29 Ottobre 2017

Editoriale di Avvenire sugli atti di antisemitismo contro Anna Frank

Fonte:

Avvenire

Autore:

Marco Gnavi

Anna Frank sgomento e indignazione

Abbiamo provato sgomento e indignazione per l’oltraggio alla memoria di Anna Frank, ad opera di alcuni ragazzi delle tifoserie laziali più estreme. La comunità ebraica romana, che da poco aveva celebrato la memoria dolorosa del 16 ottobre 1943, ha vissuto cosi nuovamente l’affronto e la ferita di un’espressione antisemita, forse ignorante della storia, certamente dell’umanità. Tanto più grave, quanti meno anticorpi sembrano difendere giovani generazioni, e la società nel suo complesso, dalla degenerazione e dall’odio. Una risposta solidale è dovuta alla comunità ebraica. L’intreccio delle nostre vite è profondo e irreversibile. Solidali con la comunità ebraica, difendiamo allo stesso tempo noi stessi, la civiltà e l’umanesimo. I demoni che hanno condotto all’orrore della Shoah non sono estinti per sempre. Populismi e demagogia, pericolosi e contagiosi in un tempo complicato, propongono mistificanti identificazioni di nemici immaginari in buona parte dell’Europa. Dalla morte di Anna Frank a Bergen Belsen sono passati 72 anni. Eppure — lo ha rilevato monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo — nel solo anno trascorso sono circolati sui social circa 384.000 messaggi dal contenuto antisemita, ovvero uno ogni 80 secondi. È nostra responsabilità improrogabile globalizzare cultura e linguaggi che oppongano alla mistificazione della realtà, amore per l’altro, conoscenza della sua storia e volto, fino a divenire proposta per il futuro. Cosi è avvenuto in occasione della marcia conclusasi a Portico d’Ottavia, quando a fare corona a Sami Modiano, ebreo sopravvissuto di Rodi, attorno a lui si sono stretti empaticamente centinaia di giovani romani e nuovi europei, fra i migliaia intervenuti. Non possiamo leggere gli avvenimenti “nostrani” senza uno sguardo “ad extra”. In tutta Europa si registra uno scivolamento spaesato nella paura e, contemporaneamente, il crescere di chiusure, scadere di linguaggi, accompagnati dalla fascinazione per la autodifesa violenta delle prerogative di gruppo, etnia. È un crocevia pieno di incognite. Papa Francesco, rivolgendosi nel febbraio 2017 ai membri della delegazione dell’Anti Defamation League, affermava: «Se la cultura dell’incontro e della riconciliazione genera vita e produce speranza, la non—cultura dell’odio semina morte e miete disperazione». E ricordava l’«indicibile iniquità della Shoah» e il contemporaneo antisemitismo con cui misurarsi, per combattere il male. «Di fronte alla troppa violenza che dilaga nel mondo, siamo chiamati a un di più di nonviolenza, che non significa passività, ma promozione attiva del bene. Infatti, se è necessario estirpare l’erba del male, è ancora più urgente seminare il bene: coltivare la giustizia, accrescere la concordia, l’integrazione, senza mai stancarsi; solo cosi si potranno raccogliere frutti di pace». Le sue parole sono la prospettiva del nostro impegno nelle pieghe della vita della diocesi e di questa nostra città.