20 Febbraio 2018

Polemica su un presunto episodio di antisemitismo a Roma

Fonte:

Corriere della Sera edizione di Roma

Autore:

Clarida Salvadori

«Mi disse: dovete tornare nei forni» La negoziante racconta quel giorno

Gli insulti razzisti in viale Regina Margherita. «Mi colpì a freddo con un calcio»

Un episodio. Due punti di vista. Due ricostruzioni opposte. Talmente discordanti da sembrare racconti di fatti distinti, e invece no. L’episodio in questione è avvenuto nell’estate 2014 con due commercianti di viale Regina Margherita insolitamente contrapposti. Da un lato la signora Emma Veneziano, madre di due ragazzi, che sostiene di aver subìto un’aggressione antisemita. Dall’altra Leonardo, fino a quel momento amico della famiglia di commercianti vicini di bottega. Per lui, difeso dall’avvocato Massimo Bevere, è solo un enorme fraintendimento. La vicenda è finita in tribunale e i giudici hanno chiesto alle parti di trovare entro settembre un accordo extra giudiziale. Ecco i fatti, raccontati da una e dall’altra parte. «Dal nulla ha aggredito me e i miei figli – spiega Emma, assistita dall’awocato Cesare Gai-. Ancora oggi non mi spiego le ragioni di quel gesto. Ero accovacciata per chiudere la saracinesca quando ho sentito gridare: «Dovete tornare nei forni!». E all’improvviso mi è arrivato un calcio fra capo e collo. Mi sono anche dovuta operare per le conseguenze di quel colpo». Ma se davvero il ragazzo che ha sferrato il calcio è un razzista, allora perché questo suo risentimento verso la famiglia ebrea non è mai emerso prima? «Questo proprio non lo so – dice ancora Emma -, non so darmi una spiegazione. Nei giorni successivi ci aspettavamo delle scuse, abbiamo atteso 24 ore prima di denunciarlo, ma niente, nessuno si è fatto vivo». Forse, se invece si fosse scusato, non si sarebbe arrivati davanti al giudice. «No», assicura decisa la commerciante, con gli occhi velati di lacrime al pensiero di come ancora oggi i figli vengano insultati per la loro religione. «Non c’è mai stata una parola di pentimento, ora è troppo tardi». Da parte sua Leonardo Rabolini ha sempre sostenuto di non aver mai pronunciato quella frase e di aver allontanato la figlia di Emma solo perché nel suo negozio era in corso l’inventario. Dovrà rispondere di lesioni e ingiurie aggravate dall’odio razziale. «Ci sono le telecamere, hanno ripreso tutto – si difende il papà del ragazzo -. I video li abbiamo messi a disposizione di chi indaga. Non è andata come sostiene la signora. Anzi, è stata lei a sferrare un calcio all’auto di mia moglie, danneggiando il paraurti». Toccherà adesso ai giudici stabilire chi dice il vero. E intanto, in relazione all’articolo pubblicato ieri sulla cronaca di Roma del Corriere, a firma di Giulio De Santis, l’avvocato Bevere precisa di «non aver rilasciato alcuna dichiarazione sul caso e mai avrebbe potuto riportare frasi di quella portata e di quel tenore, che peraltro esulano dalla vicenda per cui è processo. La ricostruzione è dunque inverosimile, nonché lesiva del decoro professionale dell’avvocato Bevere».

Il padre dell’aggressore

«Mio figlio non ha mai detto quelle cose»

«Non siamo razzisti. Non siamo antisemiti. Ci tengo a precisarlo. Da quando è venuta fuori questa storia siamo sommersi di telefonate. Ma quello che è stato scritto non è la verità». A parlare è il papà del giovane commerciante di viale Regina Margherita, accusato di ingiuria aggravata dall’odio razziale nei confronti della sua vicina di negozio. «Il mio socio è un noto esponente della comunità ebraica. Lavoriamo insieme da quaranta anni Come potrei io, o come potrebbe mio figlio, rivolgersi in quel modo ad una persona di religione ebraica?».

Lei c’era in negozio di quel 3i luglio di quattro anni fa?

«No non c’ero. Mi hanno raccontato tutto mio figlio e le nostre dipendenti. E le cose non sono andate così».

Come sono andate?

«Quel giorno stavano facendo inventario e lo avrebbero fatto anche nei due giorni a seguire. Questo è un negozio grande, ci vuole del tempo. E la figlia dei vicini, che è cresciuta tra le mura della nostra attività, era venuta più volte, come accadeva tutti i giorni. Per la sua sicurezza l’abbiamo invitata, solo per quel giorno e i due successivi, a non venire».

E come è possibile che ne siano usciti insulti ritenuti razzisti?

«Secondo me è stato solo un grande fraintendimento. Mio figlio e i proprietari dell’altro negozio nel parlare avevano toccato l’argomento Israele-Palestina. Un argomento delicato e infuocato. E mio figlio, forse sbagliando – questo io non lo so – ha detto che Israele aveva le armi e la tecnologia e che purtroppo aveva colpito obiettivi civili».

Ma fino a quel momento i vostri rapporti come erano?

«Ottimi, di buon vicinato. Se a loro serviva la macchina gliela prestavamo».

E suo figlio?

«Ho dovuto allontanarlo per il suo bene. Io gli ho insegnato l’educazione e il rispetto per tutti, ebrei e musulmani, senza distinzione di religione».

Cla. Sal.