19 Luglio 2014

Intervista al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni sull’ondata di antisemitismo

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Gian Guido Vecchi

«Noi ebrei italiani vediamo segnali inquietanti»

C’è il timore che possano ripetersi

gli episodi di intolleranza francesi

ROMA — Siete preoccupati? «Anzitutto c’è una preoccupazione di fondo per quello che sta succedendo, la pena, la sofferenza, la tensione, i morti. E a tutto questo si somma la preoccupazione per cose già viste…». Riccardo Di Segni è il rabbino capo di Roma; la più antica comunità della diaspora risale nella memoria ad oltre duemila anni, ma non occorre andare tanto lontano. «Ogni volta che c’è un intensificarsi del conflitto nell’area del Vicino Oriente, c’è una ricaduta europea a espressione antiebraica. E già successo varie volte, con effetti sanguinosi».

II presidente degli ebrei romani, Riccardo Pacifici, ha ricordato l’attentato alla sinagoga di Roma, nell’82, con la morte di Stefano Gaj Taché, un bimbo di due anni.

«Sì, ciò che accadde nell’82 è chiaramente simbolico, nella sua minaccia. Ci si rivolge alla sinagoga come a un simbolo, si estende il conflitto all’Europa con uno slittamento dal piano politico a quello religioso. L’indicatore francese è angosciante. Alcune cose che sono poi successe in Italia hanno avuto sempre precedenti francesi, anche nell’82. E in Francia stanno succedendo fatti allarmanti, l’assalto alle due sinagoghe, i fedeli rimasti sequestrati nel tempio a Parigi…».

E ora sulla sinagoga di Vercelli sono apparse scritte del tipo «Israele assassini». Cosa dicono episodi simili?

«C’è un conflitto mediorientale che oppone israeliani e palestinesi. Una larga ma peraltro non esclusiva maggioranza degli ebrei sostiene le ragioni di Israele, per motivi storici, di vicinanza, per il fatto che molti hanno parenti e amici là. Ma che lo si voglia far diventare un conflitto tra ebrei e musulmani è qualcosa di aberrante. L’idea che una sinagoga diventi il bersaglio del conflitto nel Vicino Oriente è folle. Lo si trasforma in una guerra di religione. E ci sono dei segnali…».

Ad esempio?

«In Turchia il partito di Erdogan ha sollecitato il boicottaggio dei negozi degli ebrei, lo stesso Erdogan dice che gli ebrei si devono scusare. E di che cosa si dovrebbero scusare, gli ebrei turchi? A Zurigo c’è stata una manifestazione filo palestinese con striscioni che dicevano che un buon ebreo è un ebreo morto. Un ebreo, non un israeliano. Qui sta il passaggio angosciante».

C’è chi rinfaccia agli ebrei il sostegno alle ragioni di Israele…

«La differenza è nel fatto che noi non esportiamo il conflitto in Europa, non andiamo ad attaccare le moschee. Questo è il punto nodale: c’è un fondamentalismo che sta esportando il conflitto. E poi c’è anche un problema di informazione, di chi colpevolizza una parte facendo leva su sentimenti ancestrali».

Il Talmud dice che «il mondo si regge sul respiro dei bambini». Lei, da uomo di fede, cosa sente davanti a tragedie come i bimbi di Gaza uccisi in spiaggia?

«Sento un dolore, una pena infinita. Bisogna mantenere il livello di vigilanza del dolore, non abituarsi. E insieme analizzare. A distanza minima dalla Striscia sono in corso massacri che coinvolgono intere popolazioni civili, ad esempio in Siria, e la cosa non fa notizia. C’è da chiedersi perché».

Ieri il Papa ha telefonato a Peres e Abu Mazen, quando li invitò in Vaticano disse: «Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento».

«E’giusto, ma a Peres scade il mandato e Abu Mazen controlla a stento la Cisgiordania e per nulla la Striscia. Si sta parlando a persone che purtroppo non hanno capacità di intervenire. Il fenomeno cui stiamo assistendo è un circolo vizioso di radicalizza-zione, di estremismo. La buona volontà non manca. Ma c’è n’è tanta, di cattiva volontà».