4 Novembre 2016

Il giurista Michele Ainis commenta la mancanza di un’intesa tra stato italiano e comunità musulmane

Fonte:

la Repubblica

Autore:

Michele Ainis

Non lasciare senza diritti la comunità musulmana

È interesse di tutti superare l’apartheid. Ciascuno deve disporsi al confronto e proporre soluzioni

Se chiudi gli occhi, smetti di vedere il mondo. Ma il mondo, là fuori, non smetterà certo d’esistere. È esattamente questo l’errore che ci acceca rispetto ai musulmani. Dopo i cattolici, formano la più grande comunità religiosa ospitata nei nostri confini (non meno di un milione e 700 mila persone); ma per le nostre leggi sono un popolo invisibile. Senza diritti, senza le garanzie riconosciute agli altri culti. Da dove ha origine questa disparità di trattamento? A chi conviene? E c’è modo di sanarla? L’origine è nella Costituzione, o meglio nella sua cattiva applicazione. L’art. 8 prevede infatti lo strumento dell’«intesa» fra il governo e ciascuna confessione religiosa, per regolarne obblighi e diritti; dopo di che ogni intesa va trasformata in legge. Dagli anni Ottanta in poi, è accaduto a 12 culti, dai valdesi agli ebrei, dagli evangelisti ai buddisti. Ma ai musulmani no, loro restano fuori dalla porta. Per quale ragione? Perché l’Islam sunnita è una religione orizzontale, senza clero, senza gerarchie. Ogni fedele ha un rapporto diretto con Allah, e oltretutto i fedeli si dislocano in varie organizzazioni (Ucoii, Coreis, Ami). Manca, insomma, l’ente esponenziale della comunità musulmana, manca un soggetto che la rappresenti dinanzi allo Stato, e con cui lo Stato possa negoziare l’intesa. Ma questa spiegazione è falsa, benché dettata ripetutamente dai governi di destra e di sinistra. In primo luogo, la frammentazione non esprime un tratto specifico degli islamici: caratterizza pure i protestanti. E non ha mai impedito di siglare intese separate, come è accaduto altresì con i buddisti ( due intese, rispettivamente con l’Unione buddista italiana e con l’Istituto buddista italiano Soka Gakkai, recepite da altrettante leggi nel 2012 e nel 2016 ). In secondo luogo, per superare la discriminazione tra figli e figliastri, basterebbe riesumare un’idea che fu di Giulio Andreotti: la legge sulla libertà religiosa, ossia una base giuridica minima e comune per ogni confessione. Dal 1990 in poi, sono stati 16 i progetti di legge via via depositati in Parlamento, compreso quello firmato nel 1997 dal primo governo Prodi, o nel 2002 dal secondo governo Berlusconi. Tutti andati a vuoto, perché il Vaticano s’oppone al principio che il cattolicesimo sia uguale alle altre religioni. Così come la politica s’oppone all’intesa con i musulmani, sui quali aleggia un sentimento di paura, o quantomeno di sospetto, specie dopo l’attentato alle Twin Towers. Diciamolo: è un comportamento stupido, oltre che ingiusto. L’ostilità nasce dalla segregazione, non dall’integrazione. E fra i musulmani può attecchire proprio per il persistente diniego dell’intesa, che significa limiti all’esercizio del culto, mancata assistenza spirituale nelle carceri come negli ospedali, esclusione dall’otto per mille. L’apartheid non ci conviene, insomma; e non conviene a loro. Dunque è interesse comune superarla. Dunque ciascuno deve fare la sua parte, disporsi al confronto, proporre soluzioni. Quanto alla comunità musulmana, uno dei suoi leader — Hamza Piccardo — ha appena imbastito un’importante iniziativa: il Manifesto dell’Assemblea costituente islamica d’Italia. Lo scopo è di configurare un soggetto rappresentativo, in grado di stipulare un’intesa con lo Stato. Lo strumento consiste in un’assemblea eletta attraverso una piattaforma online, che duri in carica un triennio, i cui membri dichiarino di rinunziare a ogni forma di violenza politica, e che a sua volta generi un presidente e una giunta esecutiva. A gennaio è in calendario una prima convention: auguri. E auguri ai nostri governanti, per timbrare due leggi attese da un quarto di secolo. Quella sulla libertà di religione, ma anche la nuova legge sulla cittadinanza. La disciplina del 1992 tratta da stranieri i ragazzi nati nelle nostre città, educati nelle nostre scuole, che s’esprimono in dialetto veneto o campano. Da qui un tentativo di riforma, però la legge è bloccata da un anno in Senato, sepolta da 8 mila emendamenti. Nel frattempo risuona la domanda di Nadia Bouzekri, presidente dei Giovani musulmani d’Italia: perché un adolescente nato a Roma o a Milano deve andare in questura per rinnovare il permesso di soggiorno? E perché ai musulmani, soltanto ai musulmani, viene negata l’intesa con lo Stato?