24 Aprile 2017

«la sola presenza ebraica nelle terre sante dell’Islam veniva considerata dal Gran Muftì di Gerusalemme un corpo da sradicare con la forza.»

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Pierluigi Battista

Quei bimbi ebrei in fuga

dal Gran Muffi e da Hitler

La storia e le scelte Anpi

Conoscessero anche solo un po’ di storia, avrebbero evitato di maltrattare gli ebrei italiani il prossimo 25 Aprile. Avrebbero potuto informarsi e conoscere la vicenda drammatica raccontata da Mirella Serri in un libro appena pubblicato per Longanesi e che s’intitola Bambini in fuga, arricchito di un sottotitolo da sottoporre ai responsabili dell’Anpi romana che scioccamente, al di là ovviamente delle legittime differenze su un conflitto che non riesce a pacificarsi sul principio «due popoli, due Stati», hanno usato le organizzazioni filo-palestinesi per spacciare l’assurda tesi di Israele come casa statale dei nuovi nazisti e dei palestinesi come nuove vittime: «I giovanissimi ebrei braccati da nazisti e fondamentalisti islamici e gli eroi italiani che li salvarono». In questo libro i protagonisti sono 4 gruppi. C’è quello di Hitler e della sua banda che ha allestito lo spettacolo mostruoso della «soluzione finale» per il popolo ebraico come momento necessario dell’edificazione del Reich millenario costruito con la vittoria nella guerra. C’è il gruppo di bambini ebrei che scappano dalla persecuzione nei Paesi conquistati dai nazisti e passano prima dalla Croazia e poi per Nonantola, un paese della provincia di Modena. Ci sono, terzo gruppo di cui dovremmo andare orgogliosi, gli italiani che in condizioni difficilissime, proibitive, sfidando la gelata e la morte, aiutano i «bambini in fuga» che poi, finita la tragedia, riusciranno a raggiungere in Palestina il nucleo ebraico che pochi anni dopo, legittimato da una risoluzione dell’Onu e avversato dagli arabi contrari all’insediamento di un’«entità sionista» nella regione mediorientale, diventerà Stato di Israele. C’è poi un quarto gruppo, quello dei musulmani della Bosnia, che darà vita alla divisione Handschar delle Waffen SS, fondamentale nell’oscena caccia al bambini ebrei in fuga dall’Olocausto, sotto l’impulso e grazie all’organizzazione del vero personaggio di questo libro di Mirella Serri e che gli antisionisti in cerca di bandiere antifasciste per 1125 Aprile dovrebbero conoscere: Amin alHusseini, Gran Muftì di Gerusalemme, l’uomo che odiava gli ebrei e che per contrastarli aveva trovato in Hitler il suo faro e nello sterminio del popolo ebraico il programma in cui riconoscersi. Lo Stato di Israele ancora non esisteva negli anni Trenta, ma la sola presenza ebraica nelle terre sante dell’Islam veniva considerata dal Gran Muftì di Gerusalemme un corpo da sradicare con la forza. La sua predicazione prevedeva la diffusione dei più vieti pregiudizi dell’antisemitismo: «L’opprimente egoismo insito nel carattere degli ebrei, la loro turpe convinzione di essere la nazione eletta da Dio li rende indegni di fiducia», e ancora: «Gli ebrei non possono mescolarsi a nessun’altra nazione, ma vivono come parassiti tra le genti, ne succhiano il sangue, si appropriano indebitamente dei loro beni, ne corrompono la morale». È questo esplicito antiebraismo che crea una corrispondenza d’amorosi sensi con Hitler. Rafforzata da una questione geopolitica: perché l’ostilità antibritannica del Gran Muftì si alimenta dalla decisone di Londra, svanito l’Impero ottomano, di riconoscere sin dal 1917 la necessità di un «focolare ebraico» da accogliere nella terra degli avi. Contro Londra, Hitler è il grande alleato e il furore antiebraico di matrice islamica dl Gran Muftì vedrà nel progetto nazista di cancellazione degli ebrei dalla faccia della Terra il compimento di una strategia politica oltreché il segno di un delirio antisemita. Dimenticare questo sfondo storico, evocato dal libro di Mirella Serri, in una ricorrenza come il 25 Aprile apre le porte a una forma di falsificazione insopportabile, che rovescia i ruoli, quello della Brigata ebraica che proprio insieme agli inglesi partecipò militarmente alla lotta contro Hitler, e quello di un uomo che, finita la guerra, avrà una grande influenza nella negazione araba di un «focolare ebraico». Oggi quelle bandiere con la stella di Davide vengono oltraggiate, mentre non viene ricordato chi diede il suo appoggio allo sterminio del popolo ebraico voluto da Hitler. Un oltraggio che ci riguarda, e riguarda tutta la nostra storia.