1 Luglio 2013

Il Tribunale di Roma rigetta la richiesta di risarcimento per diffamazione del professore Claudio Moffa nei confronti della Fondazione CDEC

Fonte:

Pagine Ebraiche

Autore:

Adam Smulevich

Antisemitismo, una chiara sentenza

La magistratura rigetta l’attacco contro la Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea

 

cdec_logo“Ciò che in definitiva costituisce nucleo essenziale della critica che viene espressa nella relazione è l’idea che i siti gestiti da Claudio Moffa sostengano le tesi e le interpretazioni storico-politiche, seppure riferibili a terzi, e si possano per tale ragione essi stessi qualificare come siti ‘antisionisti’ o ‘negazionisti’ o ‘fortemente riduzionisti dell’Olocausto’. La tesi, per quanto la parte attrice intenda contestarne la fondatezza nel merito, costituisce libera espressione di un’opinione critica e, in quanto tale, è scriminata dall’esercizio di un diritto. Il medesimo diritto che l’attore rivendica con riferimento agli scritti pubblicati sul sito”. È il passaggio più significativo della sentenza con cui la prima sezione civile del Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di risarcimento per diffamazione formulata dal docente universitario Claudio Moffa nei confronti della Fondazione Cdec – Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano i cui ricercatori, nelle pagine della relazione quadriennale sull’antisemitismo in Italia pubblicata nel dicembre 2010 e discussa in quei giorni a Roma al Congresso ordinario dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, avevano riportato alcuni autorevoli giudizi che ne inquadravano l’attività come antisemita e negazionista. “Una sentenza molto buona e soddisfacente”, ha immediatamente commentato il presidente del Cdec e consigliere UCEI Giorgio Sacerdoti (nella foto) chiamato a rappresentare la fondazione, in forza di una procura ad litem dagli avvocati Claudia Shammah e Massimo Tedeschi, anche nel corso dell’udienza romana conclusasi con la lettura del dispositivo da parte del giudice Eugenia Serrao. Impressioni che trovano conferma nella documentazione che accompagna il pronunciamento nei confronti delle istanze di Moffa, già protagonista in passato delle cronache per comportamenti valutati in modo estremamente negativo dall’opinione pubblica e da numerosi esponenti del mondo istituzionale. Due in particolare i passaggi che il professore, anche in qualità di rappresentante dell’Associazione 21 e 33 onlus, aveva valutato diffamatori e lesivi della propria dignità. Il primo: “I siti italiani di ispirazione antiebraica possono venir incasellati in quattro categorie (…), gli ‘anti-sionisti’ correlati al conflitto medio-orientale e connotati da un radicale rifiuto dello Stato di Israele e del sionismo (Associazione 21 e 33 Onlus di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Claudio Moffa etc…)”. Il secondo: “La categoria di siti ebraici che, nel corso del quadriennio 20072010, ha visto il maggiore sviluppo è quella cosiddetta ‘negazionista’. Attualmente, i principali siti e blog dedicati alla negazione della Shoah, ovvero in cui le tematiche negazioniste costituiscono la parte più articolata ed estesa, sono circa una quindicina, di cui due stranieri con pagine in lingua italiana. Tratto distintivo di alcuni siti che operano una lettura negazionista, ovvero fortemente riduzionista dell’Olocausto antiebraico, è che sono gestiti da docenti universitari (Claudio Moffa, Antonio Caracciolo)”. Il Cdec ha replicato che la relazione in cui si qualificavano i siti gestiti da Moffa come antisionisti e nega-zionisti non attribuiva alcun reato al professore e che il documento stesso dava atto dell’ambiguità di certe posizioni, che tali siti rifiutano la definizione di antisemiti e che Moffa, si legge, “ha acquisito e cercato notorietà proprio come esponente di tesi che sono state pubblicamente giudicate come negazioni-ste”. Invitando ad esempio al suo Master a Teramo Robert Faurisson, condannato in Francia per aver negato pubblicamente l’esistenza delle camere a gas. A essere messi in discussione, come è stato rilevato, i principi cardine inerenti la libertà di critica e di cronaca legittimati, osserva Sacerdoti, “dall’utilità sociale dell’informazione, dalla forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, ovvero non eccedente rispetto allo scopo informativo, sottolineando che il diritto di critica consiste in opinioni che includono il diritto di esprimere un’opinione soggettiva dei fatti e comportamenti valutati”. Diritto di critica che, si legge nella sentenza, ricomprende pertanto anche la facoltà di rappresentare in una luce negativa un personaggio o un’attività di spicco quando ciò “sia frutto di una ricostruzione di fatti finalizzata ad esprimere un giudizio di valore che non si esaurisce in un attacco personale e immotivato, ma in una ragionata ponderazione di situazioni e personaggi di pubblico interesse”. Da qui l’intervento del giudice Serrao: il contenuto nella relazione non prova che lo scritto sia stato elaborato con l’intenzione di offendere la reputazione dell’attore “né sulla base di una superficiale analisi delle tesi sostenute nei siti gestiti da Claudio Moffa”. La forma delle espressioni usate, sottolinea ancora, rispetta quindi il requisito della continenza in quanto non esprime un deliberato intento denigratorio “considerato il minor rigore con cui opera tale limite nell’esercizio del diritto di critica”. L’argomento oggetto di divulgazione è inoltre assistito dal requisito della pertinenza essendo di notevole interesse pubblico “ogni attività e fenomeno sviluppatisi sui tragici e sempre attuali temi della Shoah e del conflitto in Medio Oriente”.