22 Ottobre 2017

Gioachino Lanotte, Mussolini e la sua orchestra, Prospettiva editrice

Fonte:

Avvenire

Autore:

Luca Liverani

Così la pop music di Mussolini indottrinò le masse

Lo storico Lanotte analizza l’uso propagandistico delle canzonette da parte del regime fascista, che arruolò autori e grandi orchestre

Roma. A cantare Faccetta nera nella Casa della Memoria e della Storia possono essere solo due tipi di persone. O un estremista di destra che – con un me ne frego alla legge Mancino e alle Disposizioni transitorie – sfidi un luogo che a Roma è punto di riferimento per le associazioni resistenziali. Oppure uno storico sui generis, deciso ad analizzare come documenti le canzonette del Regime. È il caso di Gioachino Lanotte, che ha presentato imbracciando la chitarra la sua ultima fatica editoriale, Mussolini e la sua “Orchestra”- Radio e musica nell’Italia fascista, per i lipidi Prospettiva editrice. Docente di Storia contemporanea presso la facoltà di Scienze politiche della Cattolica di Milano, Lanotte da anni scava negli archivi musicali e radiofonici per analizzare i meccanismi del consenso dell’Italia tra fascismo, guerra e Resistenza. Temi su cui ha già pubblicato diversi saggi, tra cui Il quarto fronte. Musica e propaganda radiofonica nell’Italia liberata (Morlacchi 2012) o Cantalo forte La Resistenza raccontata dalle canzoni (Stampa alternativa 2006). Ma perché la chitarra? Perché sotto l’aspetto serioso, il professore dissimula una passione musicale che in gioventù l’ha portato a suonare negli album di Dalla e a incidere un suo long playing cantautorale. E alla Casa della memoria l’autore ha offerto sfiziosi antipasti musicali dei reperti analizzati nel suo libro. Più che agli inni smaccatamente fascisti, come Giovinezza, Lanotte è interessato a tutte quelle canzonette che la radio diffondeva come «armi di orchestrazione di massa» in una popolazione in buona parte analfabeta. È l’uso politico delle emozioni come strumento di indottrinamento, per forgiare il cittadino modello, che crede nella ruralizzazione, nelle conquiste coloniali, nello sforzo di donare figli alla Patria. La radio in Italia nasce sotto il regime, il 6 ottobre 1924 con canzoni e programmi di successo come I Quattro Moschettieri. Così Mussolini e la sua “Orchestra” analizza per argomenti la produzione canzonettistica di regime. Racconta che Faccetta nera nasca come canzone romanesca e incontri i favori del Duce che la farà italianizzare. E in Abissinia l’Italia va per motivi etici, per liberare il popolo dalla schiavitù: «Faccetta nera / piccola Abissina / ti porteremo a Roma liberata». La guerra d’Etiopia del ’35 richiede il ribaltamento dell’opinione pubblica sull’imperatore Hailè Selassiè, prima stimato dal Duce, ora “canzonato’ perché brutto, sporco e scimmiesco: in Povero Selassiè si canta «al Negus e ai seguaci / lasciamo le banane». L’uso dei gas, negato dal Regime, spunta in una scenetta radiofonica Topolino in Abissinia è un topo volontario, armato fino ai denti: «Ho la spada, il fucile, una mitragliatrice sulle spalle e… mezzo litro di gas asfissiante». Poi aggiunge allegro: «Ho promesso a mia mamma una pelle di moro per farci un paio di scarpe, a mio padre tre o quattro per i cuscini della Balilla». Arriveranno le sanzioni internazionali, cui la propaganda replicherà con Sanzionami questo, motivo sorprendentemente scurrile per l’epoca. Poi c’è la ruralizzazione. «Il fascismo vuole frenare l’abbandono delle campagne – dice Lanotte – per non accrescere in città la disoccupazione e il malcontento». Sbocciano titoli bucolici: Contadinella bionda, In campagna com’è bello far l’amore, Amarsi sopra il fieno, Canto di pastorello. Altro nodo è la campagna demografica: al bastone della tassa sul celibato si accompagnano gli zuccherini di canzonette come C’è una casetta piccina, Sposi promessi e Signorine sposatevi. La donna fascista può essere solo madre: la propaganda randella le femmine fedifraghe, con la nota Balocchi e profumi o la truculenta Scintilla, in cui un’adultera muore con l’amante sotto gli occhi del marito pompiere che non riesce a spegnere l’incendio. il Duce fece la sua parte con i cinque figli avuti da donna Rachele. Più forse un altro da una delle sue amanti.