22 Maggio 2017

Dizionario del complottismo

Fonte:

www.lepoint.fr

Autore:

Nicolas Loïc

Perché le teorie sul complotto sono così attrattive?

Alcune tra esse arrivano a incantare e riordinare il mondo. Piccola decrittazione del vocabolario e del funzionamento delle teorie del complotto.

Viviamo in un’epoca estremamente complessa e difficile. Questa complessità è fonte di preoccupazioni e interrogativi, in particolare sul futuro della democrazia e della pace e, per utilizzare un parolone, sul “senso della storia” (la grande, ma anche la piccola, quella che attraversa il quotidiano di tutti). Conflitti armati, attentati terroristici, tensioni religiose, crisi economica, sfida climatica … ogni giorno, tutto ci ricorda quanto siano fragili le nostre vite; come la nostra esistenza collettiva è incerta; quanto siamo vulnerabili. Nell’era dell’informazione continua, è impossibile sottrarsi.

Allo stesso tempo, questo permanente richiamo alla nostra impotenza fa violenza alla nostra condizione di “moderni”. Ciò minaccia il nostro instancabile desiderio di trasparenza, ordine e risultato. Noi ameremmo davvero avere presa sugli eventi del mondo e non essere fragili. Aspiriamo alla sicurezza, sia essa fisica, sociale, professionale, familiare nonché emozionale. Ma, senza sosta, il mondo e la Storia ci rimandano un’altra immagine di noi stessi: quella di individui la cui comprensione delle cose è inevitabilmente, limitata, parziale, dubbia e caotica. Questa posizione, francamente, non è comoda per nessuno. Contro un mondo in crisi, le teorie del complotto offrono quindi una via di fuga facile e rassicurante.

Il senso perduto e la via del complotto

Nel mondo secolarizzato e “disincantato” che è il nostro, l’immediatezza del senso è scomparsa. Di fronte a degli avvenimenti drammatici, il più delle volte, siamo disorientati, senza punti di riferimento e in preda alla paura. Ci rifiutiamo di credere nella “coincidenza selvaggia” e la consideriamo come un’altra cattiva causa di vulnerabilità. Pertanto, le teorie del complotto arrivano a incantare e riordinare il mondo e al tempo stesso danno corpo alla casualità. Questo è ciò che le rende così attrattive. Con esse, tutto è chiaro, trasparente, evidente, luminoso: gli avvenimenti drammatici hanno un senso; il mondo, malgrado tutto, è giusto; i cattivi saranno puniti; l’esistenza del complotto è indubbia; la verità (pura, eterna, radiante) trionferà. Pertanto, le teorie in questione forniscono una visione del mondo e della Storia in cui tutto è in ordine; dove il caso è sparito. Visione comoda e rassicurante che fissa la direzione escludendo la possibilità del dubbio. Ad un costo molto basso, queste teorie aiutano coloro che lo invocano a ripristinare il loro potere esplicativo perduto. Ma diffondere una teoria – sui social network o altrove – è necessariamente aderirvi, crederci? Il sentimento di riconquista e di possesso del significato non è forse, dopo tutto, più importante del significato stesso? La risposta ad entrambe le domande deve, a mio avviso, essere positiva. Pertanto, la lotta al complottismo richiede di attaccarsi di meno a delle credenze potenziali piuttosto che provare a trasmettere gli strumenti per la pratica autentica della critica, del dibattito e del disaccordo – strumenti che riguardano appunto l’addomesticamento della vulnerabilità. Ciò implica anche identificare le modalità della retorica complottista. A questo proposito meritano di essere individuate cinque tecniche (o strategie).

Tornare alle critiche e ai dubbi

In primo luogo, c’è la dichiarazione di adesione ai due grandi principi della ragione moderna: la critica e il dubbio. In altre parole, le denunce portate da tali teorie non si basano su un’ispirazione mistica, né sulla singolare visione di un mago (che immediatamente sarebbe vista come oscurantista), ma su un’indagine e un esame critico.

L’uomo moderno, a partire da Cartesio, si definisce innanzitutto per la sua iniziale incredulità, i suoi dubbi e per un desiderio che ha di saperne di più: Dubito dunque sono. Il dubbio allora giustifica la ricerca, vale a dire il raggiungimento dell’impresa critica. Ora, chi non vuole essere considerato come un modello di critica e dubbio; come un individuo veramente razionale di fronte al quale le menzogne dei “potenti” e dei media, le manovre delle “autorità”, non durano a lungo?

La prova etica: costruire la fiducia

In secondo luogo, le teorie del complotto si basano sull’attestazione (in gran parte fittizia, comunque), di una totale obiettività del discorso che nasce dall’indipendenza e dalla libertà delle fonti. Colui che porta la teoria in questione, o l'”esperto” convocato per convalidarla, è necessariamente indipendente e libero da qualsiasi istituzione pubblica. Non è, ripete, in debito con nessuno, rappresenta solo se stesso e finanzia la sua ricerca a sue spese. Queste due prime strategie si riferiscono a quella che viene chiamata in retorica la prova etica (o filosofia), vale a dire, l’immagine che si da di sé in e attraverso le proprie parole. In entrambi i casi, la messa in scena delle qualità di grande valore nelle società cosiddette moderne (pensiero critico, indipendenza e obiettività) mira a conquistare la fiducia del pubblico.

La così gratificante “caccia alla verità”

La terza strategia riguarda la sensazione gratificante che potrà risultare a immaginarsi essere parte del piccolo gruppo dei lucidi. Essi si ritengono dei nuovi ‘eletti’. In breve, alle teorie del complotto piace giocare sulla dicotomia (estremamente convincente, del resto) tra, da un lato, i docili ignoranti, brutalizzati dai discorsi, tesi, verità “ufficiali”, e, dall’altro i “cacciatori di verità” per i quali la cospirazione è una realtà in ogni istante.

Si tratta di una risorsa particolarmente potente. Di fatto, le teorie del complotto si adoperano a proiettare sul loro pubblico l’immagine del soldato che combatte contro le forze oscure, come quella del resistente che opera per la felicità di tutti e la salvezza del mondo. Qui, siamo chiaramente in un ordine di evidenza patetico (pathos).

Logica complottista: confondere

Gli ultimi due punti portano direttamente alla struttura argomentativa dei discorsi, ossia alla prova logica (logos). Bisogna cominciare a sottolineare la grande flessibilità delle teorie del complotto, vale a dire, la loro incredibile capacità di rielaborarsi e ricostruirsi per sfuggire dalla presa dei fatti e della critica – che viene dall’esterno. Questo è un chiaro processo di immunizzazione. Ciò significa che è possibile dubitare di tutto, tranne dell’esistenza del complotto stesso. Complotto la cui evidenza dovrebbe, in buona logica, confondere tutte le persone oneste.

Concludo con l’inversione dell’onere della prova. A questo proposito, i discorsi cospirazionisti tendono molto a interpellare i loro detrattori (e ancor di più i complottatori designati) perché dimostrino che non v’è alcuna cospirazione. Si pensi quanto difficile può essere fornire tale prova dal momento che tutto dovrebbe essere segreto e nascosto. In questo, i cospirazionisti ne escono ovviamente vincenti.

La retorica indispensabile

Ecco perché occorre dare ai giovani (e ai meno giovani) i mezzi per dare prova di spirito critico, di discutere secondo coscienza e indicare chiaramente le proprie idee. In questo senso, delle lezioni di retorica sono essenziali. Qualora non si disponga né di parole né di tecniche per condividere la propria opinione o per esprimere il proprio dissenso, quando ci si sente completamente impotenti, quando ci si sente frustrati di non poter o sapere prendere la parola di fronte agli altri, si passa molto più facilmente all’invettiva, da una parte, alla violenza fisica, dall’altra. Il rischio è anche la perdita di autostima, la mancanza di motivazione, la depressione. Le teorie del mondo, anche se è deplorevole, si presentano qui come un’ancora di salvezza.

I giovani sono messi in pericolo doppiamente. Da un lato, essi soffrono di una mancanza di trasmissione di capacità argomentative e oratorie in generale, dall’altro, la nostra società, che valorizza eccessivamente l’accordo e il compromesso, restituisce loro una visione estremamente svalutata del dissenso e della critica. Si tratta di una causa straordinaria di vulnerabilità su cui dobbiamo agire in fretta.

Resistere alla facile dicotomia

Tuttavia, perché il lavoro educativo sia in grado di dare i suoi frutti, dobbiamo resistere alla sterile dicotomia tra i cattivi che credono nei complotti e i buoni che, sicuramente, non lo fanno. Guardiamoci dal considerare i primi come incolti o come delle masse manipolate. Guardiamoci, d’altronde, di erigere i secondi a cittadini modello.

Perché? Perché siamo tutti potenzialmente complottisti, anche se abbiamo problemi ad ammetterlo. Nessuno è immune rispetto al pensiero della trama. Al contrario, cercare di dare un senso non è di per sé irrazionale. Naturalmente, si verifica un grosso problema quando questo approccio narrativo viene effettuato ad ogni costo, dogmaticamente, e, per di più, senza consapevolezza. Ciò detto, attaccare etichette stigmatizzate, in questa materia, non può costituire una risposta al problema…