15 Settembre 2017

Grande diffusione dei discorsi di odio in Internet

Fonte:

Il Mattino

Autore:

Francesco Lo Dico

L’odio dilaga sui social ogni giorno 7mila allarmi

Denuncia di Boldrini e Boschi: donne vittime numero uno

Lo chiamano «hate speech», discorso volto a promuovere l’odio. Ma non è soltanto l’arma imbracciata sui social da quelle che Eco chiamava«legioni di imbecilli» ansiosi di difendere e distorcere il diritto di parola. L’hate speech è anche e soprattutto la più redditizia mossa di marketing che gli imprenditori della paura, impegnati in politica, hanno messo a punto per fare dell’odio e della paura i fertilizzanti del consenso. Bene lo ha spiegato anche la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Boschi, al convegno sulla Sicurezza e il linguaggio dell’odio organizzato a Roma dal Consiglio nazionale forense. «Dalla stagione dell’amore libero – ha detto – siamo passati a quello dell’odio libero: c’è una sorta di liberalizzazione, come fosse un segno di libertà dire quello che si vuole sul web». Concimati nelle terre avvelenate dei partiti delle ruspe, i frutti si moltiplicano sui social network a dismisura. Basti pensare, come ha chiarito Maria Elena Boschi, che «dal monitoraggio effettuato dal dipartimento Pari opportunità rileviamo 7mila discorsi d’odio al giorno» sul web ed emerge che «cambiano i soggetti vittime, quindi dobbiamo adeguarci e dare una risposta anche normativa». Vittime privilegiate dei leoni da tastiera, sono le donne, «le principali vittime dell’odio in rete», chiosa la presidente della Camera Laura Boldrini all’incontro organizzato dal Consiglio nazionale forense. Un odio cieco, spesso in diretto rapporto con le fake news, che hanno visto la stessa Boldrini bersaglio di attacchi inauditi. Basti citare, tra i molti, l’attacco alla sorella defunta, che un post divenuto virale in rete, veniva diffamata da morta, in quanto avrebbe gestito cooperative di assistenza ai migranti, con tanto di foto fasulla appartenente in realtà all’attrice Krysten Ritter. Senza dimenticare l’assalto scatenato dall’account di Beppe Grillo («Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?») che promosse in poche ore tra gli adepti del comico, un campionario assortito di minacce di morte, insulti e istigazioni allo stupro conto quella che lo stesso leader ha definito «bambola gonfiabile». Simbolici della misoginia 2.0 anche gli assalti a Gessica Notaro, miss sfregiata dall’acido («Te lo sei meritato»), e Tiziana Cantone, prima e dopo il suicidio additata al pubblico ludibrio e insultata. Disabili, neri, donne stuprate, migranti: l’elenco dell’odio è lungo e imbarazzante. Buon ultimi, ma non nuovi all’insulto crasso i meridionali, e i napoletani in particolare. Ai quali, dopo il terremoto di Ischia, è stata augurata una colata di lava del Vesuvio per completare l’opera di distruzione incominciata dal sisma. Che il fenomeno della lapidazione virtuale sia in crescita, e lo sarà sempre di più negli anni a venire, lo conferma il rapporto On line/ Off line. La doppia vita dei teenagers” commissionato dal Miur , nell’ambito del Piano nazionale per la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo a scuola. Tredici ragazzi su cento, evidenzia il dossier, hanno insultato un personaggio famoso sui social network e 9 su cento hanno creato un profilo falso, sui social, proprio per insultarlo in modo anonimo. Ma ben più grave è che sette ragazzi su dieci giustificano l’hate speech quasi come forma di rivalsa sociale: per l’ 11 %o dei ragazzi «non c’è nulla di male, ognuno deve essere libero di esprimere ciò che pensa», mentre il 56% sostiene che «i personaggi famosi devono mettere in conto anche critiche e insulti», mentre solo il 9% segnala i commenti offensivi. Allarmanti anche le statistiche che fotografano l’odio tra coetanei. Il 10% dei ragazzi ha insultato o criticato aspramente un coetaneo sui social network, il 29% ha messo un “like” a un post che insultava o criticava un coetaneo e solo il 28% avrebbe avuto un comportamento diverso se il compagno fosse stato lì davanti a lui, in carne ed ossa. In buona sostanza, quattro ragazzi su dieci, sui social, si rendono protagonisti, attivi o indiretti, di messaggi di odio. Una tendenza che trova nel nuovo social del libero insulto, popolato da giovani tra i 12 e 15 anni, ThisCrush, il suo ideale complemento. Si tratta di un social che permette di postare in anonimo, messaggi caratterizzati da contenuti sessuali e violenti. «La dimensione internazionale – sottolinea il presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte al convegno Sicurezza e linguaggio dell’odio – è l’unica con cui possiamo affrontare il tema delle condotte illecite sul web. «Occorre una standardizzazione del regime di data retention (ossia la conservazione dei dati, ndr.)- an nota Albamonte – e poi bisogna dotarsi si uno strumentario per la qualificazione giuridico-penale di alcune condotte, scegliendo bene qual è il punto di equilibrio». Ma per trovare il bandolo della matassa, occorrerebbe partire dai social. Su Facebook vengono fabbricati ogni giomo due miliardi e mezzo di post, e su Twitter 400 milioni di cinguettii. Chi controlla? È una questione di policy cioè di politiche che presiedono alla libera espressione sui social. Facebook in teoria rifiuta l’hate speech ma ammette messaggi con «chiari fini umoristici o satirici» e di frequente consente l’incitazione all’odio. Esemplare il caso del gruppo «Pestare Fiano porta bene» contro il parlamentare Pd. Segnalato da alcuni utenti, è tuttora aperto perché non viola le regole. Ancora più labili i confini di Twitter, che non vieta gli hate speech, eccetto che per gli annunci pubblicitari. E intanto, l’odio, dilaga.