasto ai discorsi d’odio, l’incontro tenutosi al Senato tra il Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Theodoros Rousopoulos, Liliana Segre e la Commissione contro l’intolleranza, razzismo e antisemitismo ripropone la necessità di affrontare il tema del discorso d’odio soprattutto nella prospettiva di un’ecologia dei media online. Stiamo normalizzando l’hate speech? Passato lo scandalo e la preoccupazione per i casi più noti, cala l’attenzione della società e delle istituzioni, mentre anche esponenti politici lo utilizzano. Stiamo imparando a convivere con il discorso d’odio che colpisce ora innocenti cittadini, ora minoranze, o persone fragili. Razzismo, antisemitismo e misoginia mutano pelle ma dominano il web. L’esposizione continua a toni forti o insulti porta a una desensibilizzazione graduale, e a sottostimarne gli effetti dannosi. C’è purtroppo un legame molto chiaro tra l’esposizione a messaggi di odio online, la desensibilizzazione e l’aumento dei pregiudizi, ma soprattutto il rischio di disimpegno morale: più si attenua la percezione dell’odio, più diminuiscono le probabilità che lo spettatore reagisca mettendo in campo comportamenti d’aiuto. Il rischio è di rassegnarsi al suo dilagare, considerandolo uno dei tanti modi in cui si esprime la conflittualità umana.

Ma l’odio online non è normale. Anche se l’ostilità e la violenza sono sempre esistite, e nonostante alcuni parlino solo di “consuete” dinamiche delle conversazioni, l’habitat stesso dei social network favorisce la diffusione di ostilità, diffamazione, insulti, falsità dirette contro singoli o appartenenti a gruppi bersaglio, dagli immigrati agli ebrei, dalle donne ai disabili. L’hate speech online colpisce e minaccia i gruppi bersaglio, traumatizza le persone, conferma nell’idea che alcuni gruppi e minoranze sono meno degni degli altri, porta le persone non violente ad astenersi, utilizza il pensiero cospiratorio.

Quindi, monitorare e affrontare l’odio online appare cruciale per prevenire violenze nel mondo reale. Si dimentica, infatti, che l’odio non è solo un’emozione privata, ma un atteggiamento che può trasformarsi in azione, alimentare polarizzazioni sociali e giustificare forme di esclusione o violenza.

La situazione si complica con l’utilizzo spregiudicato della nuova Intelligenza Artificiale, che rende il confine tra “vero” e falso” molto labile, e diffonde immagini manipolate la cui autenticità viene smentita solo dopo che il danno è fatto. Da parte delle grandi piattaforme, che da tempo sanno come l’intensità emotiva sia una forma di business, il disimpegno verso le espressioni d’odio, è evidente: lo attestano la dichiarata rinuncia a moderare i contenuti, e la bassa percentuale di rimozioni, anche quando i contenuti antisemiti o razzisti sono evidenti.

Le politiche europee, invece, con il Digital Services Act, vanno in altra direzione, e sono orientate a contrastare i contenuti illegali. Ci sono molte possibilità di azione che l’Italia può cogliere, a diversi livelli e con interventi sistemici. Conoscere meglio il fenomeno significa non tanto misurare la quantità di odio, ma concentrarsi sul suo andamento, in particolare sui “picchi” di aggressività sociale, corrispondenti ai fatti di cronaca o crisi internazionali (momenti di maggiore odio verso le donne, o gli immigrati, o antiebraico). Le ricerche mostrano che è possibile monitorare quelle che possiamo chiamare le “comunità di odio”, gruppi i cui membri rilanciano i messaggi gli uni degli altri, nonché i profili degli attivisti della rete. Gli algoritmi possono anche essere usati non solo per nuocere, ma in modo positivo per decifrare e identificare meglio l’odio online.

L’azione di organismi come il Consiglio d’Europa, importante garanzia dei diritti umani, che per primo ha definito l’hate speech, o della Commissione Segre, può dare impulso a un maggiore contrasto. La nascita di alcune Commissioni a livello locale, come quella del Comune di Milano, fa sperare. Anche a livello normativo ci sono vari interventi da intraprendere per non normalizzare l’odio, a partire dall’inserire specificatamente l’addestramento degli algoritmi in funzione del contrasto dei fenomeni d’odio nella nuova legge sulla AI in discussione in Parlamento. Coltivare le alleanze internazionali è necessario: appuntamento con il Consiglio d’Europa a Roma per la prossima Giornata del contrasto ai discorsi d’odio nel 2026.

Milena Santerini, autrice di questo articolo, è consulente della Commissione intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza del Senato