8 Febbraio 2018

Pierre-André Taguieff : «Siamo entrati un una nuova era di giudeofobia»

Fonte:

http://www.crif.org - https://www.nouvelobs.com/

Autore:

Pierre-André Taguieff

Anti-sionismo radicale, islamismo jihadista: lo storico delle idee Pierre-André Taguieff denuncia la comparsa di una “nuova Francia antiebraica”

C’è un aumento reale dell’antisemitismo in Francia? Oggi c’è una Francia antiebraica?

L’ultima ondata globale anti-ebraica è iniziata nell’ottobre del 2000 con la seconda Intifada. A prescindere dai numerosi attacchi omicidi commessi in Israele, ha colpito in particolare la Francia. L’analisi dell’evoluzione degli eventi anti-ebraici (violenze e minacce insieme), registrati in Francia dal 1998 al 2017, mostra un brusco aumento di giudeofobia nei primi anni 2000, con “picchi” nel 2000, 2002, 2004, 2009, 2012, 2014 e 2015.

La cosa più semplice è considerare l’evoluzione dei totali annuali degli eventi anti-ebraici (azioni violente, insulti, minacce, ecc.) che hanno dato origine a una denuncia. Mentre nel 1999 erano 82, nel 2000 sono saliti improvvisamente a 744, nel 2002 a 936, a 974 nel 2004, 815 nel 2009, 615 nel 2012 e, dopo un calo nel 2013 (423), 851 nel 2014. Nel 2015, ci sono stati 808 eventi anti-ebraici. Nel 2016, c’è una diminuzione significativa (-58,5%): 335 eventi anti-ebraici. La tendenza è proseguita nel 2017, ma in modo meno pronunciato: 311 fatti (97 azioni, 214 minacce), un calo del 7,2%. Tuttavia, vi è un aumento delle azioni violente: 97 contro i 77 dell’anno precedente.

Ma questo approccio quantitativo non esaurisce la questione. È anche necessario considerare la moltiplicazione degli episodi anti-ebraici non dichiarati ma fortemente ansiogeni, che contribuiscono a formare quella che potrebbe essere chiamata comune giudeofobia. L’inquietudine degli ebrei francesi è anche alimentata da ostilità regolari, come l’incendio di un negozio kosher a Creteil il 9 gennaio 2018. Il 29 gennaio a Sarcelles, un bambino ebreo di 8 anni, che indossava una kippah, è stato aggredito da due adolescenti.

Gli ebrei vengono insultati, minacciati o aggrediti per strada, e talvolta a casa, dove possono essere sequestrati e derubati. Così, l’8 settembre 2017, a Livry-Gargan (Seine-Saint-Denis), dei ladri hanno fatto irruzione nella casetta dell’attivista Roger Pinto (78 anni), che era con sua moglie e suo figlio. Sono stati legati e tenuti sotto sequestro fino a quando la Signora Pinto è riuscita ad avvertire la polizia. Secondo le vittime, i loro aggressori si sarebbero rivolti a loro dicendo: “Siete ebrei, quindi avete soldi”.

Negli ultimi anni, la comunità ebraica è stata vittima di un gran numero di attacchi omicidi. Chi sono gli autori?

Siamo entrati in una nuova era della giudeofobia. Dall’inizio degli anni 2000, gli omicidi di ebrei francesi, uccisi in quanto ebrei, non sono stati commessi da estremisti di sinistra o di destra, ma da alcuni giovani musulmani, spesso delinquenti o ex criminali, appartenenti all’Islam, indipendentemente dal fatto di essere o meno jihadisti in missione. La prima vittima di questa serie fu il 23enne Sebastian Sellam, assassinato il 20 novembre 2003 da Adel Amastaibou, che subito dopo l’omicidio disse: “Ho ucciso un ebreo! Andrò in paradiso” e che poi dirà alla polizia “E’ Allah che lo ha voluto”.

Poi è stato il turno di Ilan Halimi, 23 anni, il cui assassino, Youssouf Fofana, che durante il suo processo ha fatto l’appello: “Ora, ogni ebreo che va in giro in Francia nella sua testa pensa che può essere rapito in qualsiasi momento.” Successivamente menzioniamo Jonathan Sandler (30 anni) e i suoi due figli Arié (6 anni) e Gabriel (3 anni), così come Myriam Monsonego (8 anni), uccisi a bruciapelo il 19 marzo 2012 nella Scuola ebraica Ozar Hatorah di Tolosa, dal jihadista Mohamed Merah. Ricordiamo Yoav Hattab (21 anni), Yohan Cohen (22 anni), Philippe Braham (45 anni) e François-Michel Saada (63 anni), assassinati il 9 gennaio 2015 da Amedy Coulibaly nel negozio di alimentari Hyper Cacher. Infine, Sarah Halimi (65 anni), torturata e poi gettata dalla finestra da Kobili Traoré durante la notte tra il 3 e il 4 aprile 2017, a Belleville. Mentre stava massacrando la sua vittima ebrea, Traoré stava gridando “Allahu akbar”.

L’osservazione dei fatti ci porta a concludere che nella Francia contemporanea c’è una Francia antiebraica. Una nuova Francia antiebraica, che non dovrebbe essere confusa con quella della pubblicazione “La France Juive” (1886) di Drumont che a suo tempo presentava la sua esistenza. Non è una ricomparsa del vecchio antisemitismo politico che riunisce nazionalisti e cattolici, ma è l’emergere di una nuova configurazione anti-ebraica derivante dall’islamizzazione della causa palestinese.

Nel 2002, nel suo libro intitolato “la nouvelle judéophobie”, lei ha descritto i termini di un nuovo antisemitismo il cui zoccolo duro era costituito da un anti-sionismo radicale. Com’è cambiata la situazione dai primi anni 2000?

In questo libro, infatti, ho formulato una prima diagnosi sull’ondata anti-ebraica innescata dalla seconda Intifada e dagli attacchi jihadisti dell’11 settembre. Dall’inizio degli anni 2000 ho notato notevoli convergenze, nei temi ideologici e nelle pratiche militanti, tra islamisti e neo-sinistra. Un anti-imperialismo in stile terzomondista e un anti-sionismo radicale li riunivano in manifestazioni pro-palestinesi spesso violente.

Il nemico designato era indifferentemente “sionisti” o “ebrei”. Ad esempio, durante la manifestazione pro-palestinese organizzata a Parigi il 7 ottobre 2000, furono lanciati slogan come “Abbasso gli ebrei” o “Morte agli ebrei”. Ho percepito queste convergenze come l’espressione di un “movimento islamico di sinistra” in corso di formazione, e ne diedi una prima caratterizzazione nel 2002. La riformulazione dei temi d’accusa giudeofobi intorno all’anti-sionismo radicale è quindi andata di pari passo con uno spostamento da destra a sinistra dei sentimenti antiebraici. Il punto di fissaggio politico della giudeofobia militante nei paesi occidentali è ora all’estrema sinistra, il cui antimperialismo e anticapitalismo si traducono in antisionismo radicale finalizzato alla distruzione di Israele. Questa è la grande trasformazione della giudeofobia che dobbiamo riconoscere.

Alla proliferazione di episodi antiebraici nella vita quotidiana e all’ondata di voci e minacce giudeofobiche sui social network, fenomeni a lungo sottovalutati o trascurati dalle élite politiche e culturali, si sono aggiunti attacchi omicidi islamo-terroristici che hanno costretto la classe politica, in Francia come in altri paesi occidentali, a riconoscere, tardivamente, la minaccia jihadista. In Francia la consapevolezza è iniziata davvero nella primavera del 2012, dopo gli omicidi commessi da Mohamed Merah a Tolosa e a Montauban.

Quali sono i fattori alla base di questa ultima ondata anti-ebraica?

Ci sono tre fattori esplicativi.

In primo luogo, la crescente seduzione, nelle popolazioni musulmane e più in particolare tra i giovani, di atteggiamenti e comportamenti recuperati dalle diverse correnti dell’islamismo contemporaneo (Fratelli Musulmani, salafiti, jihadisti). Se il separatismo rimane la prerogativa dei salafiti e l’integrazione quella dei Fratelli Musulmani (sotto diverse bandiere), la cospirazione e l’ostilità verso gli ebrei sono condivise dai seguaci di tutte le correnti.

In secondo luogo, gli effetti dell’ “importazione” del conflitto israelo-palestinese, che sono aumentati dalla seconda Intifada. Il fenomeno più rilevante è l’identificazione dei giovani con i palestinesi in lotta, il modello da seguire è la rivolta di tipo Intifada, che può assumere i colori del jihadismo.

Ma il processo di ‘eroizzazione’ del “combattente” non è affatto esclusiva della miserevole prospettiva della vittima palestinese, fonte di compassione e indignazione morale che alimenta il desiderio di vendetta. L’ideologizzazione di queste identificazioni appassionate dà origine al “palestinismo” redentore.

In terzo luogo, la mobilitazione contro Israele e il “sionismo” di una parte della sinistra, quella che si dichiara ostile alla socialdemocrazia o al socialismo liberale. Se il discorso neogauchista mette in risalto la causa palestinese, causa supposta degli umiliati e dei discriminati, questa spesso non è che un alibi che permette di demonizzare e criminalizzare lo stato ebraico, esattamente in quanto ebreo. In altre parole, essere “rivoluzionari” oggi significa essere “antisionisti” al punto da desiderare lo sradicamento dello Stato di Israele. Ora l’antisionismo radicale, con anticapitalismo e antimperialismo, è uno dei principali indicatori dello spirito rivoluzionario sopravvissuto al crollo dell’impero sovietico.

È tra i neo-rivoluzionari del post-comunismo che osserviamo un reinvestimento di temi presi in prestito al messianismo rivoluzionario classico, il cui anticapitalismo, come in Fourier o Toussenel, è riorientato sullo stereotipo “ebreo = denaro”, o “ebreo = capitalismo finanziario”. La classica figura ripugnante del banchiere ebreo, quella dell’ “ebreo Rothschild”, rimane presente nell’immaginario neo-rivoluzionario, che riattiva la semplice opposizione manichea tra i ceti bassi e quelli alti, tra quelli di qui (radicati) e quelli di ogni dove (nomadi, cosmopoliti, globals), tra la gente comune (poveri e onesti) e “i ricchi”, una categoria demonizzata pienamente incarnata dai predatori della finanza. L’idealizzazione del palestinese, che combina le virtù care alla nuova estrema sinistra (essere poveri, discriminati, vittime, ribelli, resilienti, ecc.), fa parte di questa visione manichea sull’andamento del mondo.

Ma non si può stabilire un’importante distinguo tra antisemitismo e antisionismo? Si può legittimamente offendersi per la politica condotta da Netanyahu e dalla destra israeliana senza essere giudeofobi …

La parola “antisionismo” è in effetti equivoca e il suo significato deve sempre essere chiarito in modo che le discussioni non sembrino dialoghi per sordi. Occorre dotarsi di una definizione dell’antisionismo radicale o assoluto senza ambiguità, distinguendola con chiarezza dalle forme di critica democraticamente legittime alla politica condotta da un governo israeliano, un tipo di critica che viene chiamata, generalmente ma impropriamente, “antisionista”. L’equivocità del termine “antisionismo” deriva dal fatto che i suoi impieghi oscillano costantemente tra due significati: da una parte, la critica di questa o quella politica, di questo o quel governo israeliano (il che non è razzista o giudeofobico) e, dall’altra parte, un’impresa di demonizzazione dello stato ebraico, destinato ad essere eliminato in quanto tale. Così inteso, l’antisionismo è davvero l’ultima forma storica della giudeofobia.

Per riassumere il mio pensiero, dirò che la recente ondata anti-ebraica deriva dalle interferenze di tre tipi di mobilitazione: l’antisionismo radicale di estrema sinistra, il propalestinismo mistico e l’islamismo jihadista. Dobbiamo quindi lottare su due fronti: da un lato, fare di tutto per fermare la crescita dell’imprinting islamista nei circoli culturali musulmani, dall’altro, sostituire la vulgata pro-palestinese di stampo islamista, oggi ampiamente diffusa, e l’Israelophobia di accompagnamento, trasmessa da molti media, con la conoscenza e l’analisi del conflitto israelo-palestinese.