19 Aprile 2017

Nuova traduzione del “Mein Kampf” a cura di Vincenzo Pinto

Fonte:

La Repubblica

Autore:

Angelo Bolaffi

Il “Mein Kampf” in italiano un’edizione anti-fake news

Dopo la Germania esce anche da noi il libro di Hitler in una versione ricca di apparati critici, a cura dell’associazione “Free Ebrei”. Utile per capire le radici di tutti i populismi

Adolf Hitler continua a tormentare la coscienza europea. Anzi col passare dei decenni aumentano anziché diminuire gli interrogativi attorno a quello che appare sempre più un enigma storico, nonostante studi e ricerche sulla sua figura e sul movimento da lui guidato riempiano intere biblioteche. Proprio come aveva profeticamente intuito Salvator Dalí intitolando un suo quadro del 1939 “El enigma de Hitler”. Il capo politico— vera e propria incarnazione del “male assoluto” — che nel giro di pochissimi anni fu capace di trascinare nella barbarie la Germania provocando la più traumatica frattura di civiltà dell’epoca moderna, sulla cui luciferina pericolosità i suoi contemporanei presero un abbaglio catastrofico commettendo un tragico errore di sottovalutazione, ci costringe sempre di nuovo a decifrare cause e dinamiche di un fenomeno politico evidentemente impossibile da storicizzare. Di più. Le inquietanti dinamiche dell’odierna crisi epocale che sta sconvolgendo i paradigmi culturali e geopolitici dell’Occidente impongono un supplemento d’indagine non solo sulle modalità storico-politiche che consentirono la presa del potere ma soprattutto un’analisi critica dei lemmi del messaggio grazie al quale Hitler riuscì a “convertire” una nazione al suo programma di odio e di violenza. Occorre esaminare, dunque, le parole di quella Lingua Tertii Imperi — questo il titolo della magistrale indagine condotta da Victor Klemperer (Giuntina, 2008 ) — grazie alla quale Hitler e il regime nazista riuscirono, con l’obiettivo politico di manipolare le masse, ad asservire il pensiero stesso e la cultura di un intero popolo. A cominciare da Martin Heidegger. «Spero molto che tu faccia i conti in modo approfondito con il libro di Hitler», questa la calda esortazione rivolta dal filosofo al fratello Fritz in una lettera del 1931: «Che questo individuo abbia e abbia avuto uno straordinario e sicuro istinto politico quando tutti noi avevamo ancora la testa annebbiata, questo non lo può negare nessun individuo ragionevole (… ) Non si tratta più di politica partitica ma della salvezza o del tramonto dell’Europa e della cultura occidentale». Per questo va salutato come un importante avvenimento politico-culturale la pubblicazione in italiano di una edizione finalmente critica del Mein Kampf (Adolf Hitler: La mia battaglia, Free Ebrei edizioni, da domani acquistabile online sulle principali piattaforme in formato digitale e cartaceo ) curata da Vincenzo Pinto, studioso del sionismo e dell’antisemitismo. Free Ebrei è un’associazione nata nella primavera del 2012 come sito d’informazione, per promuovere lo studio e la comprensione dell’identità ebraica La mia battaglia inaugura la loro collana editoriale “Documenti”. A questo volume, introdotto da un saggio dello storico britannico Richard Overy, farà seguito un secondo nel quale autori italiani e stranieri approfondiranno i principali problemi del Mein Kampf e lo stesso curatore ripercorrerà criticamente la vicenda delle precedenti traduzioni italiane ( alcune ancora presenti nelle librerie online, mentre lo scorso anno il testo è stato distribuito in edicola, tra le polemiche, dal quotidiano I! Giornale). Come si ricorderà lo scorso anno, a cura dell’Istituto di storia contemporanea di Monaco di Baviera, era apparsa una edizione storico-critica del Mein Kampf (diventata poi bestseller): una scelta editoriale, quella degli storici tedeschi che ha sollevato nell’opinione pubblica, e non solo in Germania, un dibattito molto acceso, nel quale le valutazioni positive hanno ampiamente prevalso. Anche se non sono mancate autorevoli voci di dissenso come quella del britannico Jeremy Adler, studioso della letteratura della Shoah. Questa edizione italiana, che tiene ovviamente conto di quella tedesca, è la prima che appare in un paese dell’Europa occidentale (in Francia è prevista una edizione per l’anno prossimo presso l’editore Fayard, mentre in Inghilterra verrà pubblicata una traduzione integrale dell’edizione tedesca), ed è accompagnata da un imponente apparato storico-critico pensato non solo per una cerchia ristretta di specialisti, ma anche a scopi didattici. Infatti il lettore avrà a disposizione non solo una minuziosa cronologia della vita di Hitler fino al 1926, anno in cui apparve il secondo volume de La mia battaglia, ma anche un notevole glossario e un completo indice dei nomi. Inoltre ognuno dei 27 capitoli in cui è suddiviso il Mein Kampf viene introdotto da una sinossi contenente genesi, riassunto, analisi, parole chiave, bibliografia e un approfondimento in due sezioni: analisi retorica e analisi storico-culturale. A parere del curatore Vincenzo Pinto, la cultura italiana «non ha ritenuto l’opera degna di rilevanza, finendo per mitizzare un testo molto disprezzato e sottovalutato», commettendo lo stesso errore compiuto dalla Germania di Weimar che lo fece oggetto di feroci stroncature: un libro «noioso, confuso, scritto male e fumoso» lo definì un recensore, mentre un altro parlò di «un guazzabuglio di frasi costruite male oppure sbagliate dal punto di vista grammaticale, che non ha alcun valore intellettuale». Contro tale superficiale e autolesionistico atteggiamento di colpevole incomprensione, La mia battaglia intende guardare in faccia l’incarnazione del “male” scoprendo che non è né metafisico né folle ma terribilmente “umano, troppo umano”. Niente esoterismo, niente magia, dunque. Hitler ha usato l’ebreo per creare il suo movimento populista facendo dell’ebreo il “nemico” della civiltà occidentale. Per riuscire a «scardinare in profondità il meccanismo retorico che alimenta il messaggio hitleriano», come spiega Pinto, esso va vivisezionato. Hitler e come lui anche altri politici populisti non possono essere «compresi attraverso una logica deduttiva o induttiva, semmai serve quella abduttiva», «nel senso indicato filosoficamente da Charles S. Peirce, elaborato storicamente da Carlo Ginzburg e semanticamente da Umberto Eco». Scopriremo cosí che l’antisemitismo di Hitler non è un semplice assioma del nazionalsocialismo, né il prodotto ( più o meno distorto) di singoli episodi della vita reale. È invece «la deduzione “a ritroso” del medico detective che analizza i “presagi”: i sintomi di decadenza fisica e morale lo portano a “scoprire” una “malattia” più profonda che va “giustificata” sul campo. Qui sta la grande forza del mito nazionalsocialista nelle democrazie di massa, ma anche la sua intrinseca debolezza è l’espressione di un sentimento atavico (il bisogno di un capro espiatorio ) che pub essere risvegliato, ma che pub anche essere messo a tacere dalle armi dei “semplici” fatti». Nel saggio intitolato La tecnica dei nostri miti politici — l’ultimo scritto prima di morire nel 1945, nel suo esilio americano — Ernst Cassirer sostiene che nel periodo tra le due guerre mondiali sarebbe avvenuto non solo un mutamento radicale nelle forme della vita politica e sociale ma anche una completa trasformazione nelle forme del pensiero politico giacché «il tratto forse di maggior rilievo, ed è insieme il più allarmante, nell’evoluzione della nostra vita politica è il sorgere improvviso di un nuovo potere: il potere del pensiero mitico». Una diagnosi stilata dal grande pensatore tedesco per decifrare l’enigma Hitler e più in genere il fenomeno del totalitarismo, e che suona terribilmente attuale in un mondo in cui l’ agire politico è dominato da un nuovo potere: quello delle fake news.