1 Luglio 2016

Contrastare l’odio online

Fonte:

Pagine ebraiche

Autore:

Ada Treves

DEMENZA DIGITALE Un patto per contrastare l’odio online

“I recenti attacchi terroristici ci hanno ricordato l’urgenza di affrontare il problema dell’istigazione all’odio online. I social media purtroppo sono anche usati dai gruppi terroristici per radicalizzare i giovani e come strumento razzista che diffonde violenza e odio. Questo accordo è un passo avanti importante, volto a garantire che Internet possa restare un luogo di espressione libera e democratica, in cui sono rispettati i valori e le leggi europee”. Così Vĕra Jourová, Commissario europeo per la Giustizia, i Consumatori e l’Uguaglianza di genere, ha commentato la firma apposta da Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube (Google) al Codice di condotta della Commissione Europea. La preoccupazione per gli attacchi terroristici e l’afflusso costante di rifugiati hanno reso ancora più forti le tensioni razziali esistenti in alcuni paesi, ma il focus del Codice non è esclusivamente sul terrorismo. Come ha ricordato anche Anna Masera su La Stampa il riferimento è a una legge approvata nel 2008 che definisce reato tutti i comportamenti che “incitano pubblicamente alla violenza o all’odio direttamente contro gruppi di persone o persone, con riferimento a razza, colore, religione, provenienza, nazionalità o origine etnica”. Stephanie Bodoni, su Bloomberg,nel ripercorrere la vicenda ha citato anche uno studio portato avanti dall’Unione degli studenti ebrei francesi (UEJF) insieme a SOS Racisme e SOS Homophobie che ha evidenziato come il 90 per cento dei post presenti su Twitter e YouTube siano rimasti online dopo la segnalazione e la richiesta di eliminarli. Facebook ha eliminato un terzo di quanto segnalato. E l’Union des étudiants juif de France ha denunciato Twitter, Facebook e Google per il mancato controllo, con l’obiettivo dichiarato di arrivare a una definizione chiara di chi deve monitorare i post sui social media e di come deve essere portato avanti tale controllo. Stephan Lilti, avvocato di UEJF sul caso, ha aggiunto: “Penso che non siano stati fatti investimenti sufficienti e che coloro che dovrebbero moderare non siano necessariamente preparati per affrontare una simile sfida”. Non sono mancate le reazioni negative per la potenziale delega a privati del controllo della libertà di espressione in Europa, e l’ombudsman europeo sta verificando se effettivamente le organizzazioni per i diritti umani digitali non siano state consultate, come lamentato da più parti. La Electronic Frontiers Foundation ha sostenuto che “le corporazioni ottengono così ancora più il controllo sulla nostra parola”, e da European Digital Rights di Bruxelles e dall’americana Access Now sono arrivate proteste sia per l’esclusione dalla discussione che perché “si prospettano rischi seri per la libertà di espressione, perché potrebbero venire cancellati contenuti del tutto legali, seppur controversi”. La responsabile delle relazioni pubbliche di Google ha risposto che il linguaggio illegale è sempre stato vietato ma che è serio anche l’impegno a garantire la libertà di accesso all’informazione, e non si è fatta attendere neppure la risposta della responsabile della global policy di Facebook. “Sollecitiamo a usare gli strumenti di segnalazione dei contenuti se ritengono che violino gli standard. I nostri team in tutto il mondo lavorano 24 ore su 24 per agire prontamente”. L’impegno preso dalle multinazionali è di controllare le segnalazioni entro 24 ore e di agire sui contenuti incriminati rapidamente, sempre che le denunce siano precise e circostanziate. E i termini di servizio dovranno esplicitare con ancora maggiore chiarezza che odio e l’incitamento alla violenza sono proibiti.