7 Giugno 2016

Riflessione di Ian Buruma sui nuovi demagoghi reazionari

Fonte:

la Repubblica

Autore:

Ian Buruma

Le sparate di Trump e le origini del Fascismo

Stiamo forse assistendo a una recrudescenza del fascismo? Sono in molti a crederlo. Donald Trump è stato paragonato a un fascista, così come Vladimir Putin e diversi altri demagoghi e sbruffoni europei di destra. La recente propensione ad esprimersi con toni arroganti e intimidatori è giunta persino nelle Filippine, il cui nuovo presidente Rodrigo (“the Punisher”) Duterte ha giurato che getterà i presunti criminali nella Baia di Manila. Termini quali “fascismo” o “nazista” presentano tuttavia un problema: molte persone ignoranti ne hanno abusato talmente spesso da averli svuotati di un qualsiasi vero significato. Pochi ancora sanno cosa sia realmente il fascismo, e oggi tale parola si usa soprattutto per indicare persone o idee che non ci piacciono. Una simile retorica ha imbarbarito il dibattito politico e la memoria storica: quando un politico repubblicano paragona le tasse Usa sulla proprietà all’Olocausto ( come accaduto nel 2012 ), l’uccisione di massa degli ebrei viene banalizzata al punto da perdere significato. E lo stesso accade quando si paragona Trump a Hitler. Tutto ciò ci distoglie dai rischi della demagogia moderna. Dopo tutto, per Trump, Geert Wilders, Putin, o “the Punisher” non è difficile respingere l’accusa di essere fascisti o nazisti. Saranno pure ripugnanti, ma per il momento non organizzano truppe d’assalto né costruiscono campi di concentramento né invocano lo Stato corporativo. La scarsa memoria — o l’ignoranza — del passato rappresenta un’arma a doppio taglio. Dopo aver sentito un giovane scrittore olandese simpatizzante della nuova ondata populista dichiarare la propria profonda antipatia nei confronti dell’élite culturale del proprio Paese — colpevole secondo lui di promuovere la musica atonale e altre turpi forme di espressione artistica — mi sono domandato se avesse mai sentito parlare della retorica nazista sull’arte degenerata. La musica atonale, oggi non di gran moda, era il tipo di espressione che i lacché di Hitler detestavano. E che finirono per bandire. Nella retorica politica contemporanea è possibile riscontrare eco dei periodi più bui della nostra storia, che sino a qualche decennio fa avrebbero trasformato in un emarginato qualsiasi politico che vi avesse fatto ricorso. A quei tempi alimentare l’odio per le minoranze, scagliarsi contro la stampa, fomentare le masse contro gli intellettuali, i banchieri o chiunque parlasse più di una lingua non rientrava nelle dinamiche della politica tradizionale, e questo perché un sufficiente numero di persone era ancora in grado di comprendere i rischi insiti in tali argomentazioni. È evidente che ai demagoghi di oggi tutto ciò non interessa granché. Ma non è facile capire se essi posseggano o meno un senso della storia sufficiente a rendersi conto che stanno riportando in vita qualcosa che si sperava fosse mono. Adesso sappiamo che simili atteggiamenti possono essere riportati in vita dalla scarsa memoria. Ciò non significa che tutto ciò che i populisti affermano sia inattendibile. Persino Hitler ci vide giusto quando si rese conto che la disoccupazione di massa rappresentava un problema per la Germania. Molti degli spauracchi dei sobillatori di destra sono facilmente criticabili: i metodi opachi dell’Unione Europea, la falsità e l’avidità dei banchieri di Wall Street, la riluttanza ad affrontare i problemi dell’immigrazione di massa, la mancanza di interesse che i partiti tradizionali dimostrano nei confronti di chi è costretto a una posizione di vantaggio a causa della globalizzazione. Tutte problematiche che i parsiti tradizionali si dimostrano riluttanti o incapaci di affrontare. Quando però i populisti ne attribuiscono la responsabilità alle “élite”e alle minoranze etniche o religiose, assumono toni simili a quelli che negli anni Trenta contraddistinguevano i nemici della democrazia liberale. Il vero tratto caratteristico del demagogo reazionario è il modo in cui egli parla di “tradimento”: le élite cosmopolite ci hanno accoltellati alle spalle; ci troviamo di fronte a un abisso; la nostra cultura viene minata dagli stranieri; la nostra nazione potrà finalmente tornare ad essere grande quando ci saremo disfatti dei traditori, avremo impedito alla loro voce di diffondersi sui mezzi di comunicazione e saremo riusciti a far godere la gente comune di un sano organismo nazionale. I politici che si esprimono in questi termini e i loro sostenitori non saranno forse fascisti, di certo però parlano come se lo fossero. Negli anni Trenta i fascisti e i nazisti non spuntarono dal nulla. Le loro idee non erano certo originali, e le basi dell’operato di Mussolini, di Hitler e dei loro emuli di altri Paesi erano state gettate già molti anni prima da intellettuali, attivisti, giornalisti e rappresentanti del clero che diffondevano idee piene di odio. Alcuni di loro erano reazionari cattolici che detestavano le conseguenze della Rivoluzione francese. Altri erano ossessionati dall’idea che il mondo fosse dominato dagli ebrei. Altri erano dei sognatori, desiderosi di far prevalere un fondamentale spirito razziale. Nella maggior parte dei casi i demagoghi moderni sono solo vagamente consapevoli di questi precedenti, o forse li ignorano del tutto. Tuttavia le parole e le idee non sono prive di conseguenze. I leader populisti di oggi non dovrebbero continuare ad essere paragonati ai dittatori sanguinari di un passato recente. Ma cavalcando quello stesso sentimento popolare, essi contribuiscono a creare un clima tossico, che potrebbe riportare in auge la violenza politica.

(Traduzione di Marzia Porta)