4 Maggio 2018

Giurista riflette su antisemitismo e negazionismo

Fonte:

Il Mattino

Autore:

Gaetano Insolera

Il negazionismo punibile se in Europa cresce l’antisemitismo

Le recenti dichiarazioni, apertamente antisemite, del capo dell’ autorità palestinese Abu Mazen (Fabio Nicolucci, Abu Mazen e l’ antisemitismo dilagante, Il Mattino 3 maggio 2018), mostrano la permanente attualità del problema del cosiddetto «negazionismo» e dell’ antisemitismo. L’ Italia ha di recente introdotto una aggravante dei reati di propaganda o di istigazione alla violenza per motivi etnici, razziali, nazionali o religiosi, già previsti da una legge del 1975 (la cosiddetta Legge Mancino). La pena è aumentata se le azioni si fondano sulla negazione della Shoah e di crimini previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale istituita nel 1999. La legge, affiancando alla Shoah altri crimini, come definiti dallo Statuto di Roma, può riproporre le perplessità suscitate da quest’ ultimo in relazione a contenziosi «storici» ancora aperti. L’ intersezione trame moria e diritto penale costituisce una «giuridificazione della storia» che attrae nella sfera del giuridico l’ interpretazione di accadimenti storici, con l’ idea di poter riparare le ingiustizie, di chiudere i conti con la storia e di una protezione penale della memoria delle vittime e dei sentimenti dei discendenti di chi ha subito la «dismisura del male». La storiografia giudiziaria penale sarebbe chiamata a decidere su opinioni o ricerche espresse su quei fatti e sull’attribuzione di responsabilità. Con il reato di negazionismo, che comprende anche la giustificazione e la minimizzazione, la questione messa in gioco è quella del conflitto tra libertà di espressione e di ricerca storica e la protezione di un altro interesse ritenuto meritevole di tutela penale, di cui occorre, però, definire consistenza e fisionomia. Il tema, oggetto di un vivo dibattito e di normative nazionali ed europee, deve confrontarsi, sul piano politico, con una perdurante dialettica interpretativa circa le dimensioni, le modalità e le ragioni degli eventi: le ricostruzioni particolari, in questi casi, appaiono diffïcilmente compatibili con una misura metastorica ed universalistica. Ciò soprattutto rispetto all’adozione si sanzioni penali. Così, ad esempio, il negazionismo turco a proposito del genocidio armeno, a cui può affiancarsi lo spirito della recentissima iniziativa legislativa polacca – con il divieto di definire «campi di concentramento polacchi» i lager presenti nel suo territorio – costituiscono esempi della inopportunità di universalizzare ragioni storiche che alimentino incriminazioni capaci anche di riaccendere fuochi identitari nazionalistici. Penso che la questione del negazionismo si ponga invece con specifico riferimento all’evento costituito dallo sterminio degli ebrei in Europa praticato dalla Germania nazista, da alleati e da collaborazionisti, in un crescendo culminato durante la seconda guerra mondiale. La dilatazione della questione alla negazione di altri crimini«smisurati», avvenuta nello scorcio temporale successivo al 1945 è invece il risultato di almeno tre fattori: il verificarsi di grandi mutamenti geopolitici [fine dell’Unione Sovietica, dei regimi comunisti satelliti e degli imperi coloniali]; consolidarsi di una filosofia universalistica dei diritti fondamentali; l’ affermazione dell’ idea di un diritto penale internazionale]. La giuridificazione della Shoah, della punizione della «Menzogna di Auschwitz» ha però contorni precisi (quei fatti hanno una agibilità probatoria riconducibile al notorio). Non altrettanto può dirsi a proposito del proliferare di dibattiti su altri avvenimenti con interpretazioni e riletture che mettano in dubbio la ricostruzione dominante alla stregua della attuale sensibilità, fortunatamente affermatasi nei confronti dei limiti dell’antica festa crudele della guerra e dello sfruttamento del terzo mondo. Il rischio è quello di una irruzione nella revisione storica: e su questo hanno proprio ragione gli storici. Quando temono che il ricorso al penale annulli l’essenza stessa del progredire della loro ricerca che si estinguerebbe, se affidata a decisioni giudiziarie su torti e ragioni della storia Resta invece la questione della negazione della Shoah. Essa riveste alcune particolarità decisive. Non penso tanto e solo alle mostruose dimensioni degli avvenimenti, alla loro teorizzazione e alle modalità scientifiche, meccanizzate, dello sterminio. Mi riferisco soprattutto allo strettissimo legame con la storia europea e al segno lasciato nello sviluppo di una idea di pacifica integrazione liberal-democratica del continente. Ma vi è un aspetto che ne definisce in modo forte la specialità e le ragioni per una evocazione anche dello strumento punitivo. La negazione della Shoah si inscrive in un discorso più vasto e complesso, sintetizzabile nelle «teorie cospirative»: nell’idea di un confitto mortale con i poteri forti ed occulti nelle mani della «internazionale ebraica». E questo il filo nero che unisce, nella storia contemporanea, il prima (I protocolli dei savi di Sion, il fortunato falso della polizia zarista) e il dopo, la Shoah. Il negazionismo, o la giustificazione (Abu Mazen), si annida oggi in molti discorsi pubblici nei quali l’ antisemitismo riesce, in forme variegate, quasi sempre a fare capolino lo strapotere delle banche, i poteri forti, la solidarietà verso regimi terroristici nemici mortali di Israele, etc.). L’antisemitismo infine, nel contesto attuale, mostra una perenne giovinezza nell’estremismo e nel terrorismo islamico e ritorna a spirare in Europa, sospinto da politiche di appeasement nei confronti dei prevalenti insediamenti multiculturali e dalla realpolitik verso Stati musulmani «moderati» che, però, non hanno mai rinunciato all’obiettivo della cancellazione fisica di Israele. L’ antisemitismo serpeggia anche negli schieramenti della sinistra estrema: ancora una memoria congelata nella vulgata marxista rappresentata dal sostegno dell’ Urss ai regimi nazionalisti arabi durante la guerra fredda Nei confini appena precisati può prospettarsi la necessità di una repressione (anche) penale della negazione della Shoah. La sua punizione si giustifica nell’ ambito, e nei limiti, delle manifestazioni di criminalità politica e della tutela delle istituzioni democratiche dal pericolo di aggressioni violente (nessuna tolleranza verso gli intolleranti).