18 Marzo 2024

Antisionismo e antisemitismo nelle università italiane

Fonte:

La Repubblica edizione di Napoli

Autore:

Patrizia Ferrione

Preserviamo l’università dal fanatismo

Tira una brutta aria nelle università e non solo, in queste ultime settimane. Al Politecnico della Federico II di Napoli è stata tolta l’opportunità di parlare al direttore di “Repubblica”, Maurizio Molinari, definito dai giovani manifestanti un “sionista”. Qualche giorno prima è accaduto che alla Sapienza di Roma fosse contestato il giornalista David Parenzo. Fatto ancor più grave è stato l’aspro rimprovero rivolto alla senatrice Liliana Segre di non essersi espressa con uguale forza sulla sorte dei bambini palestinesi, come invece si è espressa sui bambini vittime dell’Olocausto. Accusa che poi le è stata rivolta dalla Basile, querelata dalla senatrice. Sulla querela si è aperta una polemica assai vivace perché, per alcuni, lederebbe la libertà di parola. Della Basile ovviamente. Al corteo dell’8 marzo è stata allontanata la donna che esibiva un cartello sulle violenze e stupii perpetrati da Hamas, su cui si è pronunciata da ultimo una commissione Onu. Questo episodio rappresenta una macchia sul corteo dell’8 marzo per la pace e contro la violenza di genere, ed una perdita di credibilità per il femminismo che non ha proferito parola sull’episodio. Tra un mese circa ci saranno le celebrazioni del 25 Aprile per commemorare la liberazione dell’Italia dell’antifascismo. C’è da scommettere che le Brigate Ebraiche saranno contestate come al solito e forse anche più violentemente. Potrà accadere che non scendano in piazza affatto, autocensurandosi. E certo l’autocensura non è mai un atto libero e scevro da pressioni. Dall’Anpi ha preso le distanze il presidente dell’associazione di Milano, Cenati, il quale ha sottolineato che le parole sono “pietre” e come “non si possa equiparare il genocidio degli ebrei a nessun altra vicenda” sebbene così tanto dolorosa e sanguinosa come quella di Gaza. Ha fatto benissimo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a condannare la contestazione a Molinari. Ma, per il resto, non vi è traccia di un rigurgito di sdegno, di preoccupazione per ciò che sta accadendo in molti contesti ormai, anche prestigiosi quali le nostre università. All’indomani del 7 ottobre un amico docente universitario mi ha raccontato di aver presentato nel suo dipartimento un appello di condanna sui vergognosi fatti di sangue ad opera di Hamas. Non fu approvato. E non vi era ancora stata la reazione di Israele, che dopo pochi giorni poi si è manifestata così come oggi tutti la vediamo. Quello che poi sta accadendo è, giorno dopo giorno, l’incapacità di tenere insieme la condanna verso il governo israeliano per Gaza e la condanna delle minacce di rigurgiti antisemiti. Come se fosse possibile condannare ciò che accade a Gaza solo se ci si professa antisionisti, o si rinnega l’essere ebrei o, addirittura, di essere stati vittime di un Olocausto a cui non si voglia togliere il marchio di male assoluto. Dunque l’insidia del fanatismo è alle porte. È indiscutibile che, in questo contesto, covi un malcelato imbarazzo a pronunciarsi su quanto sta accadendo nelle nostre università. Facendo uno sforzo ed allontanando ogni ideologia che possa appannare il giudizio, è possibile mettersi al riparo in qualsiasi momento dalla minaccia dell’antisemitismo che mina la nostra civiltà? Se dentro di noi risuona l’orrore dell’Olocausto, riportato, in modo così semplice e grave al tempo stesso, dal regista Jonathan Glazer con il film “Zona di interesse”, non possiamo che condannare ogni atto teso ad annullare una persona perché “ebreo”. O anche sionista. Il sionismo nasce per dare uno Stato ad Israele. Sacrosanto diritto che trova le sue radici e le sue ragioni nell’Olocausto e che nasce dalla giusta volontà riparatrice verso un popolo vittima di un genocidio che macchiò la coscienza di noi europei. Amos Oz nella sua lezione illuminante sul fanatismo tenuta all’università di Tubinga ricorda : «Quando mio padre era ragazzino in Polonia, le vie d’Europa erano, tappezzate di scritte “maledetti ebrei, tornate in Palestina”. Quando mio padre è tornato in Europa, circa cinquant’anni dopo, i muri erano coperti di “ebrei, fuori dalla Palestina”. L’ideologia che produce fanatismo nelle università non è mai un bene. Così come nelle scuole. E noi docenti, uomini e donne di cultura, dobbiamo guardarci da questa insidia. Sempre Amos Oz nella sua lezione contro il fanatismo a Tubinga descrive meglio di chiunque altro il paradosso di quello che ci accade quando in nome di una ” giusta causa” si toglie la parola all’altro: «Vi basterà leggere il giornale o vedere la Tv, per rendervi conto della facilità con cui la gente diventa fanaticamente antifanatica…». Nelle nostre scuole e università invece la parola è sacra, e la letteratura ha molto da insegnarci. Per Oz «la letteratura è un antidoto al fanatismo. Gogol insegna che il naso pub diventare un nemico acerrimo e che ti puoi ritrovare fanaticamente a caccia del tuo naso». Ed aggiunge: «Il fanatismo viene prima di qualsiasi ideologia o credo. Disgraziatamente è una componente sempre presente nella natura umana, è, se cosi si pub dire, un gene del male. È l’autoriflessione su queste dinamiche che pub spingerci a vedere l’altro anche quando abbiamo cento volte ragione». Amos Oz è stato lo scrittore ebreo, inviso a molti ortodossi, che più di ogni altro ha combattuto il fanatismo di entrambe le sponde palestinese ed israeliana, riconoscendo il compromesso e la forza dell’immaginazione come unici strumenti per la costruzione di due Stati. Nel suo libro “Il mondo di ieri” Stefan Zweig ci fa scivolare – come d’altronde scivola egli stesso descrivendone l’orrore – verso gli abissi del nazifascismo e dell’antisemitismo. Non in un modo tragico. Ma nel modo più semplice e veloce che si possa immaginare. Questi esiti pur non essendo prevedibili avevano radici profonde. E soprattutto dilagarono nella indifferenza di tanti. L’Europa ne fu devastata. E Zweig con Freud e tanti altri avvertirono tardi la profondità di quelle radici di intolleranza e di violenza. Liliana Segre non smette mai di sbatterci in faccia la parola “indifferenza” che rese possibile l’Olocausto, più che la violenza dell’Olocausto Ecco, proprio su questo dovremmo riflettere: la consapevolezza di ciò che sta accadendo oggi. E l’indifferenza che accolse quegli eventi. Nel mondo di ieri. E nel mondo di oggi?