2 Febbraio 2018

Analisi dello storico David Bidussa: «Il vittimismo di chi non vuole fare i conti con il passato»

Fonte:

Il SecoloXIX

Autore:

David Bidussa

Farsi lo sconto davanti alla storia

Il Senato polacco ha approvato in via definitiva la legge sull’Olocausto, che vuole difendere l’immagine del Paese. Previsti fino a 3 anni di carcere o una multa per chi definisca «polacchi» i campi di sterminio installati dai nazisti in Polonia. La descrizione non dice una bugia. Ma non dire una bugia non significa dire la verità. Nel concreto significa decidere di non interrogarsi sul proprio passato. Provo a spiegarmi. È indubbio che il nazismo e l’organizzazione politica, operativa, anche tecnica, dello spazio rappresentato dai campi di concentramento e di sterminio, non fosse opera dei polacchi. Così com’è rilevante che una parte della popolazione polacca si sia mobilitata contro il sistema dello sterminio. Dunque da questo punto di vista la legge stabilisce un’ovvietà. Tuttavia è altrettanto indubbio che la possibilità dello sterminio, la sua radicalità, la sua efficienza, la sua realizzabilità e anche il suo successo siano dipese dalla rete di consenso, d’indifferenza, di antisemitismo che ha connotato a lungo la storia, la politica, la cultura, e anche la mentalità diffusa in Polonia. Dunque il problema non è penalizzare il sentimento antipolacco, ma non fare i conti con molte altre cose che stanno intorno allo sterminio, che spesso lo rendono possibile, che non vi si oppongono, che talvolta lo precedono e che consentono anche dopo, a sterminio avvenuto, di continuare a dare imperterriti la caccia all’ebreo. Come è accaduto a Jedwabne, con il massacro del 194,1 oppure a Kielcze, il 4 luglio 1946, dove furono uccisi 40 ebrei e altri 80 vennero feriti, semplicemente perché – essendo sopravvissuti allo sterminio – pensavano che fosse un loro diritto ritornare nelle proprie case, in quel momento occupate da polacchi che si ritenevano i nuovi padroni. E il profilo della riflessione proposto dallo storico polacco-americano Jan Tomasz Gross che, prima con I carnefici della porta accanto (Mondadori) e poi con Un raccolto d’oro (Einaudi), ha dimostrato che antinazismo e lotta all’antisemitismo non sono “naturalmente” coincidenti e come fare i conti con la vicenda dello sterminio implichi smettere da parte dei polacchi di raccontarsi solo come vittime o come estranei. Fare i conti col passato è difficile, soprattutto per chi con la storia ha sempre avuto un’immagine di vittima senza analizzare le proprie responsabilità. La legge approvata ieri alla fine conferma anche questo: il vittimismo, al netto dei motivi reali che lo definiscono, è soprattutto una macchina che serve a scansare le responsabilità e a pensarsi fuori dalla storia. A descrivere se stessi, a priori, come innocenti, incontaminati. A ben vedere, il codice culturale delle procedure di avvicinamento alle esperienze totalitarie si fonda su vittimismo, nazionalismo e rancore. In Polonia questi tre elementi, congiunti a una nostalgia suprematista (come è accaduto nelle manifestazioni in occasione della Festa nazionale dell’11 novembre) sono da tempo all’opera.