21 Giugno 2018

Intervista a Liliana Segre sulla traccia della prima prova della maturità 2018 dedicata al Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani

Fonte:

La Repubblica

Autore:

Paolo G. Brera

Segre e l’esame sulle derive razziste “Quel tema un grido contro l’indifferenza”

Roma. La diseguaglianza, senatrice Liliana Segre: gira il mondo, ma tra migranti da respingere e censimento dei rom torniamo sempre lì. Ai 509mila studenti che affrontano l’ultimo esame di maturità d’antico conio — dal prossimo anno cambierà tutto — per la prova di italiano ieri il ministero ha puntato sul tema che lei affronta nelle scuole, raccontando quand’era bambina e fini internata ad Auschwitz. C’erano tracce su solitudine e bioetica, propaganda e creatività; ma ben due erano dedicate alle diseguaglianze e alla tutela delle minoranze, evocate con l’articolo III della Costituzione (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge…) e con il brano della cacciata dalla biblioteca del protagonista de Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani.

Le piacciono, queste scelte?

«L’attenzione ai Finzi Contini nell’ottantesimo anno dalle leggi razziali mi fa un gran piacere. Solo con un presidente come Mattarella si possono scegliere due titoli come Il primo grande dolore melo diede la mia maestra. Quando fui espulsa dalla scuola, in quanto ebrea, fu solo capace di dire: non le ho fatte io le leggi razziali… quelli. Mai nessuno aveva visitato le Fosse Ardeatine come primo atto».

Nel brano è un bibliotecario dall’aspetto bonario a ordinare all’io narrante di “sgomberare”. A volte il male non si esprime con il volto truce. Le è capitato?

«Quando sono stata espulsa dalla scuola, giorni per me drammatici, papà chiamò la maestra che avevo avuto in prima e seconda elementare: venga, per favore, signorina.. Abitavamo vicino a scuola. La aspettavo affettuosa, invece è stata pochissimo e ha detto: “Ma cosa c’entro, io? Non le ho fatte mica io le leggi razziali!”. Poi mi ha abbracciata, se n’è andata e non l’ho mai più sentita ne vista. Non era “cattiva”, era una persona qualunque. Era la banalità del grande male che mi ha fatto.

Si ricorda quando la fecero sentire “diversa”?

«Per andare alla scuola privata di Milano in cui mio padre mi aveva iscritta passavo in via Ruffin, davanti alla elementare in cui studiavo prima. Le bambine che erano state compagne di classe odi scuola mi segnavano: “Quella lì è la Segre, non può più venire qui perché è ebrea”. Ricordo bene il silenzio del nostro telefono, il non essere più invitata, l’esclusione».

Poi c’è chi si volta dall’altra parte, le “cinquanta paia d’occhi” del brano di Bassani.

«Gli indifferenti. I violenti mi hanno tolto tanto, ma gli indifferenti sono stati la massa che non ha visto, che non ha voluto vedere, che ha voltato la faccia. Gli “io non so”, i “io non c’ero” e i “non è colpa mia”».

È una malattia che abbiamo ancora adesso?

«Altroché! Anzi, adesso è più colpevole. Allora non essere indifferenti era una scelta pericolosa contro una dittatura, per questo onoro tantissimo gli antifascisti o gli “Imi”, i militari italiani che hanno scelto di star nei campi quando potevano trovarsi altrove. Oggi che non c’è scelta da fare, in democrazia, essere indifferenti è più grave».

Quando parla ai ragazzi, parla al germe dell’indifferenza?

«Chiedo sempre di mettere la parola “indifferenza” nel titolo. E al memoriale della Shoah, al famoso binario 21 che i milanesi conoscono poco, si pensava di scrivere “mai più”, libertà, le solite parole; mi sono battuta come un’esaltata perché ci si scrivesse a caratteri cubitali indifferenza, e così è stato. Chiunque entra, la prima domanda che fa alle guide è “perché indifferenza qui dove ci sono le rotaie e i vagoni della deportazione? Perché è per l’indifferenza che ci sono quelle rotaie e quei vagoni».

E non indifferenti ne ricorda?

«La prima è Susanna Aimo, per 47 anni in casa nostra. Era la cameriera, come si usava dire. Cattolica, cristiana molto religiosa, rischiava tutti i giorni per essere vicina, come è stata fino all’ultimo, ai miei nonni. Quando li hanno deportati, per un miracolo non hanno portato via anche lei, che era abbracciata alla nonna. Susanna è stata uno dei giusti che non sono onorati allo Yad Vashem perché non ha potuto salvare nessuno; ma lei, umile, modesta e meravigliosa, era il ritratto della non indifferente. È stata una fortuna, conoscerla».

Ha chiesto di non voler ricevere domande “politiche”. Ma l’attualità è aggressiva con migranti, rom, minoranze…

«L’unica volta che ne ho parlato, in Senato, ho detto chi sono stata io. Quando uno Stato o la Ue sono indifferenti, se arrivano a puntare il dito contro minoranze che non possono difendersi… beh, allora cosa può pensare una che è stata minoranza, e a cui è capitato tutto quello che è capitato a me?»