27 Settembre 2017

Polemiche antisemite durante la conferenza del Labour inglese a Brighton

Fonte:

Il Foglio

Autore:

Paola Peduzzi

A Brighton poca Brexit laburista, molte nazionalizzazioni e rivoli di antisemitismo

Milano. La conferenza del Labour inglese a Brighton quest’anno è la festa del leader, Jeremy Corbyn: ritardi all’ingresso per le file, molti giovani, eventi collaterali, sorrisi spalancati. Corbyn non ha vinto le elezioni a giugno, è arrivato dietro ai conservatori di Theresa May, premier dalla bassa popolarità, ma è, come si dice, il vincitore morale della politica britannica, o almeno è quanto tutti vogliono urlare nella kermesse di Brighton. E il corbynismo, davanti al suo pubblico, dà il meglio di sé: decide di non votare per una mozione Brexit condivisa, visto che la condivisione non c’è, si perde nel suo antisemitismo sempre meno latente, annuncia nazionalizzazioni e smantellamenti di iniziative private, aspetta che oggi, all’ora di pranzo, Corbyn faccia il suo discorso programmatico, da “premier in waiting”. L’assenza di un dibattito serio sulla Brexit ha riaperto la storica frattura interna al partito, corbyniani contro blairiani, ma anche Sadiq Khan, sindaco di Londra non certo blairiano, è scandalizzato dalla mancanza di chiarezza del suo partito: in un’intervista all’Evening Standard (in ogni faida politica del Regno c’è lo zampino del direttore del quotidiano pomeridiano, George Osborne), Khan dice che la linea sulla Brexit ci vuole, e deve essere quella di tenere un secondo referendum: è un’ipotesi sempre meno credibile, gli elettori inglesi sono stufi di essere chiamati di continuo alle urne senza poi chiarire qualcosa del proprio futuro, ma è alternativa alla soft, hard, clean Brexit di cui discute il governo. Khan ha dato voce cosi ai laburisti pro Europa, mentre i corbyniani si perdevano nelle solite, preoccupanti distinzioni. Corbyn parla di transizione post Brexit “lunga quanto necessario”, forse non i due anni previsti dalla May e anche dal ministro ombra per la Brexit, quel Keir Starmer che dice che il suo partito vuole la Gran Bretagna dentro a “un” mercato unico, che forse non è “il” mercato unico. Ma non di sola Brexit vive la politica inglese, così il cancelliere dello Scacchiere ombra,John McDonnell, dicendo di essere pronto alla “guerra” se ci dovessero essere rivolte quando Corbyn diventerà premier, ha annunciato lo smantellamento della Private Finance Initiative, un pacchetto di iniziative ideato dai Tory all’inizio degli anni 90 poi espanso da Tony Blair e Gordon Brown. I corbyniani sono contrari, ma con che fondi si nazionalizza un’iniziativa che conta 716 progetti e vale 60 miliardi di sterline? I conti non tornano. la Brexit non è definita, in compenso ieri si è votato su una mozione sull’antisemitismo, per dimostrare che il partito non ha un problema in questo senso. Ma agli eventi collaterali, s’è sentito un attivista sul palco che gridava: “Olocausto, sì o no?”, mentre un altro diceva che le accuse di antisemitismo arrivano dai sulfurei amici di Israele che sono anche blairiani. Mentre qualcuno tracciava il penoso collegamento tra il governo israeliano e il nazismo, i corbyniani dicevano che c’è una propaganda loro avversa, mentre, con l’aiuto indispensabile del gruppo Momentum, rafforzano le regole interne al partito per mantenere il potere: sono così autoritari, che è in corso una bizzarra rivolta interna ai più radicali, giovani contro anziani. Su cosa si scontrano? L’immigrazione, l’Europa.