20 Marzo 2018

Mimmo Franzinelli, Tortura. Storie dell’occupazione nazista e della guerra civile (1943-1945), Mondadori, 2018

Fonte:

Osservatorio antisemitismo

Autore:

Alberto De Antoni

«il fascismo del 1943-1945 sarà solo ricordato come uno dei periodi più orribili della storia d’Italia.»

Difficile giungere a termine, se non solo proseguire, nella lettura di Tortura. Storie dell’occupazione nazista e della guerra civile (1943-1945), Milano, Mondadori 2018, di Mimmo Franzinelli, un libro che non può che suscitare solo un moto di orrore. L’argomento era già noto a chiunque avesse già letto i testi principali della memorialistica resistenziale o semplicemente ascoltato i racconti dei parenti più anziani. Di minor impatto emotivo, benché comunque importanti, quei film, come ad es. Roma città aperta, o quella letteratura, come ad es. Uomini e no, che realizzati immediatamente a ridosso degli avvenimenti, avevano toccato di riflesso l’argomento.

Una monografia sulle torture, anche se fatta da un autore già presente nella storiografia attuale per una profonda competenza della storia dell’Italia moderna, non costituisce certo un tema di grande valenza storiografica. Era però un argomento che andava affrontato, soprattutto se compiuto anche con ricerca di materiale proveniente da fonti non altrimenti accessibili – come i documenti processuali o d’archivio privato – dal momento che, lungi da certe vulgate che vogliono la Repubblica Sociale Italiana e la figura di Mussolini come filtro di moderazione per la brutalità dell’occupazione nazista, il fascismo del 1943-1945 sarà solo ricordato come uno dei periodi più orribili della storia d’Italia. La stessa copertina, che ritrae un tedesco assistito da una camicia nera mentre frusta un prigioniero e realizzata nel 1945 da un ex-detenuto politico di s. Vittore, inquadra benissimo la memoria collettiva della popolazione centro-italiana al momento della Liberazione. Nomi come Koch, Carità, Fiorentini e centri di detenzione come l’Hotel Regina, la risiera di s. Saba e via Tasso molto probabilmente al giorno d’oggi non dicono nulla ai più, ma devono essere ricordati, almeno nei testi, come legati ai momenti più oscuri e più osceni della denigrazione della dignità umana. Il campionario stesso delle torture, al di là di un supposto fine di lotta anti-partigiana, sembra appartenere più a un trattato di psicopatologia criminale e delinea perfettamente il ritratto degli esecutori.

 Nient’altro può essere aggiunto se non due riflessioni immediate. La prima riguarda il comportamento della autorità statali salotine che, pur a conoscenza delle torture, degli omicidi e della rapine non intervennero se non a bloccare, almeno a frenare atti gravemente lesivi della stessa popolazione alla cui amministrazione erano preposti e al cui consenso avrebbero dovuto aver cura; la seconda la sostanziale impunità di cui godette la maggior parte dei torturatori che, scampati alla vendetta immediata dei giorni della Liberazione, furono in un primo momento condannati a pene detentive anche severe e in seguito liberati dall’amnistia di Togliatti. Il dolore delle vittime dovrebbe essere opposto a quella pubblicistica superficiale e tendenziosa che in nome di un’amoralità della guerra e di un complottismo politico cerca di cancellare nomi e annullare responsabilità di crimini non altrimenti perdonabili.